Geopolitica
Catalogna: la ricerca di una soluzione dopo le elezioni senza perdenti
C’è una bruttissima notizia che si nasconde dietro i risultati delle elezioni catalane, forse la peggiore che ci si potesse aspettare: non è che i partiti indipendentisti abbiano mantenuto la maggioranza assoluta dei seggi (70); e non è neppure che gli unionisti di Ciudadanos, guidati dalla supergirl Inés Arrimadas, siano il partito più votato della Catalogna. La bruttissima notizia è che entrambi i fronti hanno argomenti rilevanti per dichiararsi vincitori della contesa.
“Il voto popolare conferma la proclamazione della Repubblica”, sostiene il partito del Presidente, Carles Puigdemont, che con il consueto garbo affonda il colpo da Bruxelles: “Lo Stato ha perso”. Viene da chiedersi se anche lui non sia un esponente di quell’organizzazione giuridica, civile e culturale che chiamiamo Stato. In virtù di quale altra convenzione, altrimenti, si definirebbe Presidente? E di che cosa, poi? Dall’altra parte, c’è la sconcertante rivendicazione di Arrimadas: “Per la prima volta un partito unionista è il più votato dagli elettori”. È vera eppure sconcertante, perché inoppugnabile e insignificante allo stesso tempo.
L’evidenza che emerge da queste due verità contrapposte, che si annullano a vicenda, è che la Catalogna, e con essa la Spagna, si avvia verso un’estenuante immobilità politica. Se entrambi hanno vinto, in effetti, chi ha perso? Ha perso certamente Rajoy, responsabile di una gestione lenta e farraginosa, benché ferma, della crisi catalana. Gl’indipendentesti difendono ormai posizioni talmente estreme che a stento si trovano punti d’intesa con i socialisti, da sempre non nemici delle loro rivendicazioni, figuriamoci con chi considera la patria come un’unità intoccabile. Con loro non ci sono convergenze possibili. Continuerà pertanto il Governo a sostenere che la maggioranza della popolazione, il 52,5%, non ha votato per i responsabili della Dichiarazione Unilaterale d’Indipendenza del 10 di ottobre. E continueranno i responsabili di tale Dichiarazione Unilaterale d’Indipendenza a sostenere che dalla loro hanno un seguito popolare enorme che gli ha assicurato, per la seconda volta consecutiva, la maggioranza assoluta del Parlamento regionale. Il risultato finale è un más de los mismo, come si dice in castigliano, qualcosa di simile a “niente di nuovo”.
A dire la verità, ha perso anche Ada Colau, che con la sua versione catalana di Podemos ha raccolto solo l’8% dei voti. “In un Real Madrid-Barcellona nessuno tifa per l’arbitro”, ha riassunto Iñigo Errejón, il più sintetico nel commentare i risultati di uno schieramento che ha cercato di tenere insieme due fazioni che giocavano a eliminarsi a vicenda. I catalani non gli hanno perdonato di non essersi schierati dalla parte della legge, con tutte le conseguenze che questo avrebbe comportato, ma neppure dalla parte dello spirito del popolo, la fantomatica entità che soffiava sulle vele smaliziate della separazione dalla Spagna.
In questo quadro non c’è soluzione possibile, ma esistono diverse vie per arrivare a un dialogo, se non proprio a una negoziazione. Difficili, complicatissime e irrealizzabili fino a quando Mariano Rajoy rimarrà sulle posizioni di partenza. I sovranisti, prima o poi, dovranno ammettere l’illegalità delle loro decisioni, dal momento che non hanno alcuna legittimità per sancire la nascita di una Repubblica; e il Governo spagnolo dovrà riconoscere, prima o poi, che senza la politica non si trova una soluzione a un problema che di militare o carcerario non ha quasi nulla, tranne la propaganda. Offrire il fianco al vittimismo e al sentimento di persecuzione che da sempre scorre nelle vene dei catalani non ha pagato, e non pagherà in futuro, perché regala a oratori privi di argomenti razionali una formidabile sponda sentimentale. L’unica strada è l’implementazione dello Statuto di Autonomia della Catalogna, quello stesso Statuto di Autonomia che il Governo catalano ha palesemente violato e che il Partito Popolare non vuole sfiorare nemmeno con un dito.
Rajoy non ci tiene affatto, perché sembra voler sacrificare il suo consenso in Catalogna, un misero 4,2%, sull’altare della vittoria nel resto del Paese. Purtroppo non interessa, almeno per adesso, neppure a Puigdemont, che ha avuto la prova definitiva che fino a quando terrà premuto il tasto Battaglia sarà acclamato Generale. L’intervento della polizia e l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione hanno infatti rinsaldato l’orgoglio indipendentista catalano, che esce sostanzialmente intatto dalle elezioni malgrado l’inclemenza della prova dei fatti, ma la reiterata disobbedienza della Catalogna ha risvegliato il forte, antico e mai da sottovalutare orgoglio nazionale degli spagnoli. Le bandiere gialle e rosse continueranno a sventolare dai balconi di Madrid, Siviglia e Saragozza, ce ne sono a migliaia, e la senyera a Lleida, Girona e Barcellona: más de lo mismo.
Durante tutto il 2018, con l’amministrazione centrale impiantata a Barcellona, e la Catalogna che mantiene una solida maggioranza indipendentista, non vedremo che questo, una miscela di colori che tinteggeranno le città iberiche regalando un ritratto istantaneo di una complessità irrecomponibile senza la messa a punto di regole accettate da entrambe le parti; una serie di orgogli invincibili, se non prospera un racconto che li unifichi: un tavolo attorniato da sedie, due o più astanti che si guardano all’altezza degli occhi.
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