Asia

Gli intrighi finanziari dietro il sanguinoso colpo di Stato del Myanmar

30 Giugno 2021

Primo febbraio 2021. La città di Yangon, la metropoli ex capitale del Myanmar, si risveglia sotto un cielo tempestoso: la leader ed icona Aung San Suu Kyi, assieme al Presidente Win Myint, sono stati arrestati. Il colpo di Stato, organizzato dall’esercito, porta al potere il generale Min Aung Hlaing. È la brusca interruzione di un sogno: il Myanmar aveva intrapreso il cammino nella direzione della democrazia, lasciando alle spalle feroci dittature che si sono susseguite fin dal 1962. La gente scende in strada, la Polizia spara, picchia, tortura – siamo tornati agli anni più bui delle sanguinose dittature del passato.

Un copione orrendo, ma conosciuto, cui per fortuna si oppone una popolazione pronta a qualunque repressione pur di dimostrare di non riconoscere i vecchi e nuovi aguzzini. Questo è ciò che, a prima vista, pensiamo tutti. La verità è diversa: quello che è in atto in Myanmar non è un colpo di Stato dei militari contro la democrazia, ma un regolamento di conti interno tra cosche mafiose, ognuna con la propria rappresentanza, sia nella politica, sia nell’esercito, e che considera la popolazione come un fastidioso turbinio di insetti che disturba la lotta tra due sistemi di potere, entrambi corrotti, che credono di potersi contendere un paese ricchissimo come se ci trovassimo ancora nel profondo Medioevo.

Pochi anni fa il vecchio capomafia, Than Shwe, giunto alla soglia degli 80 anni, aveva regalato una parvenza di democrazia ai birmani, in cambio dell’accettazione del fatto che la propria famiglia sarebbe rimasta per sempre indenne ed avrebbe potuto continuare a crescere e prosperare anche nel nuovo ordine nazionale. Quel vecchio capomafia era convinto che la sua migliore alleata, l’icona e vincitrice del Premio Nobel Aung San Suu Kyi, si sarebbe battuta in sua vece, convincendo industrie, banche ed aziende commerciali di tutto il mondo a venire in Myanmar, e divenendo un argine contro gli altri capimafia, sia quelli in seno all’esercito, sia quelli alla testa delle etnie ribelli, sia quelli a capo di organizzazioni criminali internazionali. Si è sbagliato. Ed è uno sbaglio che sta costando migliaia di vite innocenti.

Una storia drammatica

Litografia di un’asta del bottino di guerra preso a Mandalay dagli invasori britannici

Il Myanmar – o Birmania, prima che la Giunta Militare del Governo nel 18 giugno 1989 ne cambiasse il nome – è un paese popolato da circa 140 etnie in meno di 60 milioni di abitanti[1], ciascuna delle quali porta con sé un patrimonio di storie complesse e affascinanti, miti e tradizioni, assieme ad oltre cento lingue diverse[2]. Oltre duemila costruzioni tra templi, monasteri e pagode – si pensa che una volta fossero almeno 13 mila – rappresentano un patrimonio monumentale unico al mondo[3]. Incastonato tra l’India e la Cina, il Myanmar è circondato da alte montagne, alte fino a 5600 metri[4], per digradare poi in un altipiano ricco di rubini, zaffiri e altre gemme insieme ad argento, piombo e zinco[5].

La Birmania ha cento anni di colonizzazione britannica[6] quando scoppia la Seconda Guerra Mondiale e viene “liberata”, con l’aiuto dell’esercito di indipendenza birmano addestrato dalle truppe del Sol Levante che sono entrate segretamente nel paese dalla Thailandia conquistando Rangoon, tagliando la “Burma Road” – una strada di 1154 km che collega Lashio in Birmania a Kunming in Cina[7] – privando così i cinesi della loro unica via di rifornimento, e costringendo gli inglesi al ritiro[8]. Muoiono 13.463 inglesi e birmani e 4.597 giapponesi[9]. Ma la presenza giapponese si rivela peggio della colonizzazione britannica, per cui le persone di qualsiasi lingua, religione ed etnia hanno imparato a sentirsi birmani ed a battersi uniti per la stessa causa[10]. Finché, nel 1945, con il coordinamento dell’AFPFL (Antifascist People’s Freedom League[11]), sotto la guida di Aung San, saranno i britannici ad aiutare i birmani a raggiungere la libertà[12].

