Asia
L’ultimo voto americano prima del Secolo Asiatico
Che vinca Trump o Biden, la sostanza non cambierà, siamo già in nuova fase storica, senza poliziotti globali e con diversi attori con pari dignità. Sarà il Secolo Asiatico? Non lo so, ma di certo non sarà quello americano.
La tendenza più macroscopica, che era già in atto prima del Coronavirus e che da questa situazione vedrà un’accelerazione, è la riaffermazione di un sistema globale multipolare, con una governance diffusa e multilivello.
In una prospettiva storica, le esperienze geopolitiche del bipolarismo e dell’unipolarismo rappresentano solo alcuni granelli di sabbia di una grande clessidra. Allo stesso modo, tra le organizzazioni che regolano la vita sociale, gli stati tendono ad aggregarsi o coordinarsi tra loro, a monte, e a dare più autonomia alle loro sotto-organizzazioni, a valle.
E infatti, già nel 2014, il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato: “E’ un dovere dei popoli asiatici guidare la gestione dei propri affari, risolvere i problemi dell’Asia e garantire la sicurezza dell’Asia”. Tant’è che da almeno un paio di decenni, l’Asia ha fatto molti passi avanti nella creazione di un sistema asiatico, slegato dal formalismo e dal legalismo occidentale. Più o meno sottotraccia, è in atto una tendenza alla socializzazione e all’incontro tra élite sociali e politiche di tutta la vasta area dell’Asia-Pacifico.
Le astrazioni teoriche occidentali dipingono l’Asia come un convoglio, con una potentissima locomotrice cinese, a un bivio tra egemonia e anarchia. La realtà è che, diversamente dall’occidente, l’Asia ha radici multipolari e multi-civiltà estremamente profonde e sa gestire il “disordine”. Non ci sarà ne egemonia ne anarchia, ma un ordine fluido di stranieri tra stranieri, di comunità piccole e grandi, interconnesse e diffuse, che puntano al benessere materiale attraverso la creazione di relazioni.
Negli ultimi due secoli gli asiatici sono stati nutriti di una narrativa storica in cui abbondavano le animosità con i vicini. Oggi, invece, nonostante restino stereotipi e reciproci sospetti, – specialmente tra India e Pakistan, Cina e Giappone, Arabia Saudita e Iran – gli asiatici stanno cominciando a riscoprirsi e conoscersi meglio reciprocamente attraverso la diplomazia, il business, il turismo, gli scambi universitari.
Con i media regionali come TRT, Al Jazeera o CCTV, i giovani asiatici stanno mettendosi più a loro agio nel rapporto con le controparti nella regione e soprattutto con loro “asiaticità”. La musica e il cinema coreani o lo showbiz indiano sono ormai vanti globali per l’Asia. Col tempo le percezioni si modificheranno, gli interessi si allineeranno, lo politiche cambieranno e il coordinamento del sistema Asia diventerà più strutturato.
Questo chiaramente non vuol dire che l’Asia sia o sarà esente da conflitti. Al contrario, infatti, l’Asia è il terreno di alcuni degli scontri geopolitici più importanti al mondo: lo scontro senza quartiere tra Sciti e Sunniti, portato avanti, di persona e per procura, da Iran e Arabia Saudita; la conflittualità della penisola coreana; le contese territoriali e marittime tra Cina e, rispettivamente, India, Giappone e Vietnam; le alleanze impossibili, a proposito della Siria, in cui Israele e i Paesi Arabi fanno fronte comune contro Russia e Iran; i fragili Libano e Iraq; il Nagorno Karabakh, la questione dei Curdi, il Kashmir e tanti altri.
Le frizioni diplomatiche o commerciali vanno, quindi, lette come prove di quanto ogni membro del sistema Asia sia importante rispetto agli altri. Le principali tensioni in Asia non sono dunque tra civiltà ma tra stati nazionali. Le civiltà asiatiche hanno mantenuto profondi rapporti di rispetto e acculturazione reciproci, precedenti al divide et impera occidentale. A lungo, infatti, l’identità asiatica è stata sincretica e non etnica o nazionale.
Se, come sembra, lo shock da Coronavirus sta rafforzando alcune delle dinamiche che erano più in crescita già in epoca pre-Covid, anche il commercio intra-asiatico dovrebbe ricevere una notevole iniezione di vitalità. A dimostrazione che il mondo post-Covid vedrà un’Asia ancora più centrale per tutte le questioni di rilevanza globale.
Secondo l’UNCTAD, nel 2018, l’Asia ha raggiunto una percentuale del 60% di commercio intra-regionale, rispetto al totale del commercio estero che ogni singolo Stato asiatico registra. Quindi, i paesi asiatici quando si rivolgono al mercato mondiale, nel 60% dei casi soddisfano il proprio bisogno grazie a un partner asiatico. Solo nel 40 % dei casi, quando un bene o un servizio non è disponibile nel mercato nazionale, trattano con europei, africani, o americani.
Solo un altro blocco regionale supera l’Asia per grado di integrazione commerciale del proprio Sistema, ovvero per il commercio intra-regionale: l’Europa, con il 68%. Al terzo posto l’America del Nord (esclusi i Caraibi, inclusa l’America Centrale) con il 33%. Triste quarto posto ex aequo per Africa e America Latina con il 16%. Chiude la classifica l’Oceania con il 6,7.
Oggi possiamo già prevedere che, nonostante il Covid-19, le economie asiatiche cresceranno e quindi anche il commercio intra-asiatico; di conseguenza aumenterà anche il grado di integrazione del Sistema Asia, attore determinante nell’affermazione di un nuovo mondo multipolare e lontano dalla logica degli stati nazionali.
Infatti, se è vero che l’impatto economico del Covid-19 ridurrà la crescita delle economie asiatiche nel 2020, queste adattandosi alla digitalizzazione del commercio e della logistica e interagendo di più al livello regionale, rimarranno comunque attori chiave nel commercio intra-asiatico, soprattutto perché si prevede che il rimbalzo di questi mercati arriverà vigoroso ed entro il 2021, in particolare con la ripresa della domanda cinese di beni.
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