Geopolitica
Big Data Warfare: perché quella in Ucraina è già una guerra mondiale
A indirizzare i colpi dell’artiglieria ucraina contro i russi è una ragnatela di sensori che collega eserciti di paesi membri della NATO e di paesi che non ne fanno ancora parte, il network satellitare di Elon Musk e privati cittadini “armati di smartphone”. Ma nel dibattito pubblico si parla dell’Ucraina pensando alla Seconda guerra mondiale.
È tradizione che la percezione sociale della guerra e a volte anche da parte degli stessi militari sconti un ritardo sistematico rispetto alla sua forma storica concreta. Soprattutto da quando le operazioni militari sono centrate sull’impiego di nuove tecnologie. All’inizio della Prima guerra mondiale si immaginava un conflitto breve, poderose avanzate a cavallo e scontri di fanteria, ma ci si impantanò in una lunga guerra di trincea. Vent’anni dopo la costruzione di lunghe linee fortificate in vista di una guerra d’attrito (si pensi alla Linea Maginot) fu vanificata dagli sfondamenti e dalla rapida avanzata delle divisioni corazzate tedesche, il cosiddetto Blitzkrieg.
La guerra in Ucraina non sfugge a questa regola, amplificata, come ricorda Wired260522, dal “paradosso della competenza” ovvero da quella bizzarra attitudine dei superesperti a concentrarsi sui particolari, perdendo di vista il quadro complessivo e le sue macrovariabili:
Quando la Russia ha dato inizio all’invasione dell’Ucraina alla fine di febbraio, secondo gli Stati Uniti, i suoi alleati e la stessa Russia le forze ucraine partivano con uno svantaggio asimmetrico nei confronti del ben equipaggiato e brutale esercito russo. I funzionari statunitensi si aspettavano che il paese sarebbe caduto in pochi giorni. Tuttavia, nonostante l’efficacia degli Stati Uniti nel prevedere le intenzioni e i piani della Russia, le prospettive dell’Ucraina sono state valutate in modo errato dalle agenzie di intelligence del paese, che sono attualmente oggetto di una revisione interna.
Guerra regionale?
Una dei luoghi comuni più diffusi nella narrazione filoNato della guerra, adottata persino da ampi settori della “sinistra rivoluzionaria”, è che in Ucraina si combatta un conflitto regionale tra la potenza militare russa e la piccola nazione ucraina, a cui Europa e Stati Uniti partecipano inviando armi, un’azione “solidale” più che un’effettiva partecipazione al conflitto.
Ora, anche ammettendo che staccare assegni da decine di miliardi di dollari per armare gli ucraini e fornire loro (da anni) il necessario addestramento sia una semplice forma di “solidarietà”, il vero tema è che nell’era dei droni e degli attacchi informatici si può combattere anche senza mettere i proverbiali scarponi sul terreno.
In “Guerra in Ucraina: strategia, coercizione e intelligence” (RID – Rivista Italiana Difesa, 6/2022) Pietro Batacchi e Tommaso Massa ci danno un’idea precisa di quanto la guerra contemporanea, come ormai quasi ogni fenomeno sociale, si combatta brandendo i Big Data. I sistemi di ricognizione, intelligence dei segnali, rilevamento satellitare, infatti, sono fondamentali per individuare gli spostamenti delle unità nemiche e trasmetterli in tempo reale a sistemi d’arma in grado di colpirli. Gli autori dell’articolo spiegano con dovizia di particolari come la ragnatela di sensori digitali utilizzata a questo scopo sia internazionale, preveda l’impiego di droni, svariati modelli di aerei da ricognizione, satelliti (tra cui gli italiani COSMO-SKYMED) e come questi ultimi decollino dalle basi europee, italiane incluse, e appartengano anche a paesi che formalmente non sono membri della NATO.
Il ruolo dell’intelligence NATO e americana a supporto degli Ucraini è stato ed è fondamentale per alimentarne la resistenza e lo sforzo bellico. Senza questo supporto, probabilmente il conflitto avrebbe preso una piega diversa. […] Il ciclo inizia con la raccolta ad opera dei velivoli (pilotati e non ) NATO; ma anche di paesi non NATO come la Svezia, che in maniera continuativa dall’inizio della guerra svolgono operazioni ISR [Intelligence Surveillance Recognition] e di raccolta di informazioni e di dati di più varia natura. Si tratta di un dispositivo veramente massiccio, in cui la parte del leone viene svolta dagli Stati Uniti.
L’accenno al ruolo della Svezia dimostra quanto la “storica decisione” di aderire alla NATO sia più che altro il suggello formale a una situazione di fatto.
Il sottile confine tra pubblico e privato, civile e militare
Oltre ai satelliti della difesa a fornire informazioni essenziali alle forze armate ucraine è intervenuto Starlink, il network satellitare di proprietà del miliardario americano Elon Musk. Il governo ucraino ha chiesto ufficialmente di accedervi dopo che i russi, nei primi giorni di invasione, avevano disattivato il sistema di comunicazione satellitare di Kiev, infliggendo danni rilevanti non solo ai soldati ucraini e a infrastrutture vitali per il paese invaso, ma anche ad aziende europee. Ad aprile il gruppo tedesco Enercon, ad esempio, ha rivelato che 5.800 delle sue turbine eoliche in Europa centrale dopo il 24 febbraio avevano perso la connessione satellitare al server di controllo e acquisizione dati aziendale, a causa di un attacco hacker russo.
