Africa
Dormite sereni, l’Ebola ucciderà (quasi) solo in Africa
Chi negli anni ’80 non era più bambino forse ricorderà uno spot del Ministero della Sanità in cui figure umane con un alone di luce fluorescente attaccavano la luce viola ad altre persone. Lo spot, con sottofondo musicale piuttosto angosciante, si chiudeva con una frase rimasta storica per gli adolescenti di allora: “Se lo conosci lo eviti. Se lo conosci non ti uccide”. Lo spot parlava di Aids e del virus africano di fine millennio che aveva cominciato a mietere migliaia di vittime nelle comunita’ gay americane e che stava contagiando rapidamente il mondo intero. Sono passati trentanni: 75 milioni di persone sono rimaste infette nel mondo e 36 milioni sono morte di Aids. L’allarme degli anni Ottanta, a posteriori, era piu’ che giustificato; l’allarme di oggi su ebola è altrettanto giustificato?
L’epidemia di ebola è cominciata in Africa occidentale più di sei mesi fa. Ad oggi ha colpito 14,000 persone uccidendone 5,000. Il 99,8% dei casi sono stati registrati in solo tre paesi: Liberia, Guinea e Sierra Leone. Le poche infezioni in America, Spagna, Senegal e Nigeria sono state al momento controllate, segnale che dove i sistemi sanitari tengono, il virus ha e avra’ vita molto difficile. Anche in Liberia, paese piu’ colpito dall’epidemia, gli ultimi dati indicano una riduzione sostanziale del numero di nuovi casi. L’ isolamento dei pazienti infetti, le procedure igieniche di sepoltura dei cadaveri, e campagne di comunicazione di massa stanno avendo effetto anche nell’epicentro della crisi.
Da un punto di vista epidemiologico, quindi, la situazione non deve preoccupare in Occidente: casi sporadici potranno apparire nelle prossime settimane, ma è altamente improbabile che l’epidemia possa accelerare (a meno di mutazioni del virus che possano aumentarne drammaticamente l’infettivita’, cioe’ la capacita’ di trasmettersi da persona a persona). La situazione rimane invece molto seria in Africa occidentale, particolarmente in Sierra Leone, e nell’eventualita’ di trasmissione del virus in altri paesi con sistemi sanitari fragili.
Mentre in America e in Europa l’ ebola è al momento frivolo materiale da talk shows, in Africa occidentale l’ emergenza sanitaria è diventata un’emergenza sociale, economica e politica di proporzioni enormi. Arginare l’epidemia di ebola in Africa è una priorità globale non solo per impedire l’aumento di casi nel mondo. E’ un obbligo civile e morale per limitare la sofferenza immane delle migliaia di comunita’ africane colpite, per aiutarle a ricostruire un tessuto sociale, e per fare ripartire delle economie fragili da cui dipende la stabilita’ dei paesi stessi.
L’allarme di ebola oggi e’ dunque giustificato, non perche’ questo virus ci tocchera’ da vicino (non e’ il virus dell’ Aids), ma perche’ la sofferenza di chi muore solo, dissanguato nelle proprie feci, senza nemmeno il conforto di un abbraccio o di una degna sepoltura, non puo’ e non deve lasciarci indifferenti.
Di fronte a questa emergenza che cosa puo’ fare un lettore de Gli Stati Generali? Due cose. La prima è cercare di rimanere informato (e in questo cercherò di aiutarvi con i prossimi post); la seconda e’ quella di destinare un contributo, pur piccolo che sia, alle realtà che più stanno contribuendo a contenere l’epidemia. Da un lato i Medici Senza Frontiere, organizzazione umanitaria che ha fatto e sta facendo un lavoro straordinario sul campo e che ha svolto un ruolo chiave di “advocacy” a livello globale. Dall’altro gli istituti di ricerca e sviluppo, in Italia e altrove. L’epidemia di ebola potrebbe infatti essere interrotta rapidamente se i vaccini al momento in sperimentazione si riveleranno efficaci. Ancora una volta nella storia della sanita’ pubblica, la ricerca potrebbe portare a un vaccino come soluzione ad uno dei grandi problemi sanitari del nostro mondo. Accadde per il vaiolo, malattia eradicata negli anni ’70; sta accadendo per la poliomelite, malattia in via di eradicazione. Accadra’, un giorno, per l’ ebola e forse anche per quel virus dall’alone viola fluorescente che da piu’ di trentanni corre sempre un po’ piu’ veloce degli scienziati che lo inseguono.
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