Commercio globale

La “guerra dei dazi” di Trump tra autarchia, populismo sovranista techright e caos globale: per un mondo immobile

14 Febbraio 2025

La politica commerciale del mercantilista Trump è fondata sui dazi che già veleggiano dal 1 febbraio 2025 a partire dai vicini Messico e Canada (ora sospesi viste le reazioni in tema di immigrazione) per poi scaricarsi anche su Cina ed Europa (con i dazi su acciaio e alluminio) con tutte le derivanti catene di connessioni tra queste diverse aree, comprese le reazioni uguali e contrarie. Il titolo del Wall Street Journal il più liberista dei quotidiani al mondo che titola senza circonlocuzioni: “The Dumbest trade war in History”. La “più stupida politica commerciale nella storia“. Cioè non con un termine “relativo” (riferendola al mondo) ma “assoluto” e riferendola alla storia degli USA e del mondo intero che ne è stato influenzato e che ne ha fatto la prima democrazia del mondo e la prima potenza tecnologica per capacità di produrre e distribuire ricchezza. Contraddittoria peraltro con gli sforzi profusi di pace in corso tra Ucraina e Medio Oriente (Conferenza di Monaco del 14 febbraio) seppure con fantasiose proposte (terre rare e resort) e chiedendo collaborazione da Putin a Xi Jinping. Dunque un attacco senza precedenti del WSJ facendo riferimento alla storia tutta degli Stati Uniti da quando esistono. Ha ragione? Senza alcun dubbio. Perché in generale le guerre commerciali non hanno mai visto vinti e vincitori ma solo sconfitti ed è quello che ci dice la storia economica degli ultimi 200 anni. In primo luogo è una critica nel metodo, perché quei dazi presuppongono (del 25% su molti prodotti sia in Canada che in Messico e del 10% su prodotti provenienti dalla Cina) gli USA come un sistema perfettamente sigillato o “chiuso” entro i propri confini geografici in una autarchia assoluta in quanto autosufficiente e dunque tale da non temere alcunchè dalle reazioni globali, ma anticipando già da ora che avrà effetti inflazionistici ma “solo di breve”. Insomma, una “pia illusione” inscritta in una “criptica aspettativa” totalmente sbagliata e per rendercene conto basta dare uno sguardo – nel merito – al grande cannocchiale della car industry globale che vede una filiera perfettamente integrata tra Messico, USA e Canada e coinvolgendo anche aziende europee che producono nel primo e poi esportano nel secondo (compresi segmenti di grandi imprese italiane). Una catena di fornitura che unisce questi tre grandi paesi con il Canada che per esempio nel 2024 ha fornito il 13% dei ricambi auto alle aziende americane e il Messico addirittura il 42%. E’ evidente che un tale assetto strutturale che si è formato in oltre mezzo secolo è frutto di equilibri e triangolazioni tecno-industriali e commerciali (oltre che monetarie) di un complesso eco-sistema transnazionale dove tutti sono vincitori entro logiche “win-win” per fisiologiche convergenze (economiche e sociali) e a prescindere dal colore delle amministrazioni. Reti di triangolazioni “protette” da Agenzie di supporto sociale e umanitario e che ora vengono spente improvvisamente all’insegna della razionalizzazione “feroce” innescata da Musk come con Usaid (con fondi per oltre 70 paesi del mondo per monitorare malattie endemiche e supportare rifugiati) che sostengono il commercio internazionale di beni americani e che hanno “frenato” i flussi migratori verso Occidente. Quindi si sta smontando un meccanismo auto-equilibrante via via affinato e allineato tra forme di Stato (democratiche), forme di mercato (competitive) e forme storiche-sociali (di welfare pur differenziati) di vasi comunicanti scolpiti in un complesso puzzle di investimenti, innovazioni, costi del lavoro e partnership, compresa la gestione dei migranti, ossia di competenze, idee, culture e forza lavoro utili in un prezioso multilateralismo interculturale. Infatti, l’industria ha contribuito con oltre 800 miliardi di dollari al PIL USA, ossia più dell’11% del manifatturiero totale con quasi 10 mil.ni di posti di lavoro. E’ non solo assurdo ma assolutamente stupido (come dice il Wall Street Journal) pensare che manovrando una variabile tutto si possa riversare a favore esclusivo di uno degli attori escludendo tutti gli altri. Misure che si scontrano con le leggi della fisica, prima che della ragionevolezza. Le guerre commerciali degli Stati Uniti degli ultimi 200 anni hanno avuto impatti significativi sull’economia globale e sulla società.

