Geopolitica

A. Ghaderi: ‘Iran-USA, scontro tra imperialismi’

8 Gennaio 2020

Intervista ad Alì Ghaderi (Fedayn del Popolo Iraniano)

Il 2020 inizia all’insegna della tensione geopolitica. Focolai di questa tensione la Libia, ma soprattutto il Medio Oriente, dopo l’eliminazione di Qassem Soleimani, comandante delle brigate al Qods, le truppe speciali dei Pasdaràn, i Guardiani della Rivoluzione iraniana. Perché l’amministrazione Trump ha superato quella soglia che George W. Bush e Barack Obama avevano rifiutato di oltrepassare, procedendo all’eliminazione di una figura chiave della Repubblica Islamica? Si è trattato di un ‘guizzo emozionale’, come ha scritto a caldo Dario Fabbri su Limes030120 (paywall), o di una semplice mossa pre-elettorale, come sostiene una buona parte dei commentatori? E quali potrebbero essere le conseguenze? Un’escalation che potrebbe culminare in una guerra aperta oppure una risposta limitata? Per Alì Ghaderi, responsabile esteri dei Fedayn del Popolo Iraniano (parte del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, l’opposizione iraniana all’estero, insieme all’organizzazione dei Mojaheddin), aldilà delle dichiarazioni di rito i primi segnali provenienti dall’Iran indicano una certa cautela da parte del Regime e persino il bombardamento delle due basi militari americane ieri non implicherebbe inevitabilmente una escalation. Sulle conseguenze dell’uccisione di Soleimani segnaliamo anche le interessanti note pubblicate nei giorni scorsi da due autorevoli istituti di studi strategici, CESI040120 e ISPI050120, che ci presentano una quadro più realistico e un giudizio più equilibrato di quello espresso da Limes sulle ragioni della mossa americana. Cominciamo proprio da qui.

La decisione dell’amministrazione americana di assassinare Qassem Soleimani può essere attribuita solo a ragioni elettorali oppure a un ‘guizzo emozionale’, come ha scritto Dario Fabbri su Limes?

Certamente no. Si tratta di un atto maturato come effetto di diverse spinte. Da una parte bisogna comprendere che la politica americana in Medio Oriente sotto l’amministrazione Trump non è cambiata tanto quanto ci vogliono far credere, sia perché il presidente americano non è un pazzo scriteriato sia perché al suo fianco ci sono gli esperti apparati responsabili della sicurezza nazionale. Da sempre gli USA considerano il controllo sulla regione medio-orientale un obiettivo irrinunciabile. Può trattarsi di una forma di controllo più stretta o, come nell’attuale filosofia della Casa Bianca, più rilassata e in parte realizzata tramite alleati come l’Arabia Saudita o Israele. Ma Washington non ha mai pensato di farsi da parte e di recente il progressivo ‘disimpegno’ americano nella regione aveva portato a una rapida espansione e a un consolidamento dell’influenza iraniana. Questo per gli USA non è tollerabile.

Un’influenza che in Iraq era cresciuta a dismisura…

In Iraq gli americani, dopo l’occupazione e l’uccisione di Saddam, avevano deciso di lasciare che gli sciiti, sotto l’influenza di Tehran e di milizie locali filoiraniane come l’esercito del Madhi capeggiato da Moqtada al-Sadr, governassero il paese. Questa situazione ha provocato nella popolazione, in larga parte sunnita, una crescente insofferenza verso l’ingerenza iraniana nella politica irachena. Nelle ultime settimane questa insofferenza ha alimentato una mobilitazione di piazza contro il governo sciita che in Piazza Tahrir a Baghdad ha trovato il proprio luogo simbolico. Si tratta di manifestazioni che per alcuni versi hanno assunto un orizzonte più ampio, tanto che ne sono venute espressioni di solidarietà alla parallela mobilitazione contro gli ayatollah in Iran e abbiamo visto anche striscioni contro le politiche neoliberali che mettevano insieme la lotta degli iracheni con quella di altri paesi attraversati da ampie mobilitazioni per la democrazia e persino con gli scioperi contro la riforma delle pensioni di Macron in Francia.

A questa mobilitazione c’è stata una reazione…

Sì, ci sono state anche manifestazioni antiamericane e le milizie filoiraniane presenti in Iraq, circa 8.000 uomini, da una parte hanno contribuito a reprimere le proteste di Piazza Tahrir e dall’altra si sono fatte scudo delle manifestazioni antiamericane, mettendo sotto assedio la green zone a Baghdad, all’interno della quale si trovano i centri nevralgici della presenza americana in Iraq e la stessa ambasciata, a cui i manifestanti hanno dato l’assalto. In pratica gli USA in Iraq si sono trovati circondati. L’uccisione di Soleimaini è anche una reazione a questa offensiva iraniana e un modo per alleggerirne la pressione.