Nel dicembre del 1946 una delegazione composta da Aung San e dal suo rivale U Saw si reca a Londra e negozia il trasferimento della piena sovranità ad un governo birmano grazie alla mediazione del Primo Ministro inglese Clement Atlee[13]. Ma nel 19 luglio 1947, durante una riunione del Consiglio Direttivo, Aung San e sette membri del suo governo vengono assassinati per mano di oppositori politici guidati da U Saw[14]. La strage non si trasforma in un colpo di Stato: U Saw e suoi complici vengono rintracciati, arrestati e giustiziati[15]. Thakin U Nu, presidente dell’Assemblea costituente e vicepresidente dell’AFPFL, prende il posto di nuovo Primo Ministro[16].

Durante il suo governo U Nu cercherà di portare fuori dalla miseria il paese, creando un’economia statale a modello socialista[17]. Rimane alla guida per circa dieci anni e, malgrado le sue doti di statista, avrà la vita durissima[18]: feroci insurrezioni filo-cinesi, scontri tra i Karen, i Mons e altri gruppi etnici[19], ammutinamenti dell’esercito, enormi problemi economici e l’intero apparato burocratico da rimettere in sesto, tutti fattori che ostacoleranno pesantemente il suo operato, teso comunque alla stabilizzazione[20]. E non ha ancora fatto i conti con la prepotenza dei militari.

Nel 1962 il generale U Ne Win, comandante del Tatmadaw[21] (forze armate birmane) organizza un colpo di Stato, arresta il primo ministro U Nu[22] ed istituisce il Consiglio Rivoluzionario dell’Unione della Birmania, composto interamente da ufficiali dello stesso Tatmadaw: costituzione sospesa, partiti d’opposizione e libere associazioni banditi, stampa imbavagliata, feroci offensive contro i gruppi ribelli nelle campagne, stranieri espulsi, nazionalizzazione dell’economia, centinaia di leader politici imprigionati, dure repressioni contro chi manifesta – quando gli studenti dell’Università di Rangoon, nel luglio 1962, tentano di protestare[23], il regime reagisce con durezza: decine di morti e migliaia di studenti arrestati[24] e, di seguito, completo isolazionismo diplomatico ed economico dal resto del mondo[25].

Maggio 1948: U Saw viene impiccato per l’assassinio del Primo Ministro Aung San

Una volta al potere, il Consiglio Rivoluzionario lancia la “via birmana al socialismo”[26], una specie di alchimia tra marxismo e buddismo[27] che avrà come conseguenza una pesante retromarcia sulla via della modernizzazione imboccata da U Nu. Ne Win per questo si guadagna l’appellativo di “distruttore della Birmania”[28]. In realtà Ne Win vuole ancorare nella costituzione l’identità tra Tatmadaw ed istituzioni[29]. La nuova “Repubblica socialista” nel 1974 è uno Stato monopartitico, il Burmese Socialist Program Party (BSPP[30]), con alla testa i generali dell’esercito[31] che amministrano la cosa pubblica in maniera ferocemente repressiva[32].

Con il passare degli anni, la gente della Birmania è stremata, affamata, alla ricerca di pace e stabilità, ma soprattutto ha chiaro ormai in quale baratro il paese sia sprofondato. È il fertile vivaio da cui prende vita un’imponente ribellione civile. Le proteste, maturate principalmente a causa di una operazione di demonetizzazione[33] che brucia i risparmi di una vita dei cittadini, partono dagli studenti, che non riescono più a pagare le tasse universitarie, e poi, negli anni successivi, si espandono a macchia d’olio in tutti i ceti della nazione[34].

