Geopolitica

“Ci chiedete di dissociarci da Hamas. Il mondo quando si dissocia da Israele?”

14 Novembre 2023

BETLEMME – “La prima volta che sono stato in galera avevo 16 anni, durante la prima Intifada. Sono convinto sostenitore della resistenza non violenta, dal 2005 sono anche coach di pratiche non violente, credo all’umanità come vero motore della pace e come vera ragione per perseguirla. Di lavoro sono guida turistica politica – stressa molto questa definizione, oggettivamente originale – e sono l’unica guida ufficiale del Banksy Hotel a ridosso del muro. Inoltre, faccio come volontario il mediatore per le controversie private nel distretto di Betlemme”. La spiegazione è stentorea, il tono di Marwan El Farargeh da comizio per tutta l’ora abbondante che passiamo insieme, in un caffè deserto vicino al centro di Betlemme. La città che di solito di questi tempi iniziava ad accogliere orde di pellegrini da tutto il mondo, in vista del Natale, oggi è visitata solo da un piccolo gruppo di indonesiani. “Domani dovrebbero arrivare altri 8 pellegrini”, racconta un operatore turistico, chissà da dove e chissà come. Marcan intanto parla forte e chiaro, ed esplicitamente, in un momento in cui in Palestina non parla nessuno, anche perchè hanno tutti tanta paura di finire nelle carceri israeliane, che di colpo sono diventate un destino molto facile, e molto più che in passato, anche per chi si limita a parlare, in Palestina e di Palestina. Ha fatto a lungo politica, e si capisce. È stato infatti figura di spicco in Al Fatah, il partito di Arafat e Abu Mazen, dice di non condividere la linea di Hamas ma poi, nell’analisi del 7 ottobre e di quel che succede dopo, sembra piuttosto in linea con ricostruzioni che anche a Gaza City o in Qatar non dispiacerebbero.

Partiamo dall’inizio. Ti ha sorpreso l’enormità dell’attacco del 7 ottobre, le proporzioni enormi delle infiltrazioni, uno sterminio di massa, un rapimento di oltre 200 persone?
“Certo che sono rimasto sorpreso. Tutti siamo rimasti sorpresi. È strano e incredibile quel che è successo, in un contesto di controllo assoluto del territorio e della tecnologia da parte israeliana… Poi, le persone chiamavano vedendo che passava un carro armato. I palestinesi a Gaza non sanno guidare i carri armati perchè non sono mai stati addestrati. Com’è stato possibile, dunque? E non dimentichiamo i racconti di alcuni sopravvissuti israeliani che raccontano di come alcuni tra loro siano stati uccisi dal loro esercito per sbaglio, e non da Hamas…”. Un repertorio classico, rivisitato e adattato a uno spartito che effettivamente, nelle sue proporzioni e per la sua novità, fa risuonare una musica tetra, quella del 7 ottobre, mai udita prima. “Hamas” prosegue “coi prigionieri sta rispettando le leggi internazionali, basta sentire cosa ha detto l’anziana che è stata rilasciata, spiegando che l’hanno trattata bene, e alla quale poi gli israeliani, dopo averle fatto dare della vecchia svampita dai parenti, hanno chiesto di ritrattare spiegando che non era stata tratttata bene. Ma lei si è rifiutata”. Chi non rispetta il diritto internazionale sono gli isreliani: 12 mila morti solo a Gaza, di cui 5 mila bambini, 3500 donne. Oltre 200 altri morti e 25000 arrestati qui in Cisgiordania. Numeri che torneranno a scandire la nostra conversazione, assieme all’intercalare: “Voglio dirti la verità”.