I satelliti di Elon Musk non sono serviti soltanto a rilevare e trasmettere a Kiev le coordinate delle unità russe, ma anche a impedire il collasso della società ucraina, che ha continuato a far uso di comunicazioni a banda larga nonostante la distruzione dell’infrastruttura comunicativa, permettendo anche agli abitanti delle città assediate di tenere i contatti con l’esterno, ai capi del battaglione Azov nell’acciaieria Azovstal di rilasciare interviste in diretta televisiva e, infine, alle truppe ucraine che operano dietro le linee nemiche di comunicare via email. “Ciò che è più notevole – ha scritto un analista indiano – è che persino i dati satellitari del governo americano e la struttura di comando e controllo dell’artiglieria USA non sono in grado di realizzare una combinazione di tale qualità tra Starlink e il software ucraino GIS Art for Artillery” (Orfonline020622). [GIS Art of artillery è un software che traccia i pezzi d’artiglieria ucraini e i loro obiettivi e li collega, così come Uber traccia e collega autisti e utenti in cerca di un passaggio, LaNotizia140522]. Un’affermazione che conferma la progressiva integrazione dell’industria privata negli apparati bellici nazionali (Amazon è già tra i maggiori fornitori della difesa americana e israeliana nei servizi cloud).
La ragnatela elettronica include anche dispositivi individuali come i telefoni cellulari. Sempre ad aprile Matthew Ford, coautore dell’appena uscito Radical War. Data, Attention and Control in the Twenty-First Century, ha pubblicato uno studio intitolato The Smartphone as a Weapon (Lo smartphone come arma), in cui descrive “la nuova ecologia della guerra in Ucraina”, che definisce “la guerra più connessa digitalmente della storia” e, allo stesso tempo, “la prima guerra convenzionale del XXI secolo”, insomma qualcosa di assai diverso dai conflitti asimmetrici in Iraq, Afghanistan, Siria, Somalia, Cecenia, Yemen ecc. Ford evidenzia come l’Ucraina sia un ambiente particolarmente favorevole a questo tipo di guerra: il 79% delle famiglie ha un accesso internet domestico, l’85% dei residenti ha un abbonamento telefonico mobile, l’89% possiede un cellulare e l’87% è coperto dal 4G. In un teatro di guerra così connesso non solo è possibile tracciare i cellulari e ricavarne delle informazioni, ma chiunque sia online può prendere parte alla guerra creando contenuti da condividere su internet, da post propagandistici a immagini prese sul campo che possono contenere informazioni preziose come la localizzazione di postazioni e unità nemiche. Una prassi del resto adottata anche dai russi, utilizzando i propri simpatizzanti in territorio ucraino, per carpire dati sulle truppe di Kiev.
Quest’ultimo aspetto contribuisce a cancellare quasi definitivamente la già tenue linea di confine tra militari e civili. Se, infatti, un civile invia al proprio esercito un’immagine che consente di colpire un bersaglio nemico – l’uso dello smartphone come arma, appunto – è lecito supporre che quest’ultimo potrà sentirsi esentato dal riservargli un trattamento di favore, tema che investe direttamente il diritto bellico.
Apoteosi della “guerra totale”
La digitalizzazione, insomma, porta alle estreme conseguenze quella che nel Novecento venne definita “guerra totale”. All’epoca il termine indicava il coinvolgimento dell’intera società nello sforzo bellico, preservando una pur tenue demarcazione tra civile e militare. L’operaio poteva essere mobilitato per contribuire alla produzione di armi, ma restava comunque confinato in una sfera separata dal vero e proprio campo di battaglia. Oggi questa demarcazione scompare quasi definitivamente, così come diventa sempre più difficile tracciare linee di confine tra le diverse forme di combattimento – operazioni sul campo, sanzioni economiche, attacchi hacker, propaganda e “operazioni psicologiche” ecc. – e i diversi attori della guerra e persino fissare univocamente limiti temporali alla durata dei conflitti.
Conoscere questa nuova “nuova ecologia della guerra” ci chiarisce che la maggior parte delle odierne polemiche sul carattere della guerra – difensiva/offensiva, locale/globale, iniziata il 24 febbraio od otto anni fa – siano viziate non solo da eventuali posture ideologiche, ma anche, forse soprattutto, dal fatto che si parli dell’Ucraina pensando alla Seconda guerra mondiale o al Vietnam. Ma da quando stando comodamente seduti davanti a un computer in una base militare a Las Vegas si può colpire un obiettivo in Afghanistan (come Ethan Hawke nel film “Good Kill”) le cose non stanno più così.
Articolo tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 14 giugno. Immagine di copertina: Gerald Nino, CBP, U.S. Dept. of Homeland Security, Public domain, via Wikimedia Commons
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