Geopolitica
Cerco un centro di distopia permanente
Quattro impiegati al ritorno dalla mensa. Zona Rogoredo, vicino al Bosco della Droga. Siamo per davvero vestiti da impiegati, ma non troppo, oggi gli impiegati possono indossare scarpe da ginnastica, comode a sufficienza per farsi una camminata. Decidiamo di fare a piedi un chilometro sotto il sole: così il nostro contapassi si muove un po’.
Dopo un centinaio di metri, quando vediamo la solita tenda con la coppia di tossicodipendenti accampati lungo un rigagnolo semiasciutto, dentro il quale buttano cartacce e forse deiezioni, non gli giriamo intorno, come abbiamo fatto fino al giorno prima della guerra di Hamas contro Israele, ma gli passiamo di fianco, tranquillamente, senza fare un plissé.
Anche i tossicodipendenti ci guardano, ma non siamo più gli animali dello zoo (impiegati sfigati diretti verso l’ufficio) che probabilmente disprezzano. Siamo come loro, solo forse un po’ diversi, ma neanche così tanto, perchè ormai siamo tutti entrati in un centro di distopia permanente, in cui ogni giorno cambiamo idea sulle cose e sulla gente, ma senza più sofferenza, anzi, con un’indifferenza che sta diventando abissale, insondabile, tragica ma in fondo neanche così dolorosa (almeno per qualcuno…).
Ci siamo abituati all’assurdo, dopo quel febbraio del 2020 in cui finimmo tutti chiusi in casa, senza capire (subito) che non era una serie di Netflix, quelle in cui il mondo viene cancellato da una pandemia, mentre il primo ministro terrorizza i cittadini urlando in televisione: “Se esci di casa, morirai!”.
Mi svegliavo di notte, i primi giorni del lockdown, e pensavo: “Non è vero, sto sognando!”, ma non perché avessi paura di morire per il Covid (sono vecchia, alla morte ci penso tutti i giorni), mi sembrava solamente improbabile che fosse successo uno degli eventi delle serie (appunto) di Netflix.
Da allora, c’è stata una guerra in Europa, dove dei soldati hanno violentato le nostre sorelle ucraine, dopo aver violentato quelle africane, nei vari golpe organizzati per conto di Putin dalla Brigata Wagner (i cui capi sono stati uccisi su un aereo, mentre “giocavano con una granata”, una battuta di Putin). Brigata Wagner che a sua volta aveva tentato un golpe (a metà) in Russia, meritando l’accusa di “leninismo” (un insulto) da parte di Putin.
Putin oggi ci minaccia con la bomba nucleare – “La tiro! Dico per davvero!” – mentre noi mangiamo un gelato al limone sul lungomare di Riccione guardando i fuochi artificiali – “Speriamo che non siano una bomba. Ma com’è buono questo gelato al limone!” – in quest’estate infinita, bollente, umida, che minaccia il mondo del futuro, i nostri figli, la loro sopravvivenza. E magari ci stiamo chiedendo: “Forse potremmo fare le vacanze a settembre, che ne dici, spendiamo di meno, tanto fa caldo?!”.
Ieri, dopo che Hamas aveva violentato le nostre sorelle israeliane, e forse scoppierà la Terza Guerra Mondiale tra sunniti, sciiti, israeliani, noi quattro impiegati passeggiavamo tranquillamente a cento metri dal Bosco di Rogoredo, e prendevamo un caffè: “Lo vuoi macchiato?”. Oggi sappiamo che a Gaza i bambini moriranno di fame e di sete, dopo che quei bastardi dei loro fratelli maggiori hanno rapito, violentato e ucciso dei ragazzi innocenti mentre gridavano: “Allah Akbar!”.
E se l’attacco di Hamas non fosse solo l’11 settembre degli israeliani, ma anche la loro Pearl Harbor, con tutti i dubbi che gli storici ancora nutrono su quegli eventi drammatici, in cui gli Stati Uniti vennero attaccati senza riuscire a difendersi?
Se la guerra fosse il modo più incivile di risolvere il problema della convivenza tra un popolo che ha coltivato il proprio sviluppo, mentale, culturale, scientifico mentre l’altro popolo è stato sottomesso a una leadership di uomini stupidi e crudeli che l’ha ridotto in schiavitù, affamandolo, trasformando i peggiori di loro in terroristi e, quindi, di conseguenza, in arma di persecuzione dello stesso popolo a cui appartengono?
C’è un’implosione del senso, al quale la reazione più rischiosa sarebbe quella dell’indifferenza: “Io me ne frego, mangio un gelato al limone a Riccione, che gli altri si fottano!”.
No, per favore, interessatevi ancora a quello che succede nel mondo, spiegate ai vostri figli che non possiamo ignorare la storia, anche quando non la capiamo, anche quando è spaventosamente crudele. Nessuno credette a Primo Levi, nessuno pubblicò i libri dei sopravvissuti all’Olocausto fino agli anni Ottanta. Nessuno troverà un senso all’orrore al quale stiamo assistendo, ma dobbiamo restare svegli quando arriverà la notte.
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