Chi è e cosa rappresenta Soleimani?

E’ il comandante delle milizie Al-Quds, le forze speciali dei Pasdaràn e viene comunemente indicato come il numero due della Repubblica Islamica, ma potremmo forse considerarlo anche qualcosa di più, anche se, quando si era parlato di una sua candidatura a Presidente della Repubblica, lui aveva smentito, rivendicando la propria vocazione a rimanere un semplice soldato. La ragione di questo potere è che spesso nella storia recente dell’Iran il Regime, preso da gravi problemi interni, ha appaltato a Soleimani la gestione dell’intervento iraniano all’estero, permettendo alla sua influenza di crescere. Lui d’altra parte ha dato a Tehran una strategia. E’ stato lui a imporre l’idea che in Siria bisognava assolutamente salvare Assad e a volare a Mosca per convincere Putin a fare suo questo obiettivo. La presenza all’estero, che per molti anni per l’Iran aveva avuto un valore in larga misura ideologico, con Soleimani è diventata strategia politica, cioè lo strumento con cui esportare la Rivoluzione islamica. Una strategia supportata da ingenti finanziamenti da parte della Repubblica Islamica, probabilmente svariati miliardi di dollari l’anno, a cui si aggiungono i proventi del traffico di armi e di tutti i flussi della droga prodotta in Afghanistan e che attraversa i territori controllati dalle milizie iraniane.

E per la popolazione medio-orientale?

In Siria Soleimani era stato soprannominato l’assassino di bambini’ per aver fatto sterminare migliaia di donne e bambini rimaste sole coi propri figli dopo la fuga dei loro uomini e in molte città la gente è scesa in piazza per festeggiare la sua uccisione, ma manifestazioni analoghe sono state registrate anche altrove, ad esempio nella Striscia di Gaza. Ma andando indietro nel tempo le brigate al-Quds sono responsabili anche degli attentati alla comunità ebraica a Buenos Aires, nel 1994, che uccisero 85 persone e Soleimani è considerato il cervello degli eccidi di membri della resistenza iraniana a Camp Ashraf in Iraq. I manifestanti di Piazza Tahrir hanno indicato in Soleimani uno di responsabili della repressione contro di loro e hanno preso le distanze dalle manifestazioni antiamericane appoggiate dal Governo e dalle milizie sciite. Ovviamente, come sto cercando di spiegare da qualche giorno, non si tratta di schierarsi con Trump o di giustificare la sua decisione, ma di prendere atto di fatti oggettivi. Soleimani è stato effettivamente un assassino e la sua uccisione è stata salutata da molti che avevano subito sulla loro pelle gli effetti della sua politica come un fatto positivo.

Quali conseguenze avrà l’eliminazione di una figura così importante sulla stabilità del Regime?

Intanto bisogna dire che gli USA hanno colpito anche altre figure legate a Tehran. In Iraq è stato ucciso anche Hamed al-Jazayeri, comandante delle milizie Saraya al-Khorasani, e lo stesso Moqtada al-Sadr, che pure nelle scorse settimane aveva invitato timidamente Tehran a non intervenire negli affari interni dell’Iraq, è in pericolo. Ma nel mirino americano ci sarebbero anche i comandanti militari iraniani in Yemen e in Libano. La strategia di Washington, infatti, è quella di colpire in modo chirurgico tutti gli snodi e i personaggi chiave della presenza iraniana in Medio Oriente. E molti di questi capi militari hanno cominciato a sentirsi minacciati. Quindi il primo effetto è l’indebolimento del Regime, ottenuto colpendolo sul piano internazionale e minando la sua influenza in Medio Oriente. Allo stesso tempo però l’esponente di punta dei Pasdaràn era diventato un simbolo dell’invincibilità della Repubblica Islamica e quindi la sua eliminazione è un colpo terribile per Khamenei anche sul fronte interno, in un momento in cui il Regime affronta forti contestazioni. Per gli amanti del complottismo invece segnalo che sta già circolando la tesi secondo cui in realtà ci sarebbe stato un accordo tra Trump e l’Iran per eliminare uno dopo l’altro John Bolton, il capo dei falchi alla casa Bianca e Soleimani, considerato il capo dei falchi a Tehran.

Uno dei temi di discussione è cosa farà Tehran. Si parla in particolare delle possibili ritorsioni evocate nei giorni scorsi.

