Ambiente

L’ultimo rapporto FAO parla di 26 milioni di tonnellate di pesce illegale

1 Dicembre 2021

Dati sconcertanti riguardo le quantità di prodotti ittici immessi ogni anno sul mercato in maniera illecita

 

 

La pesca compiuta illegalmente riguarderebbe circa 26 milioni di tonnellate di prodotti ittici immessi sul mercato nazionale ed estero ogni anno. Questo è quanto emerge dall’ultimo report pubblicato dalla FAO (organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura). Per attività illegale, intendiamo tutto ciò che contravviene alle norme vigenti del diritto internazionale.

Le ripercussioni di natura economica e, naturalmente, ecologica, sono molteplici e tutte con un forte impatto non smaltibile con facilità. In primis, vengono aggrediti, spesse volte, in maniera irreversibile, i fondali marini e gli habitat delle specie ittiche pescate. La diretta conseguenza di uno sfruttamento tanto intenso e sconsiderato delle profondità dei nostri mari, è una grave penalizzazione dell’attività di pescatori onesti, che praticano uno dei mestieri più antichi del mondo, ereditandolo e tramandandolo di generazione in generazione. Così come pure vi è l’indebolimento delle intere comunità costiere, sottoposte alle losche e spietate mire della concorrenza praticata illecitamente. Proprio in questo groviglio di falle politiche e socio-economiche, si fionda ghiottamente, la criminalità organizzata, interessata ad assumere il controllo esclusivo di alcune zone, in cui è maggiormente prolifera l’estrazione di tipi di pesce variegato e pregiato. La ragnatela entro la quale si registrano, purtroppo, sempre più infiltrazioni criminali, non risparmia alcuna fase della pesca, e si spinge fino in alto mare, violando anche la competenza territoriale degli stati interessati. Ma l’Ocse (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) indica un viatico non particolarmente complesso da mettere in atto, appellandosi al senso di responsabilità collettiva. Occorrerebbe, infatti, più trasparenza nei rapporti tra Stati, come primo passaggio ineludibile volto a contrastare la pesca illegale. Per esempio, attraverso la condivisione dei rispettivi registri navali, utili allo scambio di informazioni preziose per consentire di tracciare i pescherecci e le loro rotte. Ed ancor di più, sarebbe opportuna una intensificazione delle attività di controllo ad opera delle autorità preposte, facendo sorgere molte più aree marine protette (AMP), per disincentivare la pesca illecita. Senza contare i benefici che potrebbero essere apportati alla ricostruzione delle biodiversità del mare, e degli ecosistemi ivi contenuti. Se teniamo presente che, delle acque oceaniche, solo il 2,7% è protetto in modo adeguato, non è difficile comprendere quanto ancora bisognerebbe fare con la massima urgenza. Se a ciò, aggiungiamo che vi è una sottesa connivenza e resistenza delle amministrazioni locali per la creazione di ulteriori aree marine controllate, che siano in grado di fornire un ritratto realistico della situazione attuale dei nostri fondali, l’emergenza diviene ancora più evidente e non procrastinabile nell’approntare misure idonee ad arginarla. L’Unione Europea, dal canto suo, ha finanziato il progetto “Life Delfi, con il coordinamento del CNR, in cui vengono incluse quattro AMP, tra cui anche quella delle Isole Egadi. Solo nel 2020, sono stati catturati due capodogli rimasti incastrati in alcune reti delle Eolie. Per facilitare l’individuazione di pescherecci che utilizzano le reti a strascico, è stato introdotto un sistema di controllo efficace per verificare il rispetto delle norme vigenti che si divide in “Blue-Box” e segnali AIS”, anche per imbarcazioni inferiori a 15 metri, ed in più, è stato fissato il limite di velocità minima per le fasi di transito nelle varie aree, proprio per contrastare le numerose attività illegali che possono realizzarsi in questo modo. Di non secondaria importanza è anche il coinvolgimento diretto degli stessi pescatori  per il monitoraggio e la sorveglianza attiva delle aree marine in questione, specialmente nei periodi di superaffollamento.

La pesca come il mare esigono lo stesso rispetto che si deve alle risorse di inestimabile valore che ci ha donato la natura. Sfruttarli in modo estenuante e senza una logica di tutela e conservazione, velocizza un processo di distruzione del creato difficile da rimediare. Giovanni Verga, lodevole scrittore verista (di evidente ispirazione naturalista) sosteneva che: “Il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole”.

 

 

 

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