Geopolitica
“Assange e Snowden sono nuovi ribelli senza terra”
Il filosofo de Lagasnerie a Berlino: Non si tratta solo di “gole profonde”, ma di fuggitivi internazionali che hanno oltrepassato i confini della vecchia disobbedienza civile e del concetto di cittadinanza.
L’intervento a re:publica 2016 di Geoffroy de Lagasnerie, filosofo e sociologo francese, è certamente stato uno dei più radicali dell’intera conferenza. Nel corso delle giornate berlinesi sulle culture digitali si sono potute ascoltare diverse analisi sulla libertà in rete. Ma è stato de Lagasnerie a proporre di guardare cosa ci sia oltre le stesse battaglie civili per i diritti digitali. Il filosofo cerca da diverso tempo di analizzare una nuova forma di ribellione, che supera il classico concetto di cittadinanza legata a un territorio nazionale e si inserisce in un mondo politico profondamente trasformato da internet. Che si condivida o meno l’impostazione militante della sua critica del potere, le suggestioni proposte da Geoffroy de Lagasnerie sembrano inseguire diversi sviluppi contemporanei del significato di politica.
L’anno scorso, con il suo libro “L’Arte della Rivolta. Snowden, Assange e Manning”, de Lagasnerie si è proposto con una certa energia nel dibattito intellettuale francese. Anche all’interno della stessa gauche, l’autore ha scombussolato non poche strutture e si è guadagnato diversi critici.
Il filosofo, che attualmente insegna all’École Nationale Supérieure d’Arts di Cergy, ha iniziato a proporre un’opera di superamento critico dei più recenti movimenti di contestazione sociale, tra cui Occupy Wall Street, gli Indignados, la cosiddetta Primavera Araba e le proteste di Istanbul. De Lagasnerie identifica questi movimenti sociali come concettualmente ancora legati a forme di protesta novecentesca. De Lagasnerie va così a criticare proprio quelle poche espressioni politiche a cui gran parte della sinistra occidentale si è aggrappata negli ultimi anni. L’elemento novecentesco dei vari movimenti sarebbe il loro essere espressi con un linguaggio di contestazione completamente già codificato e dall’agire su un territorio specifico. Un territorio che è stato anche più volte indicato dalle sinistre come lo stesso spazio cruciale di formazione di democrazia reale (si veda, ad esempio, le innumerevoli analisi e letture delle pratiche di Zuccotti Park a New York, della Puerta del Sol a Madrid o Piazza Tahrir in Egitto). “Il dissenso” spiega de Lagasnerie “è uno degli spazi più codificati in assoluto”, e nel caso di questi movimenti è stato riapplicato il paradigma novecentesco dell’assembramento umano come espressione del “noi” politico, del corpo politico comunitario e democratico, riconoscibile nella canonica dimensione della piazza o dello spazio pubblico occupato. In pratica, Occupy Wall Street, Indignados e altri avrebbero applicato la protesta nelle forme e nelle modalità che non contestava il linguaggio corrente e la legge tradizionale, finendo per essere velocemente riassorbiti ed esauriti nel loro valore simbolico.
Nuove, senza territorio classicamente inteso e senza legge di riferimento sarebbero, invece, le ribellioni individuali di Assange, Snowden e Manning, così come quelle più disseminate e senza volto di Anonymous e di altri hacker e attivisti. L’elemento centrale che le differenzierebbe dai movimenti delle piazze e dal vecchio linguaggio politico della ribellione sarebbe soprattutto uno: la fuga, la diserzione, il rifiutare di sottostare alla legge di uno stato che contraddice i loro principi politici, iniziando a rifiutarne la stessa spazialità urbana o geografica (in nome di quello che sembra un post-internazionalismo d’ispirazione anarchica).
La canonica disobbedienza civile rifiuta una legge, ma lo fa in nome del valore delle altre leggi e spesso rivendicando una maggiore fedeltà ai principi costituzionali di uno Stato. Al contrario, i casi Wikileaks e Snowden possono essere letti come un distaccamento dalle regolamentazioni statali in quanto tali, oltre che come una diserzione dal senso di appartenenza nazionale.