Intanto il Regime sta cercando di fare un utilizzo interno della morte di Soleimani per mostrarsi forte e far dimenticare il clamore delle manifestazioni del mese scorso. E’ quanto hanno fatto usando la cerimonia funebre per Soleimani come una celebrazione della Repubblica Islamica. Per quanto riguarda le ritorsioni da una parte è chiaro che l’Iran è costretto a ricorrervi, dall’altra però nelle prime dichiarazioni ufficiali dopo l’attacco americano è emersa una certa cautela. Rohani, ad esempio, ha incontrato le figlie di Soleimani che chiedevano vendetta e ha risposto loro che la vera vendetta sarà quando i tentacoli americani nel Medio Oriente saranno recisi, una risposta decisamente fumosa. Anche Esmail Ghaani, ex braccio destro di Soleimani e suo successore alla guida di al-Qods, ha esortato alla calma, osservando che è importante colpire bene piuttosto che colpire subito, probabilmente un messaggio inteso a evitare iniziative spontanee da parte delle milizie filoiraniane sparse in tutta la regione. E’ indicativo il fatto che pur di dare il segno di una pronta reazione le milizie iraniane a Baghdad abbiano bombardato l’ambasciata americana vuota, dopo che erano già state pubblicate le foto dell’ambasciatore USA che si imbarcava su un elicottero per mettersi in salvo. E anche i missili scagliati  contro le basi americane di al-Asad ed Erbil, pure questi, a quanto pare, senza fare vittime occidentali, mi sembrano destinati più a uso interno. Per farsi un’idea degli scenari più probabili ora bisognerà attendere le decisioni di Trump. In ogni caso Tehran si trova in una posizione molto rischiosa. Trump comunque ha segnato un punto a suo favore ed la reazione iraniana potrebbe fornirgli la legittimazione per mettere in atto attacchi ad altri obiettivi, inclusi i siti nucleari, da tempo nel mirino del Pentagono. L’attacco di al-Shabaab a una base americana in Kenya e le frasi minacciose rivolte nei giorni scorsi dalle figlie di Soleimani ai soldati USA nel Sud Est asiatico e alle loro famiglie indicano che ulteriori ritorsioni potrebbero arrivare là dove la presenza americana è più vulnerabile.

D’altro canto le reazioni dei maggiori protagonisti internazionali all’attacco americano sono apparse abbastanza tiepide.

Infatti. Putin ha dichiarato che l’eliminazione di Soleimani è ‘preoccupante’. Il Ministro degli Esteri cinese al telefono col suo omologo iraniano ha detto che gli USA non dovrebbero abusare della forza e che serve uno sforzo diplomatico. La Francia, cioè la potenza militare europea che ha interessi più rilevanti nella regione, è rimasta in silenzio, in parte perché ha due accademici francesi detenuti nelle carceri iraniane con l’accusa di spionaggio, ma anche perché non può che essere soddisfatta del fatto che, ad esempio, alcuni tra i maggiori esponenti iraniani in Libano stiano fuggendo dal paese. Per Parigi la progressiva ascesa di Hezbollah a scapito delle fazioni tradizionalmente più vicine alla Francia, come ad esempio i drusi, è sempre stata fonte di problemi e oggi la fuga degli emissari di Tehran indebolisce oggettivamente il ‘partito di Dio’. L’Italia è un caso a parte e un clamoroso esempio di irrilevanza geopolitica. Se i mezzi che hanno ucciso Soleimani sono partiti dalle basi militari americane sul tuo territorio o quanto meno si sono appoggiati ai sistemi di controllo radar americano in Italia, è evidente che non puoi nasconderti dietro la posizione dell’UE, come hanno fatto Di Maio e Conte. E mentre Di Maio balbetta, Di Battista bolla come ‘stupido e vigliacco’ il raid americano e annuncia che presto andrà in Iran.

Come abbiamo già ricordato altre volte le dichiarazioni di Di Battista riflettono un atteggiamento presente anche in larga parte della sinistra, che vede nell’Iran un ‘oggettivo argine’ all’imperialismo americano in Medio Oriente.

Il problema è che qui siamo di fronte allo scontro tra due imperialismi: quello regionale iraniano e quello globale americano. Chi oggi piange Soleimani o, più astutamente, difende l’Iran in nome della ‘legalità internazionale’, mentre il mese scorso non ha speso una sola parola sulle manifestazioni in Iran, sacrifica a quel presunto antimperialismo le ragioni di chi nel nostro paese lotta contro il Regime e si scontra con una repressione violenta e brutale. Secondo le nostre stime a dicembre in due settimane sono state uccise 1.500 persone e ci sono stati 12-13.000 arresti. In Iran, così come in tanti paesi mediorientali dove la gente in questi anni è scesa in piazza reclamando democrazia e protestando contro le politiche neoliberali dei propri governi, il solo nome di Soleimani e delle milizie al-Quds suscita paura ed evoca immagini di sterminio e brutale repressione.

L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 7 gennaio.

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