Commercio globale
E ora parliamo della Bella Italia e del suo amante francese
La più famosa fu la splendida Contessa di Castiglione, gran donna della quale non si può che dire gran bene, tutti affascinò tranne le monache del convento dove tentarono di recluderla ma che la snasarono in un amen e durante la storica battaglia della “notte di Compiégne” servì il suo monumentale cugino il Conte di Cavour come nessun real ambasciatore, lasciando scoprire al più che invaghito terzo Napoleone le segrete bellezze di ciò che sarà l’Italia.
A distanza di quasi due secoli e come in molte altre occasioni i nostri destini si potrebbero incrociare oltre Ventimiglia segnando un cambiamento duraturo e profondo tra due paesi che si amano e si scocciano imbronciati tra sgambetti, scortesie e pugnalate alle spalle che non hanno mai scalfito l’inevitabile liaison, mai dangereuse; mai sposati, sempre amanti; ed è destino ragionar di loro partendo però da Bruxelles.
L’Unione Europea ha compiuto come prevedibile molte delle cose necessarie, altre farà e mentre tanti si sgolavano a straparlare su Bruxelles noi europei filo americani in silenzio avevamo le nostre certezze: la BCE della sora Lagarde (mica della Gran Contessa) compra Italia a piene mani, la kaiserina della Commissione spintona un po’ di qua un po’ di là ma spintona, in Germania l’Intelligencija, non dimentica degli errori passati quanto del Grand Tour, scrive bene di noi anche contro i Padri della riunificazione. Molte le critiche alla Bundeskanzlerin, alcune motivate, molti ancora gli interrogativi che dovrà sciogliere non su di noi ma su che pensi del ruolo della Germania nella prossima Unione.
La novità rispetto al 2009-2011 è però il “disallineamento politico”, frutto di quello economico e sociale, tra Francia e Germania: non è quello francese nei nostri confronti un atto di generosità che peraltro, come la carità, si esaurirebbe col primo obolo fuori dalla chiesa ma una necessaria difesa di un paese, il loro, con un debito pubblico in crescita, una dinamica del virus più italiana che tedesca nei decessi (un evidente “disallineamento” anche nel funzionamento della Santé) un sistema finanziario che comincia ad essere “in tiro” affannoso e un disagio da Gilets Jaunes oltre che nelle banlieue all’Eliseo non sottovalutato. Dalla consapevolezza di queste debolezze parte l’idea dell’accordo latino con Spagna, Portogallo e Italia fino a presentare il conto agli amici tedeschi. Uno scenario in Europa mai visto dalle nostre generazioni, inusitato per chi ha frequentato i non vellutati salotti europei.
Questi fatti fanno capire che quella francese non è una boutade nei nostri confronti ma un progetto di lungo respiro che alcuni italiani, non l’Italia, hanno già accompagnato: a Torino il francese è ancora prima lingua e dopo l’alleanza americana è arrivata quella con “la figlia prediletta e un po’ cosi” di Parigi creando un gruppo automotive globale che non parla tedesco (e noi sappiamo cosa l’automotive continua a significare per la meccanica italiana). La Difesa ha brillantemente portato a casa una commessa della US Navy per le fregate FREMM, gioiellino italo-francese figlio del tortuoso rapporto tra Fincantieri e Naval Group e del progetto Poseidon, nato per contrastare sul mercato la crescita dell’export militare cinese. Un po’ meno rilevante rispetto a qualche anno fa ma sempre significativo il mercato “comune” nel credito: dopo BNL Paribas cosa capiterà a Unicredit e Generali e ai loro antichi corteggiatori parigini, meno in salute che nel passato, se si trova un accordo su chi comanda? Ancora, a Brescia piacerebbe tanto guardare più a Credit Agricole che a Intesa per il futuro di UBI. E quando in Occidente hai messo insieme pezzi di Automotive, Assicurazioni, Credito, Difesa e cantieri navali che ti rimane? Ti rimane il petrolio, un barile che oggi sembra un bidone ma con inalterata valenza strategica e chissà che Eni e Total la smettano di legnarsi in Libia e possano trovare un accordo forte sui mercati globali. Intendiamoci, la Francia non può storicamente permettersi una rottura con la Germania ma da sola, terminata l’era di Framania tra Mitterand e Kohl, non regge più il confronto anche perché sono cambiati i personaggi: Merkel è una anziana signora molto in forma (1954) ma non rappresenta il futuro germanico mentre l’Europa è contesa da Macron (1977), Rutte (1967), Kurz (1986), Marin (1985), Sanchez (1972)…. Tutti troppo giovani per abbandonare la loro scena a fine mandato.
Forse a Parigi si accontenteranno di Nizza e la Savoia; forse invece questo legame profondo dispiegherà una prospettiva politica per loro e per noi (che non ne abbiamo mezza con questi matti che straparlano di Cina e Russia), probabilmente è uno scenario ancora acerbo (ma con solidi fatti e chiarissimi interessi); non pare esista dalle nostre parti un leader così autorevole da guidare un processo così complesso tant’è che la firma della “cooperazione rafforzata” qualche mese fa a Napoli fu sotto l’egida del Capo dello Stato ma non mi meraviglierei se l’inaugurazione della Tav diventasse il nuovo simbolo di qualcosa di più di una alleanza come lo fu il Frejus ferroviario nel 1871 o il valico del Col di Tenda nel 1882. Noi abbiamo un gran bisogno di un buon partito e la Gran Contessa potrebbe rispolverare la sua celebre sottoveste verde di Compiégne in vista di una Crimea che oggi come allora inspiegabilmente incrocia le nostre storie come una ferita sempre aperta. E questa volta con la bandiera OTAN e sotto l’ombrello della Force de Frappe, unica rimasta in Europa ( perchè al Grand Hotel della politica internazionale pure questo ha un suo significato…).
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