Geopolitica
Alla guerra per fermare l’ondata migratoria?
Con questi ritmi la gestione del fenomeno diventa ingestibile
Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, 28 giugno 2017
Quei due o tre di voi che hanno avuto in altri momenti la pazienza di leggermi (autentica ma vera citazione manzoniana) sanno che sulla immigrazione io e Salvini la pensiamo in modo molto, molto diverso (qui, ad esempio). In particolare sono convinto che il livello di accettazione e di integrazione che gli italiani hanno messo in campo è straordinario ed efficace e va bene al di là degli schiamazzi dei talk show.
Però quando vedo Sua Eccellenza il Ministro degli Interni Marco Minniti in rotta verso Washington che giunto a Reykyavick va dal pilota e gli dice di tornare indietro perché i Servizi dalla Libia parlano di numeri imprevisti e imprevedibili pronti sui barconi allora mi preoccupo, eccome: quel miscuglio di sforzo individuale, lavoro, convenienza familiare, associazioni caritatevoli, infiltrazione delle forze dell’ordine e impegno dei sindaci che ha rappresentato uno dei più preziosi e imprevedibili risultati del Paese in questi due decenni, garantendo un lento processo di integrazione a costi sociali contenuti, stavolta è a rischio e con drammatiche conseguenze.
Non giriamoci intorno, gli scenari possibili nell’immediato sono solo e soltanto tre.
Il primo: i governi dei paesi europei, tutti e non solo la Germania, si rivolgono congiuntamente ai propri cittadini e ammettono che la “invasione” è necessaria: che siano ragioni demografiche, economiche o altro sono affari loro ma se aumentano gli sbarchi sulle nostre coste e diminuiscono gli stranieri residenti significa che questi da qualche parte vanno. Se è così non ci chiedano le tendopoli-lager che ricordano immagini drammatiche di Turchia, Giordania, Kenia e di tutti gli altri paesi sui cui confini si consumano guerre infinite; organizziamo direttamente i trasporti e se ne facciano carico i paesi di destinazione.
Il secondo: non è così, checché ne dica il Kombinat automobilistico-governativo della Bundeskanzlerin l’Europa non è in grado di accogliere e non ha bisogno di immigrati in questi numeri. Allora serve una politica comune sulla immigrazione e i diritti di cittadinanza che in soldoni significa sostituire le navi delle ONG nel Canale di Sicilia con le Marine Militari sotto comando europeo. Se si parla di Difesa Comune allora non vale solo per la crisi ucraina ma per la reale, quotidiana guerra di attrito sulle nostre coste.
Terzo, esclusi per ignavia politica o impossibilità tecnica i primi due, rimane solo la più autentica delle opzioni militari, la escalation a guida NATO con sbarco e presenza permanente in Libia esattamente come accade in Siria e altrove, con tanti saluti al governo Serraj, alle corrotte tribù libiche e agli interessi petroliferi. Non affaticatevi a spiegarmi: so benissimo cosa significa e quale sia lo sfracello geopolitico che si dovrebbe affrontare compreso l’inasprirsi dei rapporti con “l’amico Putin”, il rischio terroristico, il pantano militare e i conseguenti sacchi neri riportati in patria. Ma quanto accade sul fronte Sud sta per mettere a rischio i diritti, la civile convivenza e la tenuta sociale di un paese che, come nel resto d’Europa continentale, 70 anni fa accettò le leggi razziali senza colpo ferire: vogliamo correre il rischio? Aggiungo, in una Europa che già oggi vede negli inutilissimi muri il messaggio politico forte e autorevole per i propri cittadini.
Fate voi le riflessioni che volete ma da qui non ci si scappa.
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