Asia
L’Asia sotto i riflettori. Gli USA sono avvertiti
Questo ultimo scampolo di ottobre si preannuncia scoppiettante per le questioni asiatiche di portata globale. Il colosso bancario cinese HSBC pubblicherà i propri risultati del terzo quarto del 2019. Lo stesso farà Apple, la multinazionale per eccellenza, rivelando se l’uscita dell’iPhone 11 ha invertito le perdite causate dalla guerra commerciale USA-Cina.
Sul fronte politico, la Corte Suprema di Hong Kong si pronuncerà sul ricorso dell’opposizione alla legge che vieta maschere e travestimenti per motivi di ordine pubblico, in un momento di altissima tensione tra governo e manifestanti. Infine, si terrà il Plenum del Partito Comunista Cinese, la riunione dei 200 più alti funzionari del partito. L’ultimo plenum si era tenuto a Febbraio 2018 e aveva deciso di eliminare il limite costituzionale della durata dei mandati per il presidente Xi Jinping.
Ma quando si mischiano relazioni internazionali, politica ed economia arriva la parte più interessante.
E’ vero che non è stato un grande anno per il libero scambio, ma i colloqui al vertice ASEAN di Bangkok potrebbero portare a un accordo per creare il più grande blocco commerciale del mondo. I leader di 16 paesi dell’area Asia-Pacifico si riuniranno per gli sciogliere gli ultimi nodi sul Regional Comprehensive Economic Partnership.
I negoziati per il RCEP erano stati lanciati sempre durante un vertice dell’ASEAN nel 2012 e sono iniziati nel 2013, portando al tavolo i 10 membri del blocco del Sud-Est asiatico con Cina, Giappone, Corea del Sud, India, Australia e Nuova Zelanda. L’area del RCEP comprenderebbe oltre 3,5 miliardi di persone e circa un terzo del prodotto interno lordo globale, superando per portata economica l’Unione Europea e l’accordo nordamericano, NAFTA.
Lo slancio dei negoziati è aumentato nel 2018, quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha iniziato la sua guerra tariffaria con la Cina. Tuttavia, la finestra di opportunità potrebbe chiudersi rapidamente.
Singapore, Giappone e altri avevano sperato di raggiungere una “conclusione sostanziale” entro la fine del 2018. La riluttanza dell’India ad aprire il suo mercato è stata fino ad oggi l’ostacolo principale. Il paese era in prossimità delle elezioni generali nel 2019 e l’ultima cosa che il primo ministro Narendra Modi avrebbe voluto fare era alienarsi le simpatie degli agricoltori e delle imprese manifatturiere. L’India ha già un deficit commerciale con la Cina di 54 miliardi di dollari e, nel pensiero mainstream, l’abbassamento delle tariffe porterebbe ancora più prodotti cinesi.
I partecipanti al RCEP hanno deciso dunque di rinviare la conclusione di un accordo al 2019. Da allora, Modi ha vinto facilmente le sue elezioni, ma la posizione dell’India non è cambiata molto.
La resistenza dell’India ha lasciato la Cina profondamente frustrata. Tanto che Pechino è arrivata al punto di proporre un nuovo blocco commerciale con soltanto i paesi dell’ASEAN più il Giappone e la Corea del Sud – fondamentalmente il RCEP meno India, Australia e Nuova Zelanda – ma il Giappone e diverse nazioni del Sud-Est asiatico hanno respinto l’idea.
La Cina, la più grande economia dell’Asia, ha motivi evidenti per affrettarsi. Un accordo del calibro del RCEP rafforzerebbe la sua influenza economica sulla regione, in un momento di debolezza degli USA. Entro il 2050, il PIL di tutti i partecipanti al RCEP potrebbe raggiungere i 250 trilioni di dollari. La Cina e l’India, tuttavia, non sono gli unici due attori ad avere delle frizioni. Si teme che anche la crescente frattura diplomatica ed economica tra il Giappone e la Corea del Sud potrebbe danneggiare i negoziati sul RCEP.
Prima dell’incontro di Bangkok, il Ministero del Commercio thailandese ha dichiarato che i negoziati sono stati completati al 70%. Molti diplomatici e negoziatori sostengono che il 2019 potrebbe essere l’ultima occasione per concludere l’accordo in tempi rapidi.
Dal primo gennaio 2020, la presidenza di turno dell’ASEAN proseguirà in ordine alfabetico: dalla Thailandia al Vietnam, seguito poi dal Brunei e dalla Cambogia. Brunei e Cambogia, in particolare, sono meno attrezzati per poter fare avanzare le cose, rispetto a stati economicamente più avanzati e con esperienza diplomatica come la Thailandia o Singapore. Inoltre, a supporto di una rapida conclusione dei negoziati, si schiera il fatto che Thailandia, India e Indonesia hanno avuto tutte le elezioni quest’anno che hanno confermato in carica i governi precedenti.
Le suggestioni e gli interrogativi restano tutti ma, in questo secolo asiatico dove tutto si muove rapidamente, non ci resta che aspettare una settimana per capire come gira il vento e come adoperarci per sfruttarlo al massimo.
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