La sanguinosa Rivolta 8888

Marzo 1988: migliaia di uccisioni da parte della polizia durante le manifestazioni di protesta [35]
La scintilla s’infiamma nel marzo del 1988, quando un gruppo di studenti rimane coinvolto in una rissa scoppiata in un negozio di tè vicino a Insein, a nord di Rangoon, con un altro gruppo di giovani appartenenti ad un quartiere vicino al campus. La polizia interviene ed esegue degli arresti, ma il giorno successivo, il ragazzo ritenuto l’istigatore della rissa, figlio di un funzionario locale, viene rilasciato[36]. Il fatto scatena l’ira degli studenti che innescano altre risse con la popolazione locale. La polizia interviene con un cordone antisommossa dirigendosi al campus, lanciando lacrimogeni e aprendo il fuoco: Ko Phone Maw, uno studente di chimica del quinto anno, rimane ucciso[37].

Monta la rabbia: l’11 marzo, in migliaia, gli studenti marciano intorno al Rangoon Institute of Technology (RIT) e alla Rangoon University. La polizia irrompe nel campus e arresta centinaia di studenti[38]. Il 16 marzo un migliaio di manifestanti, in marcia su Pyay Road, vengono circondati e aggrediti dai battaglioni Lon Htein – una delle forze speciali di polizia birmana[39]. Circa 200 studenti vengono uccisi, picchiati a morte e annegati nel vicino lago Inya, in una strage che oggi viene ricordata come “l’incidente del ponte bianco”[40].

Le proteste dilagano, costringendo l’esercito ad intervenire quotidianamente a sostegno della polizia: violenze e arresti di massa sono l’unica risposta. Il 18 marzo 41 studenti muoiono soffocati all’interno di un furgone della polizia mentre vengono trasferiti nella prigione di Insein[41]. Le università vengono chiuse per impedire che si organizzino nuove manifestazioni[42]. Il 15 giugno, con le piazze in tumulto, il governo è costretto ad emanare il coprifuoco, mentre gli arresti proseguono. Il 21 giugno, una manifestazione con a capo monaci buddisti, viene sedata nel sangue: 20 poliziotti e un centinaio di civili perdono la vita negli scontri[43].

L’intero paese è fuori controllo: di fronte al caos e alla palese incapacità di gestire la situazione, nel luglio del 1988 U Ne Win è costretto a dimettersi sia dall’incarico di Presidente della Repubblica che da Presidente del BSPP[44], e nomina come suo successore il suo sodale Generale Sein Lwin[45], un uomo odiato dagli studenti poiché ritenuto responsabile dell’uccisione di manifestanti civili nelle sanguinose repressioni degli ultimi 20 anni e che la gente chiama “il Macellaio di Rangoon”[46]. La sua nomina non fa che infuocare ancora di più le piazze.

L’8 agosto 1988 (8.8.88, questa data ha una particolare importanza secondo la numerologia birmana: l’8 è considerato il numero dell’equilibrio cosmico, quindi la data è di buon auspicio) viene annunciato il più grande sciopero generale mai organizzato in Birmania[47]. Alle 8 del mattino le città vengono inondate da centinaia di miglia di manifestanti di ogni categoria ed estrazione sociale: operai, studenti, monaci, donne, funzionari, soldati – tutti marciano verso le piazze principali. Ovunque vengono improvvisati piccoli comizi. Il generale di brigata Myo Nyunt, che amministra la legge marziale a Rangoon[48], lancia le truppe di tre divisioni della fanteria nei luoghi chiave delle manifestazioni. Un’ora prima di mezzanotte l’inferno si abbatte sulla folla: i militari iniziano a sparare indiscriminatamente, il massacro dura sino al mattino seguente[49]. L’operazione stavolta porta la firma indiscutibile dell’esercito, il Tatmadaw.

