Asia
Le dighe della morte del Mekong
Pitak ha 61 anni, ha trascorso una vita intera sulle rive del Mekong laotiano a pescare per dare da mangiare alla sua famiglia. “La costruzione della diga di Xayaburi interromperà il ciclo vitale dei pesci che non riusciranno più a riprodursi con una certa continuità” ha dichiarato qualche settimana fa al Bangkok Post.
Da qualche anno è in corso un conflitto tacito nel Sud-Est asiatico che vede coinvolti due schieramenti. Da una parte Laos, Cina, Thailandia, Vietnam e Cambogia mentre dall’altro le piccole comunità rurali e le organizzazioni ambientali e dei diritti umani. L’oggetto del contenzioso viene da un pesante processo di infrastrutturizzazione lanciato in Laos nell’ultimo decennio che si basa sulla costruzione di numerose dighe sul fiume Mekong.
Il Laos è nel mezzo di un programma di sviluppo nazionale impostato sulla produzione e la vendita all’estero di energia idroelettrica. Entro il 2030 sorgeranno una trentina di nuove dighe sul territorio laotiano per una capacità produttiva di circa 24mila MegaWatt di elettricità. Contando che il Laos gode già ora della piena autosufficienza energetica, la quasi totalità di quanto prodotto dalle nuove dighe verrà rivenduto all’estero. Questo imponente progetto è uno dei pilastri dell’ambizione del Laos di diventare la “batteria dell’Asia”, come afferma la Dottoressa Manichanh del Ministero del commercio laotiano.
Uno dei casi più eclatanti viene proprio dalla costruzione della diga di Xayaburi. Iniziata nel 2010, essa vedrà andare il 95% della sua produzione energetica alla Thailandia sulla base di un accordo stipulato tra il governo del Laos e l’autorità energetica nazionale thailandese. Stesso discorso per le altre dighe, per le quali sono già stati siglati accordi con la Cina.
Per i piccoli villaggi fluviali del Laos che vivono di pesca e agricoltura, le conseguenze sull’ecosistema della costruzione della diga di Xayaburi e delle altre dighe sono drammatiche. Un centinaio di specie ittiche rischiano l’estinzione nei prossimi decenni perchè le dighe ostacoleranno i loro processi migratori e riproduttivi. Una tragedia per queste migliaia di persone che riescono a mangiare la sera e a sopravvivere solo grazie alla pesca nel Mekong.
Ma c’è altro. Molte di queste comunità verranno trasferite in nuovi villaggi più lontani dal corso d’acqua, a causa la sommersione delle loro attuali fattorie una volta che la diga entrerà in funzione. Non si parla di poche famiglie : come riporta International Rivers, una delle più grandi ONG mondiali nell’ambito dei diritti delle popolazioni fluviali, ben 2100 persone subiranno questa “deportazione”, a cui si aggiungono le 200mila persone che in qualche modo saranno toccate dalle conseguenze ambientali negative causate dall’attività della diga di Xayaburi. Se moltiplichiamo questi numeri per le trenta dighe in programma per il 2030, si raggiungono dei valori altissimi.
Nel 2014 la Mekong River Commission, un’agenzia inter-governativa composta da collaboratori di tutti i governi dei paesi coinvolti nel progetto, ha redatto un documento in cui sottolinea i danni ambientali e sociali derivanti dalla costruzione della dighe e ha chiesto una sospensione dei lavori. Il governo del Laos ha bypassato questo studio, proseguendo nella sua opera. Amnesty International, WWF e le Nazioni Unite stanno intensificando le pressioni sul Governo affinché prenda in considerazione le problematiche sollevate degli studiosi e si impegni nella tutela delle poverissime comunità rurali delle rive del Mekong. Per esse, perdere i propri piccoli terreni agricoli e vedere ridimensionata l’attività di pesca può avere conseguenze economiche ed alimentari brutali. Senza più cibo né alcuna fonte di guadagno, la vita di migliaia di persone delle comunità rurali del Laos è messa a rischio dalla costruzione di queste dighe della morte.
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