 

Le Guerre Commerciali Americane e gli impatti economici e sociali

 

Ecco un rapido richiamo di storia delle Guerre Commerciali Americane: A. XIX Secolo: Durante il XIX secolo, gli Stati Uniti hanno adottato politiche protezionistiche per difendere le industrie nascenti che è ciò che in parte si vorrebbe fare oggi mettendo insieme industrie sulla frontiera come per i chip/AI e industrie mature come le auto.  B. XX Secolo: Negli anni ’30, gli Stati Uniti hanno iniziato a promuovere il libero scambio e a ridurre le barriere commerciali. Tuttavia, ci sono stati periodi di protezionismo, come durante la Grande Depressione del 1929 che fu innescata da iper produzione con eccesso di offerta sulla domanda. C. XXI Secolo: La guerra commerciale più recente è stata quella tra Stati Uniti e Cina, iniziata sotto l’amministrazione Trump del 2016. Questa guerra ha visto l’imposizione di dazi su beni cinesi e risposte simili da parte della Cina che oggi si ” sommano” a quelli appena attivati dal Trump 2 che ebbero effetti inflazionistici che furono tra le cause della sua sconfitta contro Biden nel 2021. Tra gli impatti Economici e Sociali troviamo:

  1. Crescita: le guerre commerciali possono rallentare la crescita economica globale, poiché aumentano i costi per le imprese e riducono la competitività con conflitti a somma negativa. 2. Prezzi e Disponibilità: I dazi aumenteranno i prezzi dei beni per i consumatori americani in primo luogo e ridurranno la disponibilità di prodotti importati. Dunque dazi che non contribuiranno a ridurre il debito da sbilancio commerciale ma lo aumenteranno perché Messico e Canada coprono la metà del deficit commerciale e non verrà ridotto visto che reagiranno con una forza uguale e contraria. La Yale University stima una riduzione del potere d’acquisto del 20% oltre che di importazioni ed esportazioni, cioè rallentando il commercio internazionale non cambiandone gli equilibri e a sfavore anche degli USA. 3. Dollaro e monete alternative di pagamento ( globali): chiaro ormai il tentativo della Cina (e altri come i BRICS) di ridurre la dipendenza dal dollaro e del suo “privilegio esorbitante”( come ebbe a dire Giscard d’Estaing oltre 30 anni fa) e Trump con le politiche tariffarie violente e diffuse associate ad uso della deterrenza del potere militare e all’esercizio di quello oligarchico del tech right emergente (con i “battaglioni e megafoni globali” di X/Musk) non fa che accelerare questi sforzi di ricerca di “valute di riserva” anche se finora non hanno portato a nulla; visto che l’unico sforzo che andò a buon fine fu proprio la creazione dell’Euro ben 30 anni dopo il lontano “Nixon Shock” del 1971 (oltre Bretton Woods) con la liberazione del dollaro dal cambio fisso con l’oro dalla famosa dichiarazione di “inconvertibilità” che lo lasciava oscillare (al ribasso per spingere l’export USA anche dopo il dissanguamento tragico della Guerra del Vietnam e una Ricostruzione europea ormai conclusa) e la nascita dell’eurodollaro che ora si vorrebbe “colpire” proprio con guerre tariffarie; le criptovalute sono invece viste bene da Trump “agganciate” però al valore del dollaro con il grande vantaggio sull’eurodollaro del totale anonimato (“criminogeno”) e che invece vuole escludere monete digitali emesse dalla Fed che imporrebbero perfetta trasparenza transattiva (Reichlin, London Business School) che il tycoon ovviamente non vuole. Altro che “fumo negli occhi” di un sovranismo-populista sgangherato e para-muscolare con presunte guerre a migranti e droghe globali. 4. Relazioni Internazionali: le guerre commerciali hanno dimostrato di deteriorare le relazioni diplomatiche tra paesi e portare a tensioni politiche regionali e/o globali e ora toccherà all’Europa magari dividendola tra paesi (“buoni e cattivi”), ossia più colpiti o meno dai dazi modulati su base puramente ideologica a prescindere dai mercati anzi come se quel mercato tanto sventolato non avesse più alcun senso (regalo ai nuovi oligarchi che vogliono cancellare la competizione con “oligopoli punteggiati”). Le ritorsioni del Canada sono già arrivate con dazi su circa 150 prodotti americani e altri paesi (Francia in primo luogo) stanno rispondendo ricorrendo anche al WTO per sanzioni da imporre agli USA (paradossi della storia!). 5. Settori Specifici: Alcuni settori, come l’agricoltura e la produzione industriale (automobili per es.), possono essere drasticamente influenzati dalle politiche tariffarie come abbiamo già visto sia in Europa e in altri contesti regionali e da contrastare con Accordi Globali come il recente Mercosur (2024) e altri simili come in Asia RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) incrociando accordi commerciali, investimenti transfrontalieri e proprietà intellettuale con al centro il ruolo della Cina con altri 10 paesi del sud-est asiatico (Brunei, Cambogia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia, Vietnam, Malesia, Laos, Indonesia) ma anche con Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda proprio per contrastare politiche di aggressione tariffaria e favorendo la convergenza graduale tra aree regionali nella pacificazione e convivenza multilaterale.