Lo studente di medicina Win Zaw (a sinistra) e il chirurgo domiciliare Dr. Saw Lwin trasportano la manifestante pro-democrazia di 16 anni Win Maw Oo su un’ambulanza dopo che è stata colpita a morte il 18 settembre 1988[50]
La protesta non si placa[51]. Il 10 agosto, supportato da agenti dell’intelligence militare (MI), un battaglione Tatmadaw fa irruzione nell’ospedale generale di Rangoon alla ricerca delle centinaia di manifestanti, studenti, monaci feriti nei giorni precedenti; medici e infermieri protestano, ma in cambio ricevono soltanto pallottole[52]. Alla fine del rastrellamento si contano migliaia di morti, dentro e fuori dell’ospedale[53]. Contarli è impossibile: centinaia di cadaveri sono stati caricati dall’esercito sui loro camion e cremati nelle caserme. Secondo una stima (Amnesty International, 1990; US Congress, 1990) il bilancio sarebbe almeno di 3000 morti, ma qualcuno parla di addirittura 10mila[54]. Altre 3000 persone finiscono in carcere e circa 10mila attivisti fuggono dal paese[55].

Il generale Sein Lwin è costretto a dimettersi il 13 agosto[56], sia da capo di Stato che da Presidente del BSPP, ed il suo incarico viene preso da Maung Maung, un altro uomo molto vicino a Ne Win. Nemmeno la nuova designazione placa gli animi, anzi, li amplifica[57]. Nel tentativo di raffreddare gli oppositori, vengono promesse elezioni democratiche, eque e multipartitiche, elezioni che l’attuale governo è convinto di vincere. Una promessa travolta dallo sviluppo degli eventi.

La “scomoda” Aung San Suu Kyi

La popolazione cerca di organizzarsi: ci sono più di 200 partiti registrati, tra i quali la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), guidata da Aung San Suu Kyi, figlia di Aung San, l’ex combattente indipendentista assassinato nel 1947: nata il 19 giugno 1945 a Rangoon, ha soltanto due anni quando suo padre viene ucciso[58]. Studia in Birmania sino al 1960, anno nel quale segue la mamma, ambasciatrice in India. Finisce i suoi studi alla Oxford University, si sposa e, con suo marito e i suoi due figli, passa gli anni ’70 e ’80 in Inghilterra[59]. Fa ritorno in Birmania nel 1988 nel pieno delle rivolte, per assistere sua madre malata ed in fin di vita. Si unisce al movimento di opposizione guadagnando rapidamente notorietà, soprattutto grazie al suo innato carisma ed al nome evocativo di suo padre[60].

Nel frattempo, i militari continuano con la feroce repressione: il 18 settembre 1988, con un colpo di Stato, guidato dal generale Saw Maung, il Tatmadaw prende il comando, istituendo la legge marziale e cambiando il proprio nome in Consiglio di Ripristino della Legge e dell’Ordine Statale (State Law and Order Restoration Council, SLORC[61]). Aung San Suu Kyi , considerata dai militari come leader dell’opposizione, viene posta agli arresti domiciliari nel 1989[62]. Le elezioni si svolgono nel 1990 e l’LND, il partito formatosi nel settembre del 1988 e di cui Aung San Suu Kyi è Segretario Generale[63], ottiene una vittoria schiacciante, conquistando l’82% dei seggi[64]. Tutto inutile: lo SLORC, vedendo svanire la vittoria, occupando le strade con i mezzi corazzati dichiara di rigettare il risultato delle elezioni[65].

