Geopolitica

Cinquant’anni dopo, la lezione di Nixon e Kissinger sulla Cina

19 Febbraio 2022

Esattamente 50 anni fa, Nixon partiva per il viaggio che ha segnato la sua presidenza. Il 21 febbraio del 1972 infatti iniziava la sua visita ufficiale nella Repubblica Popolare Cinese.

Durante la settimana successiva (definita poi la “settimana che cambiò la storia”) Nixon incontrò varie volte il premier Zhou Enlai e lo stesso Presidente Mao. Quel viaggio, il primo di un presidente americano dopo la rivoluzione comunista, aprì un processo di riconoscimento della Cina a livello internazionale e di fatto pose fine all’isolamento politico del paese.

La visita, preparata in gran segreto da Kissinger  mesi prima (si racconta che, in visita in Pakistan, disse di essere ammalato e non poter lasciare la stanza invece volò a Pechino), lasciò inizialmente gli americani di stucco, ma fu poi generalmente più apprezzata da tutto l’arco politico USA, tranne una parte dei Repubblicani.

Negli ultimi 10 anni si è dibattuto se quella mossa non fosse stata imprudente e non avesse finito nel lungo termine per danneggiare gli interessi stessi degli USA. La Storia, come è noto non si fa con i “se”, ma se vogliamo addentrarci in questo esercizio vanno prese in considerazione sia lecondizioni geopolitiche del tempo e fatta qualche ipotesi su cosa sarebbe accaduto senza quel viaggio.

Partiamo con l’osservare che la decisione di riaprire i rapporti diplomatici con la Repubblica Popolare pochi mesi dopo che essa era stata ammessa nelle Nazioni Unite (e quindi nel Consiglio di Sicurezza) al posto della “Repubblica di Cina” (Taiwan), non fu dettata da motivi “altruistici”.  Gli USA avevano bisogno di sfruttare le divergenze già esistenti tra Unione Sovietica e Cina per aprire un solco più profondo tra i due paesi e segnare un punto nella Guerra Fredda e portare l’URSS a più miti consigli.  Cosa che avvenne infatti puntualmente negli anni successivi con gli accordi per la riduzione degli arsenali.

2. La Cina anche, dal lato suo aveva un interesse a rompere l’isolamento politico in cui si trovava. Già da qualche tempo poi soprattutto il premier Zhou Enlai aveva intenzione di avviare una nuova stagione sia nello sviluppo economico del paese che nei rapporti internazionali, dopo gli eccessi e la chiusura ermetica al mondo durante la Rivoluzione Culturale. La “normalizzazione” dei rapporti con la Cina facilitò anche, 7 anni dopo, l’ascesa del grande riformatoreDeng Xiaoping e quindi il processo di creazione della Cina non più povera ed arretrata che conosciamo oggi.  Cosa della quale gli USA hanno beneficiato direttamente, insieme all’Europa, sia grazie alla disponibilità nei primi decenni delle riforme cinesi di merci a basso costo che hanno tenuto l’inflazione sotto controllo specie in USA, sia per le aziende americane ed europee che hanno trovato nel mercato cinese una fonte di ricchezza non ancora sostituibile ad oggi da qualsiasi altro Paese.

Viene da chiedersi che direzione avrebbe preso la Storia se quell’apertura non ci fosse stata.   Probabilmente, la Cina avrebbe comunque preso la strada dello sviluppo: un paese che fino al ‘700 era stata la più grande economia al mondo non avrebbe potuto ritardare il suo “ritorno” per molto tempo. Forse però ci avrebbe messo di più e forse avremmo conosciuto molte più ondate migratorie dal paese (tendiamo infatti a dimenticare la storica emigrazione cinese nel mondo).   Nel frattempo, una Repubblica Popolare confinata nell’isolamento politico da parte dell’Occidente e di tanti altri paesi, emarginata nelle organizzazioni internazionali, avrebbe potuto ritrovare fronte comune con l’URSS. Oppure avrebbe continuato a promuovere e sostenere “rivoluzioni” in altri paesi.  Un paese di (allora) 800 miliardi di persone, potenza nucleare, impegnato intentamente a creare disturbo in Asia, Africa e America Latina avrebbe senz’altro danneggiato anche gli USA.   Va anche detto, come osservato da Minxin Pei uno dei più importanti esperti del paese, che ai tempi di Nixon non era assolutamente prevedibile la velocità ed intensità dello sviluppo economico cinese.  Chi accusa Nixon di aver “svegliato una tigre” probabilmente non inserisce l’evento nel contesto dell’inizio anni ’70: la tigre era già sveglia da un pezzo e semmai quello che ha fatto Nixon è evitare che diventasse aggressiva in maniera contraria agli interessi USA.

Per concludere, è opinione diffusa che la normalizzazione delle relazioni con l’Occidente abbia portato anche ad un lungo periodo di rapporti meno tesi nello stretto di Taiwan (le tensioni attuali sono infatti solo molto recenti) e che questo abbia consentito anche il processo di democratizzazione e sviluppo economico dell’isola, che fino ai primi ’80 è stato un regime fortemente autoritario. Ma qui veramente si entra troppo nell’ambito della “storia con i se” e quindi qui probabilmente ci dovremmo fermare.

Facendo un fast forward ad oggi, per chi ricorda le relazioni tutto sommato cordiali tra USA e Cina negli ’90 e fino alla seconda presidenza Obama (spesso motivate anche da esigenze contingenti comuni, come la lotta al terrorismo o la crisi finanziaria), è una pena osservare la situazione che opposte esigenze e visioni dei rapporti economici stanno venendo a creare.  Forse bisognerebbe riallacciare il filo interrotto e tornare a Kissinger.

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