Geopolitica

L’Iran ha diritto al nucleare: ecco cosa prevede l’accordo e perché ci riguarda

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2 Aprile 2015

Finalmente il tanto atteso accordo sul nucleare iraniano è arrivato. Ci sono voluti otto giorni, con due di estensione rispetto ai tempi previsti, perché i P5+1, i sei paesi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite insieme alla Germania, dessero il via libera ad un’intesa definitiva che metta fine a dodici anni di contenzioso nucleare. Una pagina storica per la storia del Medio oriente: è stato subito il commento del segretario di Stato John Kerry e del ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ha parlato di un mondo più sicuro in seguito all’accordo e di «verifiche senza precedenti» per impedire qualsiasi deviazione militare del programma nucleare a scopo civile.
I termini dell’accordo

Sebbene il testo finale sarà firmato soltanto il prossimo 30 giugno e solo ora si passa alla stesura dell’intesa, di fatto il vero passo avanti è stato compiuto. La bozza annunciata a Losanna ammette di fatto che l’Iran prosegua nel suo programma nucleare a scopo civile. Non solo, prevede la cancellazione di tutte le sanzioni internazionali, contestualmente al rispetto dei requisiti dell’accordo annunciato in una conferenza congiunta dall’Alto rappresentante per la politica dell’Unione europea Federica Mogherini e dal suo omologo iraniano, Javad Zarif.

Proprio come voleva Tehran, Stati Uniti e Unione Europea si sono impegnati a cancellare sanzioni primarie e secondarie imposte negli ultimi anni contro il nucleare iraniano, e inasprite dal Congresso Usa nel 2010. Questo sarà sancito non dal Congresso stesso (con la sua riluttante maggioranza di Repubblicani) ma da una risoluzione delle Nazioni unite che cancellerà anche i precedenti provvedimenti che avevano strozzato l’economia iraniana.

L’accordo entrerà in vigore in diverse fasi di dieci, venti e venticinque anni. Si è trattata quindi di una decisione cruciale, di una maratona senza precedenti in questo secolo, di un’intesa dalla portata storica. Ma anche l’Iran ha dovuto concedere non poco ai P5+1. Saranno sospesi i due terzi della capacità di arricchimento dell’uranio da parte iraniana. La centrale di Natanz sarà la sola struttura di arricchimento dell’uranio attiva nel paese. Gli altri siti per l’arricchimento saranno convertiti in centri di ricerca tecnologica. Non si fa quindi riferimento al trasferimento di centrifughe in Russia, proposta avanzata da Mosca e mai accettata da Tehran. Nella centrale di Fordo non sarà presente materiale fissile e questo per rassicurare tutti i detrattori delle intenzioni genuinamente pacifiche del nucleare iraniano. E così nel rispetto dei Trattati di non proliferazione e dei protocolli addizionali, l’Iran avrà diritto ad andare avanti con il suo programma nucleare civile. Contestualmente all’intesa si avvieranno programmi di cooperazione internazionale e in materia di sicurezza, del tutto impensabili fino a pochi anni fa.
Gli effetti regionali dell’intesa: favorevoli e contrari

Questa decisione darà nuova stabilità al governo sciita al potere a Baghdad, rafforzerà la presidenza siriana e potrebbe ridimensionare lo Stato islamico, che l’Iran combatte in Siria, faciliterà la stabilizzazione dell’Afghanistan e forse ridimensionerà le mire saudite sullo Yemen.

Molti a Tehran hanno gioito per la fine del contenzioso nucleare. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, prima della sua rielezione, era intervenuto al Congresso Usa e aveva avvertito delle gravissime conseguenze che avrebbe comportato un’intesa. Al discorso non aveva preso parte il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama che non aveva gradito l’invito.

Ma a spingere per l’intesa sono stati prima di tutto Russia, Cina e Germania, mentre Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno frenavano gli entusiasmi. Per i russi era tutto pronto da giorni. «Si può dire con certezza relativa che c’è l’accordo di principio», assicurava nei giorni precedenti l’intesa il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. L’accordo è vantaggiosissimo per gli interessi russi che già sfruttano ampiamente l’isolamento di Tehran per fare affari miliardari e trasferire in Iran tecnologia di bassa lega. Sulla stessa onda è la Cina che continuava a premere per un’intesa.

