Asia
O Talebano, portami via, o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
Lo sviluppo della situazione in Afganistan, che ha travolto tutti e che nemmeno il presidente degli USA, dice lui, si aspettava “così rapido”, mentre un esercito corposo e armato, addestrato in venti lunghi anni, si è arreso senza combattere, lascia correre i pensieri alle ipotesi più fantasiose. Di certo è abbastanza curioso come tutti abbandonino tutto dopo averci investito una quantità di denaro e di risorse umane senza pari, come in nessun’altra nazione e con perdite umane notevoli. L’Italia, per fare un esempio, ci ha rimesso la vita di cinquantatré dei suoi militari in “missione di pace”, perché si chiamano così. Per che cosa? Per poi andarsene perché il padrone dell’Italia, ossia gli USA, ha deciso così. Agli stessi USA non importa poi così tanto la vita dei propri militari, danno per scontato che qualcuno ci rimetta la buccia, d’altro canto gli Americani non ripudiano le guerre, anzi le accendono, e che qualcuno dei loro ci resti secco fa parte del gioco. Degli attaccati non gliene frega alcunché, tanto sono i nemici e quindi possono pure estinguersi. Si parla di sconfitta dell’Occidente e ci si dovrebbe leggere l’impotenza della luce della NATO sull’oscurantismo dei Talebani, i quali sono detestati da un bel po’ di persone, anche all’interno dello stesso Islam, ma corteggiati, a tal punto da fare dei patti con loro, da Russia, Cina, pure gli Stati Uniti, e non sappiamo chi altri. Si sa che i Talebani non sono proprio persone così pacifiche e soprattutto, per come sono stati dipinti sia dall’informazione occidentale che dagli stessi afgani (soprattutto donne) che sono riusciti a fuggire altrove, siano portatori di valori che l’Occidente considera incompatibili coll’idea di modernità che propaga. Un’incompatibilità che però cozza con l’abbandono in massa del paese dopo vent’anni di un cambiamento che aveva permesso alle donne di studiare e di lavorare, perfino di avere dei posti di responsabilità a livello governativo, cosa che secondo i codici dei Talebani è o era incompatibile colle leggi islamiche. Di certo la sharia non è proprio un codice di apertura mentale e di valori moderni, ma sembra che sia in uso anche in altre nazioni “amiche” dell’Occidente, come l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi, dove un’apparente, pacchiana ed esibita modernità tecnologica si oppone a un oscurantismo preistorico nei costumi e nella cultura locale. Ma lì l’Occidente tace, anzi, ci fa degli ottimi affari coi sauditi e gli emirati, ci apre perfino un surrogato del Louvre. Per di più la sharia è un codice non scritto da nessuna parte, meno che mai nel Corano, e quindi è tramandato e interpretato, leggi inventato, come meglio si crede dai vari oscurantisti di turno. L’informazione occidentale, su quest’aspetto della legge non scritta, non è mai così chiara. Tutti pensano, soprattutto in Italia, dove l’informazione è arrivata ai minimi storici, che l’islam sia un blocco unico mentre ci sono islamici che si odiano a morte tra loro, come pure succedeva tra cristiani molti secoli fa, e la sharia viene spesso intesa come una forma di maggiore o minore purezza del proprio islam. La mia sharia è meglio della tua, perché lo dico io.
Di certo in Afganistan, e non solo lì, vedi appunto l’Arabia Saudita o il Pakistan (il pensiero corre a Saman Abbas e a tutte le donne uccise perché disubbidienti), le donne sono l’anello più debole in quanto i Talebani, armati fino ai denti, non esitano a usare le armi per obbligarle o estinguerle in caso di rifiuto ai loro comandi, che si rifarebbero alla sharia pura.
L’abbandono ipocrita di quel paese a sé stesso, dopo aver fatto assaggiare una certa libertà, una vita alternativa, soprattutto alle donne, è veramente disgustoso. Certo il concetto tutto americano di esportazione della democrazia è pure abbastanza infantile (ma gli Americani e chi li prende a modello sono infantili, complessivamente), tant’è che per tanta democrazia che gli USA hanno esportata ne sono rimasti sguarniti, alla fine. Troppa democrazia – ma chiamiamola democrazia, proprio quella americana… – per un paese medievale strutturato ancora in tribù, dove il concetto di città è assai diverso dal nostro, incapace di capire, incapace di valutare, forse, ma capacissimo di vedere la corruzione di un governo appoggiato dalle forze occupanti. Sarà da ricercare anche in questo la facilità con cui i Talebani sono arrivati alla riconquista di un paese quasi su un tappeto rosso? Perché se i concetti di libertà individuale, di diritti civili e umani, di identità fossero stati chiariti, almeno in questi ultimi venti anni, le persone avrebbero preferito combattere, forse, visto che c’era anche un esercito regolare e le armi non mancavano. Un esercito regolare che si arrende senza combattere o è stato addestrato male, come prima ipotesi, o, come seconda, è rimasto poco convinto sull’oggetto da combattere. Come terza ipotesi si potrebbe avanzare anche quella per cui i militari siano stati pagati per non agire e disertare. Da chi, è da scoprire. Ma se si andasse a indagare sul giro dei soldi e del rifornimento delle armi ai Talebani, di certo qualcosa si troverebbe e non è detto che ciò che si trovi possa far piacere all’opinione pubblica, sia occidentale che orientale. Più che di disfatta del sistema occidentale lì proposto io direi che all’origine c’è sempre un fattore economico (forse qualche gasdotto o qualche oleodotto che deve necessariamente passare da lì?), ossia a chi giova un paese arretrato in quella zona. Non solo arretrato, perché non si può dire diversamente, bensì anche distrutto da tanti anni di guerra. Le distruzioni sono in ogni campo, tranne l’agricoltura fiorente del papavero da oppio, evidentemente tollerata dall’Occidente, visto che non ha trovato ostacoli. E parrebbe che anche i Talebani, che pur duri e puri anti alcol, droga, sesso e rock and roll, abbiano attinto ai proventi della vendita della preziosa sostanza per far cassa. In fondo l’ipocrisia non esiste solo in Occidente.