Capisco che ci sia una ritrosia a condannare le atrocità del 7 ottobre. Ma dal punto di vista strategico, almeno, non sembra evidente che sia stato controproducente, che abbia scatenato una reazione inaccettabile ma ampiamente prevedibile, e che comunque abbia portato l’opinione pubblica internazionale a identificare, magari ingiustamente, ma tant’è, i palestinesi col terrorismo di Hamas?
“Sinceramente non sono d’accordo. Io credo che la reazione israeliana, per quanto prevedibile e attesa, abbia passato il segno, e il mondo se ne stia rendendo conto. Il mondo sta capendo come ragionano e si comportano loro. Questa reazione è stata tremenda anche per colpa dello squallido supporto di cui godono all’interno dei governi occidentali, a cominciare da quello americano di Biden, e mentre tutti chiedono a noi di condannare Hamas, nessuno chiede a loro di condannare Israele per 12 mila morti, altri 12 mila morti innocenti. Ma ora tutti sanno che se continui a occupare succedono cose come queste, che la gente che non ne può più si ribella. Spero e credo che le persone di tutto il mondo, senza ascoltare i falsi media e i politici asserviti, si rendano conto di chi sono davvero le vittime, qui, e un’altra cosa che spero è che gli Hizbullah libanesi – che io non supporto, non sono il mio partito – spero però che decidano di attaccare pesantemente il nord d’Israele, loro che hanno la tecnologia per farlo. A quel punto Israele dovrebbe scegliere, o difende il Sud o difende il Nord, non può fare entrambe le cose. E allora sì che le cose cambierebbero, o cambieranno…”.

Intanto, il supporto di Hizbullah tanto auspicato assomiglia però a quello dei palestinesi fuori da Gaza. I molti inviti alla rivolta arrivati in Cisgiordania non hanno raccolto grande ascolto.
“Dipende principalmente dalla durezza della repressione israeliana. La violenza della risposta israeliana ha fermato sul nascere tutto, proprio perchè in Israele sanno bene che non possono permettersi un secondo fronte”. A più riprese, qua e là, si dice sicuro che a volte “la mano è palestinese, ma la mente è israeliana”. È stato sicuramente cosi, per lui, per la morte di Arafat, che voleva fare gli accordi di pace ed è stato ucciso per volontà israeliana, da chi quella pace non la voleva. “Del resto, sempre loro hanno ammazzato Rabin, l’unico israeliano che ha voluto davvero la pace coi palestinesi e riconoscere i nostri diritti”. Questo è il passato remoto. Ma il futuro, cosa prevede? Cosa immagini possa succedere quando questa fase di infinita guerra andrà in pausa? Toccherà al tuo omonimo Marwan Barghouti, nelle carceri israeliane da circa vent’anni?
“Non credo che lo vorranno in Cisgiordania. Sarebbe un problema qui per molti che erano suoi sottoposti, trovarselo davanti. Lo manderano a Gaza, magari. Di sicuro sotto il tavolo – mentre dichiarano di no – qualche negoziato per il dopo sta avvenendo. Con l’acquiescenza delle leadership arabe, con i nostri politici locali che sono inadeguati, ma in queste condizioni nessuno potrebbe fare meglio di loro. Oggi non c’è alcun partner possibile per la pace in Israele e, come ha spiegato molto bene il nostro amasciatore a Londra, Usam Zomlot, a loro il 7 ottobre è capitata una cosa che ai palestinesi capita più o meno tutti i giorni. Grazie ai social network adesso è più difficile tenere nascosta la verità…”.
Mentre penso che, proprio mentre in Palestina non vuole parlare nessuno, ho trovato qualcuno che alla versione palestinese ufficiale e senza crepe, aggiunge: “Ah, lasciami dire un’ultima cosa: Hamas nel 2017 ha riconosciuto in una conferenza dell’accademia araba che Israele può esistere, chi ancora non ha riconosciuto il contrario è proprio Israele”.
Mentre ci salutiamo, però, sembra preso da un dubbio. “Jacub, adesso una domanda te la faccio io, dimmi una cosa: ma secondo te il mondo dopo gli ultimi fatti capirà davvero di più le nostre ragioni?”.

 

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