Asia

Iran, il governo “chiude” la Rete dopo le proteste di piazza

20 Novembre 2019

Sono passati 10 anni dai giorni in cui giovani iraniani scesero in piazza per protestare contro i brogli avvenuti durante le elezioni presidenziali. In queste ultime ore si è tornati a scontri che hanno “costretto” il regime del paese a rimettere in funzione la forca per tutti coloro che osano porre in discussione l’autorità di Teheran.
Amnesty International ha denunciato che almeno 106 persone sono rimaste uccise in 21 città diverse, ma i numeri sono ancora approssimativi, mentre alcune fonti locali lamentano la perdita di almeno 200 persone. I giornalisti iraniani hanno anche affermato che le sparatorie da parte delle forze di sicurezza sono ben oltre 100 e che alle famiglie è stata rifiutata la possibilità di vedere i corpi dei loro parenti.

Tutto è cominciato con le proteste per il caro benzina verso cui Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, ha scelto la linea dura, razionando e aumentando ancora di più i prezzi del carburante. Dalla mezzanotte dello scorso venerdì ogni cittadino ha un tetto massimo di acquisto di 60 litri di benzina a 40 centesimi di Euro al litro, costo raddoppiato nel caso in cui si supera la soglia. La benzina a basso costo è praticamente considerata un diritto di nascita in Iran, sede della quarta più grande riserva mondiale di petrolio greggio nonostante decenni di guai economici dalla sua rivoluzione islamica del 1979. L’intento delle autorità – almeno nelle dichiarazioni ufficiali – era quello di utilizzare i proventi dei rincari per aumentare i sussidi alle fasce più povere della popolazione. Khamenei ha anche scelto di “schiacciare” letteralmente ogni tentativo di rivolta, posizionando cecchini sui tetti degli edifici pronti a sparare sulla folla. “Mentre la maggior parte delle manifestazioni è sembrata pacifica, in alcuni casi, man mano che la repressione si accentuava, un piccolo numero di manifestanti ha lanciato pietre, provocato incendi e danneggiato delle banche”, ha riferito Amnesty International invitando le autorità a rimuovere il blocco quasi totale di Internet, organizzato per impedire che i media vengano in possesso di informazioni e testimonianze dirette di quello che sta succedendo nel paese.

Il blocco della Rete

Il blocco della Rete è iniziato lo scorso 17 novembre quando i maggiori operatori telefonici – MCI, Rightel e IranCell -, hanno interrotto i propri servizi, ma già nei giorni precedenti c’è stato un progressivo rallentamento culminato poi nella giornata di domenica. L’operazione è stata molto complessa, dato il decentramento dei provider perlopiù privati e si è stimato che in sole 24 ore almeno il 95% delle connessioni è andato perduto. Il portavoce della magistratura Gholamhossein Esmaeili ha detto martedì che sono state identificate le persone che avevano filmato le proteste e le avevano inviate a “reti aliene e nemiche”.

Nel frattempo, dice il Guardian, le Nazioni Unite hanno esortato l’Iran a porre fine allo stop di Internet (e delle altre forme di comunicazione che consentono la libertà di espressione e l’accesso alle informazioni) e garantire che i suoi servizi di sicurezza mostrino moderazione dopo l’entità “chiaramente molto grave” delle vittime di proteste che hanno spezzato il paese in risposta ai forti aumenti dei prezzi della benzina.

I dati di rete dell’osservatorio Internet di NetBlocks confermano le interruzioni con più fornitori di telefonia fissa e mobile in Iran

Nel 2010, l’Iran ha avviato ufficialmente lo sviluppo di un progetto Internet nazionale, che avrebbe ospitato in modo sicuro piattaforme digitali all’interno del paese pronto ad essere, nell’eventualità, potenzialmente disconnesso da Internet globale. “Fondamentalmente – racconta Mahsa Alimardani, giornalista del New York Times -, Internet nazionale potrebbe bloccare o filtrare i contenuti secondo le rigide normative della stampa iraniana. I diritti degli utenti sui loro dati e il loro monitoraggio e archiviazione sono naturalmente accessibili dalle autorità”. Man mano che gli elementi del progetto sono stati lanciati sotto il presidente Hassan Rouhani, come le infrastrutture nazionali per il settore bancario e dei pagamenti, gli iraniani non hanno avuto alcun impatto diretto sul loro accesso alla Rete. “Il progetto Internet nazionale ha però fornito a Teheran la capacità di imporre una chiusura quasi completa di Internet – evidenzia Alimardani -, consentendo allo stesso tempo di continuare a funzionare le infrastrutture nazionali per la finanza, gli ospedali, il commercio elettronico e alcune reti di informazione. Quello che è accaduto negli ultimi giorni ha fatto in modo che il progetto di controllo dell’Internet nazionale di Teheran fosse finalmente giunto a compimento. Le piattaforme bancarie e di transazione iraniane, ora gestite su reti nazionali, sono state online e funzionanti ad eccezione di alcuni problemi tecnici. Il governo iraniano ha impedito con successo ai manifestanti di condividere contenuti, mobilitare e aumentare la consapevolezza sulla violenza dello Stato”.

Prima della chiusura di Internet, gli iraniani si affidavano a fonti di fiducia come il servizio di lingua persiana della BBC o giornalisti come Vahid Online, un famoso citizen journalist che verifica e aggrega contenuti dall’interno del paese – e li pubblica per altri iraniani e il mondo in generale attraverso reti come Telegram, Instagram e Twitter -. Venerdì sera, Vahid Online ha pubblicato sul suo canale Telegram – che ha oltre 170.000 follower – un video di un manifestante sanguinante a terra, apparentemente girato dalle forze iraniane in una strada a Sirjan, una città nel sud-est dell’Iran, a circa 600 miglia da Teheran. Con l’intensificarsi di immagini di protesta come questa il governo iraniano ha subito temuto che gli atti di violenza da parte dello Stato diventassero virali online. E ha spento Internet.

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