Guidato da Saw Maung e, dopo il 1992 dal suo vice generale Than Shwe, simbolo del terrore della popolazione, lo SLORC abolisce la costituzione del 1974[66].  Nel 1997 decide poi di cambiare nome in Consiglio Statale per la Pace e lo Sviluppo – SPDC, un organo composto esclusivamente da militari[67]. Il nome della Giunta sembra davvero essere partorito dalla fantasia di Orwell, visto che il Paese è di nuovo precipitato nella barbarie[68]: purtroppo, il Tatmadaw è in grado di uccidere e distruggere, ma non di costruire, e quindi fallisce qualsiasi misura di ripresa economica[69].

Il resto del mondo non resta a guardare: l’Unione Europea blocca la vendita o trasferimento di armi, competenze in materia di armi o di qualsiasi supporto che potrebbe essere utilizzato per la repressione interna alla Birmania[70]. Gli Stati Uniti sospendono investimenti ed aiuti, e si uniscono ad Australia, Canada e Nuova Zelanda nel vietare forniture belliche o economiche al regime, interrompendo le relazioni diplomatiche[71]. Ci pensano Cina e Tailandia e, più sorprendentemente, Singapore. Secondo Jane’s Intelligence Review[72], nell’ottobre 1988, nel porto di Rangoon da un paio di navi vengono scaricate  centinaia di casse contrassegnate con “Allied Ordnance, Singapore”, contenenti mortai, munizioni e materie prime per le fabbriche di armi della Birmania e munizioni da 84mm per i cannoni Carl Gustav in dotazione all’esercito birmano[73].

Questa alleanza è suggellata da contratti bilaterali che aumentano la presenza di Singapore nel controllo della Birmania, nonostante le smentite[74]. Attualmente Singapore è uno dei principali investitori in Birmania, con oltre 20,6 miliardi dollari con indice IDE (investimento diretto estero 2018-2019) del 26%, e gli investimenti riguardano ufficialmente l’immobiliare, la comunicazione, l’informazione ed il settore produttivo[75], ma sono investimenti senza alcuna trasparenza[76].

Than Shwe, ostentata ferocia, opulenza e corruttela

Anche se il suo nome non è noto come quello di Mobutu, Pol Pot o Adolf Hitler, Than Shwe è uno dei dittatori più feroci della storia. Persona estremamente introversa, che affida le sue scelte più delicate all’astrologia[77], utilizza, durante i suoi oltre trent’anni di potere, la strategia della più assoluta impenetrabilità, guidato da una vanità folle, evidente quando, nel 2006, sposta la capitale a Naypyidaw (“dimora dei Re”), una città con un assurdo piano urbanistico frutto dei suoi sogni e costruita da architetti che hanno eseguito ordini senza mai discutere[78].

Than Shwe nasce nel 1933 a Kyaukse, un villaggio vicino a Mandalay e, prima di arruolarsi, da ragazzo fa il postino[79]. Nel 1962, quando Ne Win prende il potere, viene messo a capo della scuola centrale di scienze politiche di Phaung-gyi, vicino a Yangon. Quattro anni dopo torna nelle forze armate e, con una rapidissima ascesa, prende il comando della brigata di fanteria, reparto in cui aveva iniziato la sua vita militare; nel 1985 diviene vice comandante dell’esercito e vice ministro della difesa e tre anni dopo vicepresidente dello SLORC[80]. Nel 1992, quattro anni dopo il colpo di Stato di Saw Maung, prende il posto di presidente, poiché il suo predecessore, secondo lui, sarebbe debole e malato[81]. Per guidare la Birmania Than Shwe vuole ancora più violenza.

Se, da un lato, Shwe apre la Birmania al capitalismo, la sua gestione del potere è agghiacciante: arresti indiscriminati, uccisioni, stupri e violenze sessuali – commessi sia su ragazzi che su ragazze – civili in catene costretti a servire i militari, villaggi incendiati, centinaia di migliaia di sfollati, torturati e uccisi nei villaggi durante le rappresaglie contro i gruppi etnici[82]. Nessun interesse per l’opinione del mondo: il rifiuto da parte di Than Shwe, nel 2009, di acconsentire a Ban Ki-Moon, segretario generale dell’ONU, di incontrare Aung San Suu Kyi, ancora agli arresti domiciliari[83], è emblematico di una ottusa impermeabilità a quelle che vengono considerate ingerenze esterne. La Birmania è stata uno dei primi stati a firmare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma sono cose ormai dimenticate[84].