I Talebani in venti anni sarebbero dunque andati a scuola di buone maniere, rinnegando quel loro passato da tagliagole e iconoclasti, e probabilmente hanno anche fatto dei corsi di restauro per cercare di ricostruire dov’erano e com’erano le statue millenarie di quei buddha intagliati nella roccia fatti saltare in aria con grandi applausi tra di loro. I patti fatti con Trump erano, come no, di lasciare in pace le signorine e le bambine, senza obbligarle ai burqa, o forse creando delle nuove linee stilistiche per i nuovi burqa, con pailletes o altre decorazioni, chissà. Sarebbe stato consentito studiare, come no, sempre nell’area della sharia, senza nessuna regola scritta ma inventata magari al momento per sopraffare donne e uomini non d’accordo col credo islamico. L’ignoranza e la supponenza americane sono i più grande problema dell’Occidente. Per la media americana, la mentalità colonialista secondo la quale il modello americano è l’unico vincente e si può e si deve esportare, è l’unica possibile. Fare altre analisi è tabù. Il resto del mondo è come uno zoo. Le farneticazioni di Luttwak e del suo ego ipertrofico, d’altro canto, sono eloquenti: il politologo e consulente strategico non perde mai occasione per ricordarci come il modello americano sia l’unico e come l’aggressione sia l’unica strada, senza alcuna analisi sociale del popolo e del territorio da sterminare. Sono i nemici e vanno uccisi. Povero Bush, povero Obama, povero Trump, povero Biden, poveri noi che dovremmo credere simili baggianate ma soprattutto poveri afgani. I quali però, se si aggrappano a un aereo pensando di poter sopravvivere all’esterno durante il viaggio, il cervello non devono avercelo tutto in ordine. Forse pensavano che viaggiare sull’esterno di un aereo fosse come viaggiare in cima a un autobus, tutti accalcati, alla fine qualcuno arriva a destinazione.
La disperazione? Può darsi. Io non so come agirei in una situazione del genere. Anche perché bisognerebbe realmente conoscere quel paese colla sua cultura, colle sue scale di valori, vecchie e nuove, i loro passati, la struttura sociale, i traumi del perenne stato di guerra in cui si sono venuti a trovare nella Storia, dagli inglesi in poi, le situazioni reali in cui vivono adesso gli afgani, le prospettive, la nuova visione del mondo che avrebbero acquisito attraverso l’informazione in questi ultimi venti anni, cosa abbiano compreso del mondo occidentale, del suo capitalismo e del conseguente consumismo. E il valore della vita, qual è per loro il valore della vita? Forse leggendo e osservando proprio questi risultati, ossia un impoverimento del pianeta a causa del consumo, delle pandemie incontrollabili, una disparità di trattamento sanitario, alimentare, economico, orchestrato dai più ricchi a sfavore dei più poveri, chissà che non si siano detti, ma alla fine, tutto sommato, ’sti Talebani sono forse meno pericolosi. Soprattutto se a ragionare sono i maschi adulti delle tribù rurali.
Di fatto l’abbandono vigliacco dell’Occidente, capitanato dagli Stati Uniti, dopo aver fatto bere le bollicine a tutti, illudendo che lo champagne fosse a portata di chiunque, è proprio lo specchio del consumismo, dove tutti usano tutti. È lo schema delle catene di Ponzi, dopo tutto. Gli afgani sono stati usati e loro non hanno usato nessuno, sono stati buttati via quando non sono serviti più, se mai sono serviti. Anzi, può darsi che serviranno di più adesso, perché un esercito di Talebani in un paese sempre controllato militarmente ha sempre bisogno di armi, chissà perché prodotte in Occidente o vendute dalla Cina, dove più che in ogni altro paese del mondo l’ipocrisia si mescola agli affari, in scatola di montaggio.
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