Esteri
Europa-Iran: negoziati nel pantano, Italia più assente che mai
A Vienna i colloqui per risolvere il contenzioso sul nucleare iraniano si sono chiusi con un rinvio fino a giugno. Washington e Parigi hanno spinto per stringere i tempi. Se il ministro degli Esteri inglese, Philip Hammond, ha avvertito che c’è ancora tanta strada da fare, il suo omologo russo ha promesso di costruire nuovi reattori in Iran. Insomma i colloqui informali in Oman tra l’Alto rappresentante uscente della politica Estera dell’Unione europea, Catherine Ashton, il Segretario di Stato Usa, John Kerry, e il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif non hanno portato a molto.
Eppure stupisce che non abbia partecipato ai colloqui Federica Mogherini, la lady Pesc che ha assunto pieni poteri il primo novembre scorso. Pochi si sono accorti della sua assenza. E Mogherini non ha fatto mancare il suo consueto appello perché si arrivasse a «una soluzione diplomatica completa» e ha promesso di nominare un nuovo negoziatore. Tuttavia, queste parole suonano vuote perché la baronessa Ashton, che conduce ormai i colloqui da tempo, ha siglato lo storico accordo ad interim di Ginevra del 24 novembre 2013 e ha continuato a partecipare ai round negoziali di Vienna, ha saputo stralciare la questione nucleare dall’incarico di Alto rappresentate. Un’assenza assordante, quella di lady Pesc, che fonti europee fanno risalire ad accordi precedenti alla nomina stessa di Federica Mogherini a commissario europeo.
Mogherini e il nucleare iraniano
In realtà la questione dell’accordo sul nucleare iraniano è il dossier di politica estera più complesso per le diplomazie dei Paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con la Germania (P5+1) e quindi per l’Unione europea, così come per gli Stati Uniti e la Russia. Risolvere lo stallo che dura da undici anni con l’Iran comporterebbe non solo nuove opportunità di accordi economici bilaterali e investimenti, ma anche di affrontare in modo più equilibrato tre tra le più gravi crisi regionali: dai jihadisti dello Stato islamico (Isis) che avanzano in Iraq fino alla Siria e all’Afghanistan, dove Teheran gioca un ruolo centrale. Lo stralcio del dossier nucleare dalle competenze di Mogherini, dopo quasi un mese di incarico in cui si segnala solo una visita ad effetto a Gaza, ridimensionano non poco il ruolo di Mogherini in Europa.
Eppure Lady Pesc era apparsa sicura e disinvolta nella sua audizione al Parlamento europeo del 6 ottobre scorso, ma proprio sull’Iran era sembrata al quanto impacciata. Aveva sottolineato la necessità di tenere separati i colloqui sul nucleare dalle violazioni dei diritti umani di cui è responsabile l’Iran. «Spero si raggiunga un accordo entro il 24 novembre che non ha niente a che vedere con i diritti umani. Le due cose devono essere completamente separate», aveva detto. Queste dichiarazioni, passate largamente inosservate, avevano fatto storcere il naso a non pochi deputati conservatori e riformisti dell’europarlamento. E rafforzato una tesi che nei corridoi della Farnesina circola da mesi, secondo la quale Mogherini sia stata, sin dal giorno della sua nomina a ministro degli Esteri italiano, una scelta temporanea per sostituire Emma Bonino come rappresentante della diplomazia italiana, in vista della sua nomina a Bruxelles, in attesa di un ministro di maggiore esperienza. La ricostruzione sarebbe confermata dalla successiva esclusione di alcuni nomi di “outsider”, circolati poche ore dopo le dimissioni di Mogherini, per arrivare poi alla nomina alla Farnesina di Paolo Gentiloni.
Perché l’Italia è sempre stata esclusa dal negoziato?
Che l’Italia non sia benvoluta nel contesto del negoziato con l’Iran è cosa nota. Nell’ottobre 2013 l’allora premier italiano Enrico Letta, rispondendo alle domande dei giornalisti ai margini dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha manifestato interesse per una partecipazione italiana al negoziato sul nucleare. L’Italia per anni è stata, insieme alla Germania, il primo partner commerciale europeo dell’Iran e il quinto globale, dopo Russia, Cina e Giappone. Le sanzioni internazionali a Teheran hanno dato un duro colpo all’economia italiana. È complesso ricostruire il ruolo italiano nel negoziato con l’Iran. Di sicuro, a partire dalla creazione del gruppo di contatto europeo dell’ottobre 2003, per poi passare al tentativo negoziale degli incontri tra autorità iraniane e italiane nel 2006, Roma non ha mai seduto al tavolo negoziale.
Quando nel 2003 Francia, Germania e Gran Bretagna (E-3) hanno aperto i colloqui negoziali con l’Iran, l’Italia era presidente di turno del Consiglio europeo. I tre paesi Ue hanno avviato contatti con le autorità iraniane per fermare il programma nucleare e per raggiungere un accordo, allo scopo di evitare possibili iniziative unilaterali degli Stati Uniti. Secondo fonti diplomatiche, gli iraniani hanno chiesto ad altri Paesi, tra cui l’Italia, di entrare a far parte del gruppo di contatto. Nonostante ciò, l’Italia nell’ottobre del 2003 non è entrata nel negoziato per il nucleare iraniano, poiché, in quel momento, l’evoluzione del negoziato appariva del tutto ambigua. Da una parte, la leadership iraniana sembrava infastidita dai modi con cui la questione era stata sollevata, dall’altra, le possibili iniziative degli Stati Uniti apparivano ancora incerte.