Un distaccamento, sostiene de Lagasnerie, che è reso possibile dallo svolgersi di leak e hack in un territorio de-nazionalizzato. Il nuovo territorio, o i nuovi territori, sarebbero oggi quelli della democrazia espressa su internet e via internet, in cui si possono sviluppare nuove forme di appartenenza e prossimità comunitaria. Il concetto stesso dell’odierno leak è reso possibile da un mondo d’un tratto intrecciato e pieno di percorsi o spiragli temporaneamente o casualmente liberi, da cui possono filtrare informazioni dalle conseguenze enormemente politiche ma non vincolate a uno spazio nazionale preciso. Non solo, anche la categoria di tradimento si affievolisce proprio di fronte all’allentarsi del legame tra cittadino e corpo nazionale delle leggi, dal momento che il leak diventa subito sovra-territoriale. Stessa cosa vale, per la prevedibilità e la punizione di atti di pirateria come quelli di Assange o Snowden, per i quali, al di fuori della legislazione militare e di guerra, molti stati non sembrano avere una chiara regolamentazione interna.
Se, quindi, chi fa disobbedienza civile nelle piazze è pronto al carcere come parte della propria protesta, il nuovo ribelle svincolato dal territorio, invece, sceglie la fuga, la dissociazione dalla comunità territoriale, in nome della ricerca di una comunità di riferimento extra-territoriale ed extra-legislativa. In questo senso de Lagasnerie propone un concetto di de-nazionalizzazione della mente (o dello spirito, “esprit” in francese).
Non è difficile trovare tanti elementi oggettivi per contestare l’impostazione di de Lagasnerie, soprattutto quando non ci si sente obbligati a condividere le necessità strategiche e militanti del filosofo francese. La prima considerazione da fare è che lo stesso Snowden, proprio a re:publica 2016, ha riconfermato che il suo desiderio più grande sia quello di tornare negli Stati Uniti e avere un processo equo e trasparente. Andare in carcere sembra far parte del suo ventaglio di possibilità, nel pieno rispetto del paradigma della disobbedienza civile. La seconda considerazione da aggiungere è che sia Snowden che Assange sono scappati perché la pena che avevano di fronte era ben più severa di quella solitamente inflitta a chi fa disobbedienza civile (e i 35 anni di carcere alla stessa Chelsea Manning ne sono una prova tangibile).
A queste e altre confutazioni, però, de Lagasnerie risponderebbe che gli stessi protagonisti della nuova arte della rivolta possono non essere consapevoli delle prospettive che aprono. Anch’essi, come tutti, cercano di auto-definirsi secondo il linguaggio passato che abbiamo a disposizione, non comprendendo la portata della loro rottura e della nuova forma politica a cui hanno dato vita. Forse Edward Snowden credeva veramente di poter dialogare con un’America in cerca di nuove leggi e regole in nome della trasparenza, ma, sembra suggerire de Lagasnerie, la sua stessa azione di rottura ha fatto in modo che quell’America per Snowden non esista più. Snowden si sarebbe portato su un piano sovra-nazionale che neppure lui riusciva a cogliere: d’un tratto il suo riferimento non sono i cittadini americani, ma chiunque nel mondo la possa pensare come lui.
In tutta la sua consapevole e forzata parzialità, che può irritare o meno, la prospettiva di de Lagasnerie diventa utilissima nel momento in cui vediamo che gli atti di ribellione o insubordinazione come quello di Assange e Snowden si siano effettivamente e immediatamente trasformati in palline impazzite sullo scacchiere internazionale. Certo, si potrebbe dire che l’ex analista americano e l’attivista australiano non siano altro che una comune spia o un tecnico-intellettuale passati al nemico, e che abbiano fatto una scelta già tipica della guerra fredda. Ma la verità è che Assange e Snowden hanno prima decretato la propria ribellione e, solo in un secondo tempo, si sono trovati a gestire l’impossibilità di trovare nella realtà territoriale quello spazio politico a cui hanno creduto di poter fare riferimento con le loro scelte.