 

Neo-imperialismo e “dottrina Monroe” verso il caos globale

 

Insomma, con la guerra tariffaria si ritorna al ‘900 attivando una catena interconnessa di rischi tra impennate inflazionistiche, restrizione del PIL, perdita di posti di lavoro a migliaia verso una valanga incontrollabile sul piano globale essendo le economie largamente interconnesse nonostante tendenze alla de-globalizzazione ( o localomics – sul Financial Times Foroohar). Pioggia di dazi che sottraggono autoregolazione ai mercati distorcendone i meccanismi di aggiustamento a favore di logiche di controllo e limiti spesso imposti “ideologicamente” che destrutturano la convergenza pacifica e non aiutano i paesi “ritardatari” a crescere e dunque favorendo le migrazioni e non frenandole. Sentiamo riecheggiare l’imperialismo di James Monroe all’inizio del XIX sec. e a ciò che lo precedette con la rivolta delle colonie che volevano condurre i loro commerci senza vincoli, restrizioni e regolazioni contro l’Inghilterra. Un Trump che fa saltare tutti gli accordi anche verso i partners più stretti e storicamente consolidati con un comportamento irrazionale e di pura intimidazione minacciosa in contrasto con le “leggi dell’economia e del diritto internazionale” lavorando sulle “aspettative che si autorealizzano“, in questo caso in negativo minando i mercati che fanno da regolatori della temperatura sociale globale e da counter-balance leverage contro i conflitti. Per esempio, Trump si è inventato di sana pianta una “emergenza energetica” USA che non esiste, dichiarando uno stato di razionamento come minaccia per la sicurezza nazionale per riaccendere la produzione petrolifera e del gas da imporre ai partner nella negoziazione per equilibrare le bilance commerciali, forse temendo una discesa dei prezzi (?). Pur essendo diventati gli USA nel 2024 il primo produttore al mondo di petrolio e dunque con una bilancia commerciale in surplus. Accusando Biden dei limiti posti alla produzione fossile a favore del Green Deal. Una traiettoria incomprensibile che ha rovesciato la Statua della Libertà come nel bel film The Brutalist con Adrien Brodie, alla quale l’Europa unita dovrà reagire e non farsi trovare impreparata soprattutto di fronte a “dazi asimmetrici” che vorrebbero dividerla con “dazi reciproci”. Dunque senza risposte al dialogo offerto dall’UE si renderanno necessari (contro)dazi e difesa comune a rappresentare il cardine della nuova commissione spingendo l’Europa ad una reazione unitaria senza flessioni nella difesa dei prodotti e delle imprese europee contro la concorrenza di quelli americani magari in coordinamento con il Canada e altri partners commerciali uniti dalle saette trumpiane. Per esempio con un uso più intelligente della tassazione ambientale nell’impatto sull’automotive e relative multe. Meloni peraltro dovrà fare attenzione a muovere le sue amicizie oltre Atlantico perché una esclusione dalla black list dei paesi penalizzati dagli USA potrebbe renderla non più utile a Ursula Von der Leyen perché divisiva. Dunque ora si tratterà di negoziare senza rompere il fronte europeo evitando possibilmente sia “guerre commerciali” e sia troppe rinunce a Repower EU che diventerebbero anche geopolitiche e con esiti imprevedibili, anche se servirà più flessibilità a difesa della nostra manifattura. Considerando per esempio anche la possibilità di acquisti di gas da Algeria e Tagikistan se si dovesse arrivare ad un conflitto commerciale forte, ma da evitare nei margini del possibile. Provando a rimettere nella sua posizione originaria la Statua della Libertà perché continui a specchiarsi sulle acque placide dell’Hudson dalla Liberty Island con uno sguardo multilaterale e multiculturale sulla strada della riduzione dei conflitti verso una pacificazione per una crescita che possa ancora essere condivisa, rinnovando il liberalismo in un nuovo multiculturalismo post globale “oltre” la centralità USA per un Occidente più aperto e inclusivo con al centro il Diritto Internazionale, Costituzionale  e Commerciale innestati sullo Stato Di Diritto e sulla divisione dei poteri.

 

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