I colloqui del gruppo di contatto non avevano il sostegno dell’amministrazione Usa, e neppure di tutti i Paesi europei. Questo ha indebolito in modo rilevante la credibilità dei negoziatori agli occhi delle controparti iraniane. Gli iraniani hanno deciso di sospendere volontariamente e temporaneamente l’arricchimento dell’uranio nel novembre del 2004. Soltanto nei primi mesi del 2005 gli E-3 hanno ottenuto l’avallo dell’Ue e l’appoggio degli Stati Uniti. Tuttavia, pochi mesi dopo, nell’agosto 2005, l’Iran ha ripreso le attività preliminari all’arricchimento dell’uranio in alcuni suoi impianti provocando l’interruzione del negoziato con gli E-3. In quel momento, si apriva una nuova fase nella politica iraniana con il fallimento del movimento riformista e l’inasprimento dei conservatori in seguito alle elezioni parlamentari del 2004 e presidenziali del 2005. La questione nucleare era divenuta per la leadership iraniana sempre più elemento di coesione interna e soggetto di discorsi retorici di politica estera.
È proprio nell’autunno del 2005, nel momento in cui il negoziato appariva compromesso e l’iniziativa europea priva di seguito, che la diplomazia italiana ha condotto una serie di colloqui informali. Secondo un articolo apparso su Asia Times, il 7 settembre 2005 dal titolo Iran Knocks Europe Out, le autorità iraniane facevano pressioni sui Paesi non presenti ufficialmente nel negoziato perché presentassero proprie proposte. Il governo italiano sarebbe intervenuto presso mediatori russi sostenendo iniziative alternative. Ciò avrebbe spinto il presidente russo, Vladimir Putin, ed il ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, a presentare la nota proposta russa: permettere all’Iran di arricchire l’uranio in territorio russo. Questo attivismo diplomatico dimostrerebbe l’interesse italiano di entrare a far parte ufficialmente del negoziato sul nucleare iraniano sostenendo nuove concessioni.
Le promesse non si sono trasformate in realtà
Nel 2006 c’è stato il primo deferimento dell’Iran al Consiglio di Sicurezza dell’Onu (febbraio 2006). Il 31 luglio 2006, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato la risoluzione 1696 che chiedeva all’Iran di cessare l’arricchimento dell’uranio, facendo richiamo al capitolo VII (art.41) della Carta Onu, che prevede la possibile imposizione di sanzioni. Un’importante novità venne dalle dichiarazioni degli Stati Uniti. Anche allora, Washington si diceva pronta al negoziato diretto con Teheran ponendo come precondizione la sospensione dell’arricchimento dell’uranio. Nonostante un negoziato diretto tra le parti avrebbe costituito un vero segno di discontinuità, non erano chiare le concessioni che gli Usa erano disposte a fare alle autorità iraniane.
Negli stessi mesi il governo Prodi mostrò insofferenza per l’esclusione dell’Italia dalle iniziative negoziali. Si intensificarono così gli incontri bilaterali. Il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema incontrò due volte Ali Larijani, capo negoziatore iraniano, varie volte il ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki. Allo stesso tempo, il presidente del Consiglio Romano Prodi incontrò Larijani ed ebbe un colloquio con il presidente iraniano Ahmadinejad il 20 settembre 2006 alle Nazioni Unite. I due politici italiani si sono espressi, poi, a sostegno dell’iniziativa negoziale dell’Ue, guidata da Javier Solana, che aveva accompagnato i colloqui del gruppo di contatto sin dalla sua formazione e che ha acquisito, come Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, la funzione di unico interlocutore europeo nelle ultime fasi negoziali (ruolo mai accordato a Mogherini). Inoltre, secondo fonti diplomatiche francesi, l’Italia ha partecipato inviando emissari all’incontro 5+1 (i cinque membri del Consiglio di sicurezza e la Germania) del 7 settembre 2006 a Berlino. Il ministro degli Esteri D’Alema ha partecipato anche all’incontro del 20 settembre a New York del 5+1 trasformandolo di fatto in 5+2.
L’Italia iperattiva con Teheran
A questi elementi bisogna aggiungere i continui colloqui che l’ambasciata italiana a Teheran teneva con i capi negoziatori e le principali autorità iraniane. L’iperattivismo delle autorità italiane chiariva la posizione da protagonista che l’Italia avrebbe voluto avere nei negoziati. Roma, nel caso in cui fossero state imposte sanzioni all’Iran per la questione nucleare, avrebbe avuto un danno economico rilevante e si sarebbe allontanata da un Paese con cui aveva buoni rapporti e a cui, mai, neppure negli anni della rivoluzione, aveva negato il suo supporto. Il governo italiano aveva l’interesse che ciò non avvenisse e possedeva gli strumenti per sostenere nuove proposte e convincere le autorità iraniane a dare un segno di discontinuità in quella fase critica.
Ma con l’inasprimento delle sanzioni all’Iran e l’avvento del terzo governo di Silvio Berlusconi, il ruolo italiano nel negoziato è stato completamente azzerato. In particolare, le dichiarazioni contro il governo di Mahmoud Ahmadinejad durante la visita di Berlusconi a Gerusalemme del gennaio 2010 hanno provocato l’assalto da parte di decine di affiliati alle forze paramilitari, basiji, alla sede diplomatica italiana a Teheran.
E così l’esclusione dell’Italia dal negoziato nucleare con l’Iran non è una novità. Ma questa volta non è esclusa solo la diplomazia italiana dai colloqui ma la sua principale espressione, Federica Mogherini, Lady Pesc dimezzata, forse già ingombrante a Roma come ministro degli Esteri, e ancora più inadeguata a prendere tra le mani un dossier che scotta come quello nucleare. E, insieme a lei, l’Italia è ancora una volta esclusa dalla decisione di politica estera che segnerà nel bene o nel male una svolta nelle crisi che dilaniano il Medio Oriente.
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