Questo conferma che Assange e Snowden siano davvero un nuovo tipo di contestatori che vogliono parlare a una comunità transnazionale, ma conferma anche che la materialità dei fatti contemporanei non segue ancora i territori ideali della loro comunità di riferimento. Assange e Snowden sono così due ribelli con una causa ma senza casa. Due esiliati che nessuno stato vuole in quanto tali, che nessuno stato vuole in linea di principio, ma solo come occasione strategica.
La fuga dal vincolo nazionale tanto cara a de Lagasnerie esaurisce oggi la propria spinta in altri spazi, territori e leggi nazionali, andando a impattare la dura realtà della geopolitica, che si basa su rapporti di forza economico-militari di innegabile potenza e presenza. Rapporti di forza che obbligano al movimento perpetuo dei singoli corpi in fuga degli attivisti, così come alla potenzialmente infinita ricerca di posizionare server non fisicamente attaccabili per la conservazione di nuovi dati o di dati originali.
Edward Snowden è ospite della Russia, che non sembra assicurare una maggiore trasparenza sulla privacy degli Stati Uniti e che accetta la presenza dell’ex analista americano in funzione legittimamente strategica. Non a caso, Snowden sta cercando da anni un altro asilo, in un paese, per ora inesistente, che lo accetti come amico e non come nemico di un nemico comune.
Il territorio di Julian Assange, invece, è da quattro anni limitato alla metratura del palazzo dell’Ambasciata dell’Ecuador a Londra.
Ecco che, malgrado il superamento dei vincoli nazionali, malgrado abbiano un riferimento attivo in una comunità globale, malgrado stiano forse plasmando uno spazio politico futuro, i nuovi ribelli senza terra sembrano oggi braccati ovunque dalla contingenza assoluta del territorio geografico. Storpiando Michel Houellebecq: Assange e Snowden vagano con una mappa accurata e all’avanguardia, ma senza un territorio reale per dare asilo ai loro corpi.
Infine, per continuare a dialogare con alcuni punti del filosofo francese, si può notare che nemmeno le reti interconnesse sono lo spazio in cui, astrattamente, ci sarebbe asilo sicuro per i nuovi ribelli di de Lagasnerie. Se è vero che internet crea nuove forme di appartenenza e prossimità, è anche vero che la sua struttura è sempre più soggetta a occupazioni e regolamentazioni statali e private. Tra accumulazioni di enormi patrimoni di dati e colonizzazioni di reti un tempo libere, anche il nuovo territorio internet è sempre più soggetto a rapporti politici di mera forza.
Bisogna però riconoscere come sia proprio nel considerare un nuovo territorio gli stessi intrecci internet che le teorie di de Lagasnerie svelano e spiegano qualcosa che è, invece, già sotto gli occhi di tutti. Si tratta delle de-nazionalizzazioni delle aziende, soprattutto quelle digitali. Se è vero che gran parte dei colossi digitali rimangono americani, recenti casi come lo scontro “diplomatico” tra FBI e Apple dimostrano cosa si possa intendere per distacco dalle comunità nazionali o territoriali classicamente intese. Le grandi multinazionali vivono già in uno spazio internet o finanziario mai completamente soggetto a una specifica legislazione o comunità, dove invece della fuga di ambasciata in ambasciata, c’è il veloce muoversi di sede legale in sede fiscale. Senza sosta, in tutto il globo. Pur non avendo un rapporto di scontro diretto con gli stati nazionali, sono proprio le grandi aziende extra-nazionali a segnare il passo di una nuova indipendenza sostanziale che rifiuta il discorso legale e legislativo dei singoli stati.
Se consideriamo una realtà come Wikileaks una versione ribelle o un contro-declinazione della realtà extraterritoriale di una grande multinazionale digitale, allora riusciamo a intuire e visualizzare lo spazio che sembra voler indagare de Lagasnerie. Uno spazio non classicamente reale, ma sempre più autentico, attivo e influente. Uno spazio in cui, in un modo o in un altro, si svilupperà sempre di più la vita politica di ciascuno.
Foto di copertina: Julian Assange speaking at the balcony of the Ecuador embassy, in London, Wikimedia Commons, fonte: http://bit.ly/1Xc7Btt
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