Geopolitica
Altro che Sovranismo: è Nazionalismo
C’è chi diceva che l’aria che tirava era quella del ’14; chi poi ha cominciato a parlare di uno spirito di Weimar partendo dalla crisi delle socialdemocrazie. E chi invece ha pensato all’Agosto del ’39, dove si stava serenamente sulle spiagge di tutta Europa senza avere il benchè minimo sentore degli spaventosi eventi che di lì a un nulla, ritratti da un cineoperatore di regime, una pattuglia di soldati tedeschi avrebbero scatenato spostando a forza di braccia la sbarra di confine con la Polonia.
Sembrano iperboli da ombrellone o chiacchierate accigliate da coffee break durante un qualsiasi convegno di studiosi della storia: esattamente come nel ’39. Eppure se noi guardiamo con un occhio tragicamente disincantato i giornali, i social e le parole e le immagini dei notiziari radiotelevisivi di regime e cominciamo a chiamare le cose con il proprio nome non ci si può girare intorno: i contraccolpi della globalizzazione hanno gli stessi suoni di quegli anni.
Alle spalle delle guerre del XIX e XX secolo oltre alle ideologie, ma anche di guerre più lontane come la Rivoluzione americana, i dazi giganteggiano come una delle ragioni portanti, basta rileggersi il sussidiario e nemmeno le monografie. Gran parte delle guerre, in particolare quella del ’14, si incendiarono a causa dei trattati bilaterali, nati come strumento di accordi di mutua assistenza privilegiata a scapito di altri paesi e in molti casi tenuti tragicamente segreti. E il peggio, la malattia che si annida da più di 2000 anni nel più profondo angolo dell’anima nera degli europei è il senso di identità che dopo Westfalia si laicizzò progressivamente in ciò che oggi, impropriamente e proprio per non far ricordare il buio dell’anima, noi chiamiamo “sovranismo” ma che già in alcuni paesi europei meno ipocriti e nelle riviste di politica internazionale viene chiamato con il suo unico, vero, tragico nome: “Nazionalismo”, il Male personificato.
Certo, le ideologie, il comunismo e il nazifascismo sono stati i protagonisti del XX secolo e se è inutile sottolineare quanto fecero uso del Nazionalismo è invece bene ricordare chi fu il nemico che dichiaravano di avere: il liberalismo, individuale, nella società e nelle economie. In una parola le nostre libertà, quelle per le quali troppe volte si fu disposti ad accettare compromessi in cambio di una maggiore “sicurezza” che si rivelò sempre fatale e irrealizzabile. Ed è quello a cui assistiamo con una certa impotenza un fenomeno che si sta evolvendo perché se era in qualche modo comprensibile che di fronte ad un peggioramento collettivo delle condizioni di vita dovuto alla crisi del 2008 scattassero le paure “dell’uomo nero”, del diverso, dell’immigrato come responsabile (e anche qui la storia ne ha dette…) ciò che non può non fare riflettere è che non sembra più l’economia ad essere il problema se è vero che la Germania non è mai stata così ricca e che gli stessi paesi di Visegrad crescono a ritmi sostenuti ma hanno gli stessi istinti che muovono un pezzo di Italia che invece soffre e molto una economia stagnante da decenni e un debito collettivo che, quello sì, non rende liberi. e questa considerazione apre a un mondo ancora indefinito di riflessioni.
L’Unione Europea è stato un accidente della storia perché attraverso l’idea federalista, poi inchiodatasi al multilateralismo intergovernativo ha smontato gli accordi bilaterali al punto che anche il solo incontro tra leader tedeschi e francesi faceva insorgere timori e preoccupazioni. Oggi invece leader europei si dichiarano reciprocamente avversari (e uso un termine edulcorato perché ho paura ad usare quello corretto) dove i nazionalismi impediscono le letture dei problemi dei paesi alleati e dove la rivalità tra i governi non trovando più stanza di compensazione politica si trasforma in un confronto tra Stati: cosa è se non questo la rivendicazione di Ventimiglia? Dimentica l’Italia di Salvini che dopo Bataclan la Francia ha sospeso Schengen in none dello Stato di Emergenza che ancora vige normativamente in quel paese? No, tutto è strumentale alla rivendicazione identitaria, all’attribuire agli “altri” i nostri fallimenti. E alla unione intergovernativa ormai si contrappongo blocchi culturali e politici transnazionali che riproducono poi la logica degli accordi bilaterali anche quando non dichiarati.
Tutte cose che sui libri abbiamo già letto ma che due interventi di questa settimana hanno reso plastici e ineludibili: Orban e Veltroni.
L’uno a rivendicare democrazie illiberali a identità religiosa, cioè l’idea paradossale che ad esempio l’Iran dove si vota è in effetti un buon luogo dove vivere, dimenticando che il fallimento delle primavere arabe e la debolezza dello strumento democratico in molti paesi del mondo sta o nella rivendicazione religiosa come strumento di legittimità politica dei suoi leader o nella democrazia monca del termine “liberal” (il grave errore di Obama, per intenderci: la democrazia senza “liberal” assomiglia a una dittatura legittimata). L’altro a sostenere che il problema di fondo è la mancanza di una “Sinistra” che sappia riprendersi dal fallimento socialdemocratico riscoprendo i valori di “progresso” che l’hanno contraddistinta.
No, Veltroni sbaglia di grosso, anche se le storie personali pesano: ha ragione Orban, il grande scontro al quale dobbiamo prepararci non è tra populismi e sinistra ma è quello plasticamente evidenziato da Orban e Macron, tra una idea nazionalistica, identitaria, religiosamente legittimata perché altri valori non ha e una visione “Liberal” del mondo, dei rapporti tra i paesi, tra gruppi dirigenti, tra istituzioni internazionali, tra persone libere di muoversi senza carri armati che sappiamo essere messa in pericolo dal Nazionalismo dopo aver reso l’Occidente il modello invidiato e il miglior posto dove vivere da almeno sessant’anni. Ricordiamocelo, la democrazia è solo uno strumento, il valore è la Libertà.
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