Ma ancora una volta a frenare gli entusiasmi sono state Parigi e Londra. 47 senatori Repubblicani avevano inviato una lettera alla guida suprema iraniana Ali Khamenei, avvertendolo che, anche in caso di accordo, la fine delle sanzioni non sarebbe stata approvata dal Congresso Usa. «Abbiamo un accordo generale ma ci sono molti nodi da sciogliere», aveva prudentemente dichiarato ieri, dopo anni di colloqui, il ministro degli Esteri inglese Philip Hammond.
Le tappe del negoziato

La questione del nucleare iraniano sembra infinita. La crisi nucleare si è aperta nel 2003, quando il Consiglio nazionale della Resistenza dell’Iran ha denunciato la presenza di siti non segnalati all’Agenzia per l’energia atomica (Aiea) e lo sviluppo di programmi di arricchimento dell’uranio nelle centrali di Natanz, Arak e Saghand. In verità, già lo Shah, che governava prima della rivoluzione Khomeinista, aveva intenzione di sviluppare un programma che rendesse l’Iran capace di dotarsi della tecnologia adatta per ottenere l’intero ciclo nucleare. E così nel 1968, l’Iran firmò il Trattato di non proliferazione nucleare, ratificato nel 1970. Da allora, furono siglati vari accordi con Germania e Francia per la costruzione di impianti nucleari. Nel 1974 la Siemens iniziò a costruire il sito di Busher I e II, mentre nel 1976 furono avviati impianti per l’arricchimento dell’uranio. Con la Rivoluzione del 1979, i programmi nucleari vennero sospesi. Ma, a metà degli anni Ottanta, Cina e Pakistan accordarono la loro assistenza per fornire tecnologia nucleare all’Iran e formare personale adeguato. Nel 1990, l’Unione Sovietica (Urss) siglò un accordo con Teheran per completare l’impianto di Busher. Da allora numerosi altri siti sono stati attivati, oltre a quelli già citati, nelle province di Yazd e Esfahan.

Dopo le denunce del Consiglio nazionale della Resistenza dell’Iran, nel giugno del 2003, sono arrivate le prime ispezioni dell’Aiea nella centrale di Natanz. È stata riscontrata la presenza di uranio arricchito. La questione non è stata subito demandata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il che avrebbe comportato sanzioni economiche per l’Iran. Già nell’ottobre del 2003, i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna si sono recati a Teheran per tentare di risolvere il contenzioso. Le autorità iraniane si dissero impegnate in progetti per l’uso civile delle tecnologie nucleari, pronte a sospendere l’arricchimento dell’uranio e a collaborare con l’Aiea.
Tra nucleare e propaganda: il dibattito in Iran e gli effetti delle sanzioni

L’insistenza della posizione iraniana ha chiarito per anni l’uso sostanzialmente propagandistico che la leadership rivoluzionaria voleva conferire al tema nucleare. Tuttavia, la necessità di proseguire nelle attività di arricchimento veniva affermata dall’intero spettro politico, gli unici distinguo tra riformisti e conservatori hanno riguardato lo sforzo necessario per l’alleggerimento delle sanzioni internazionali.

Eppure le sanzioni internazionali approvate contro l’Iran hanno colpito soprattutto la popolazione. Prevedono restrizioni anche per i leader iraniani: dal divieto di espatrio per gli scienziati nucleari di Teheran ai limiti al commercio di beni che possono essere utilizzati per fini militari. Nel 2010, il Consiglio di sicurezza ha anche adottato alcune sanzioni contro i pasdaran, sospettati di avere un ruolo chiave nel programma nucleare. Inoltre, l’Unione europea ha bloccato l’import e l’export di armi, di tecnologia che può essere usata a fini militari o nucleari e di telecomunicazioni. Ha poi bandito ogni forma di finanziamento al settore petrolifero, del gas e ha messo sotto stretta osservazione le transazioni finanziarie da e verso l’Iran. Questi provvedimenti hanno prodotto una grave crisi valutaria e alti tassi di inflazione che hanno direttamente colpito la classe media iraniana.

Ora si volta pagina. Il 2 aprile del 2015 è una data da ricordarsi: perché ha segnato un cambio di passo nella storia dell’Iran e del mondo intero.

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