Geopolitica

Alla frontiera di Siret, tra Romania e Ucraina

14 Maggio 2022

Cosa vuol dire accoglienza? Aprire il cuore, dedicare tempo, un sorriso, parole nella lingua dell’altro. Donare beni di prima necessità. Ma negli stand pieni di aiuti internazionali nel campo di accoglienza in Romania, ormai senza più profughi, la merce sugli scaffali prende la polvere, prima di finire nel mercato nero in Ucraina.

 

Quando arrivi alla frontiera di Siret, in Romania, nella regione di Suceava, riesci a vedere dall’altra parte l’Ucraina occidentale. I piloni del posto di blocco romeno e, se superi i controlli, quello ucraino. La fila dei tir in attesa del loro turno per passare è lunga chilometri, è lunga ore. Di sera gli autisti si preparano a trascorrere la notte incanalati lungo quel serpentone. Alcuni vanno a mangiare o dormire al motel dei camionisti lì, sulla strada. Portano merci in Ucraina. Poi ci sono le macchine dei privati, lungo un’altra fila più corta. Sono per lo più persone che tornano a casa, o volontari che consegnano beni di prima necessità al più vicino campo profughi in Ucraina, vicino la città di Chernivtsi.

Sull’altro lato della frontiera entrano anche pullman che dall’Ucraina portano le persone in Romania, si fermano appena passato il confine, sulla soglia dell’Europa, e tornano indietro. Tutti scendono con i loro bagagli e camminano a piedi verso le tende e le postazioni per l’accoglienza. C’è la Croce rossa, la Radautiul civic, i cavalieri di Malta. I volontari di associazioni legate ai cristiani, ai testimoni di Geova, al mondo ebraico, i preti ortodossi del vicino monastero di Sant John.

La frontiera con la Romania vista dall’Ucraina, foto di T.Migliati

La presenza più numerosa è quella dei Pompieri romeni che portano gli ucraini appena entrati verso la città di Suceava, dove c’è la stazione ferroviaria, l’aeroporto e i campi profughi. Vuoti. Sono stati tutti ricollocati i rifugiati della prima ora, e quelli che passano il confine romeno già con una meta, cercano solo un passaggio per andare via.

Le tende dell’accoglienza sono piene di ogni genere di conforto, ma dentro non c’è nessuno, a parte i volontari. Stanno lì giornate intere e porgono cibo, bevande, prodotti per l’igiene, giocattoli e omogeneizzati a chi si avvicina loro, senza chiedere ‘chi sei’ e ‘da dove vieni’. Parlano i volti, i bagagli trascinati dietro come macigni. E chi ha bisogno prende quel che vuole. Ma non sempre si tratta di profughi, non sempre si tratta di ucraini che si preparano a un lungo viaggio. Molti arrivano in macchina, riempiono le buste, fanno inversione e tornano in Ucraina. Altri si presentano a piedi, con la borsetta a tracolla e un passeggino vuoto. Fanno una cernita passando da una tenda di accoglienza all’altra, poi scompaiono.

Grigore è un volontario della Radautiul civic. Ci racconta che al di là del confine, in Ucraina, il mercato nero è “alimentato da persone che fanno ‘shopping’ gratis negli stand in Romania, e si rivendono a caro prezzo quanto preso”. Cosa rende di più? Pannolini e latte in polvere per bambini. “È risaputo che alcuni fanno così, i furbi li riconosci subito, quando sei qui già da un po’ ci fai l’occhio – spiega -. All’inizio c’era più confusione e passavano inosservati, si mescolavano con la folla. Ma ora non c’è più quasi nessuno e quando si fermano con la macchina guardo subito la targa per sapere se vengono da zone colpite oppure no”.

L’interno di uno stand nel campo di accoglienza a Siret, foto di T.Migliati

È amara la voce di Grigore, l’accento vagamente emiliano, vent’anni trascorsi in Italia e ora tornato nel suo paese con la moglie. Lavora, fa il volontario, e molti rifugiati li ha accolti in casa sua. Dall’inizio della guerra sono passate quattro famiglie. Quasi tutte donne, con madri, suocere e bambini. I mariti restano in Ucraina, sono donne quelle che passano la frontiera. Superano il dolore di dover lasciare il marito e affrontano quello di crescere i figli lontano dalla loro terra, uno sradicamento fisico ed emotivo. Per quanto tempo? non si sa, ma tutti vogliono tornare presto, un piede fuori dall’Ucraina il cuore ancora lì dentro.

Così, molti stanno invertendo la rotta. Gli operatori al confine ci raccontano che sono in aumento le macchine di rientro in Ucraina. Comprese quelle che devono essere ancora immatricolate e che sono diventate un caso. Lo “sdoganamento zero” è un provvedimento che nelle intenzioni del governo mirava a incentivare gli acquisti di auto da parte di chi ha perso la sua nei bombardamenti. Con un taglio dei costi per i residenti ucraini di circa 3000 euro. Ma dopo che la voce si è sparsa anche oltre confine, il traffico di auto immatricolate in Ucraina ma destinate al mercato in tutta Europa, è diventato consistente, con grandi margini di guadagno per i privati, di perdite per lo Stato e di congestione delle code in entrata in Ucraina.

È tardi, la frontiera chiude i battenti. I camionisti ancora in fila si preparano per un’altra notte. I volontari negli stand iniziano a chiudere le tende, l’aria a Siret si fa umida. Sono giovani fra i 20 e i 30 anni. A mezzanotte di sabato sera forse vorrebbero trovarsi in un locale a ballare e divertirsi fino a tardi. Ma sono lì, alla frontiera con l’Ucraina, in un tendone di plastica in mezzo alla campagna, nessuno che tenga loro compagnia. In attesa di tornare domani, in fondo è un altro giorno.

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