Se il suo governo riduce i cittadini alla fame, il generale non disdegna una vita privata agiatissima, tanto che la sua fama di megalomane supera quella di feroce aguzzino[85]: quando regala una statua di Buddha, a Shwedagon, nella pagoda più sacra di Rangoon, il Dio ha il volto del dittatore[86]. Than Shwe accumula enormi ricchezze durante il suo mandato, truccando i contratti su gas e petrolio e costruendo, insieme al suo socio, il Generale Tin Aye, una serie di società di facciata nei paradisi fiscali[87]. Tutto facile: la Birmania non presenta un bilancio annuale, non lo fa nemmeno il fisco, e la magistratura è al soldo dei militari[88]. Nel 2011, al termine del suo mandato, la Birmania, secondo Transparency International, è al 180° posto delle nazioni più corrotte al mondo[89].

Aveva iniziato ad arricchire prima di assumere il potere, poiché il SPDC gli aveva regalato 1000 acri di piantagioni di gomma, due miniere di giada ed una d’oro[90]. Successivamente fonti del Ministero delle Finanze riferiscono di trasferimenti, sempre da parte dell’SPDC, di alcuni locali a Rangoon, Naypyidaw e Maymyo, nonché di oltre 30 veicoli, beni che vengono intestati ai figli e ai nipoti di Than Shwe[91]. Nay Shwe Thway Aung, il nipote più amato di Than Shwe, ottiene diverse proprietà a Rangoon, una delle quali, in Kabaraye Pagoda Road, apparteneva al Ministero dell’Industria[92]. Altre che appartenevano al Ministero della Scienza e della Tecnologia, al Dipartimento dell’Energia Atomica e al Ministero dell’Industria, nonché la proprietà del mercato duty-free a Yankin, finiscono nelle sue mani[93].

Nelle miniere di giada, ereditate dalla famiglia di Than Shwe, si muore per le pessime condizioni di lavoro[94]
I due figli del generale, Kyaing San Shwe (coinvolto tra l’altro nel business del gioco d’azzardo illegale[95]) e Htun Naing Shwe, oltre all’impresa edile Classic International Company[96], controllano la Kyaing International[97] ed il Myanmar Naing Group[98], che hanno le licenze per sei miniere di giada a Hpakant, quelle con il trattamento più inumano degli operai[99]. Licenza assegnata “senza alcuna procedura”[100]. La giada è la risorsa mineraria più preziosa del Myanmar, qui se ne produce il 70% della produzione mondiale.

Un’indagine di Global Witness rivela che, malgrado la giada produca un valore di 31 miliardi di dollari nel solo 2014, ovvero il 48% del PIL dell’intero Myanmar, quasi nulla di quel valore ha raggiunto i cittadini e le casse dello Stato[101]: il controllo del settore è interamente in mano ad una rete composta da élite militari (il Tatmadaw), dai signori della droga e dalla criminalità internazionale[102]. Sempre Global Witness ritiene che, solo nel 2014, almeno 220 milioni di dollari di quei 31 miliardi siano finiti direttamente nelle tasche di Shwe, del suo ex ministro per lo Sviluppo Rurale e del segretario generale del Partito per la Solidarietà e lo Sviluppo dell’Unione[103].

Nel 2006 circola un video[104] che suscita l’indignazione dei birmani[105]: il generale partecipa al matrimonio di sua figlia in una cornice fatta di champagne, collane, oro, diamanti, seta. Secondo The Observer, il matrimonio è organizzato e pagato da un boss della criminalità organizzata, Lo Hsing Han[106]. Costui si è fatto le ossa come trafficante d’oppio e sotto il generale Ne Win è diventato capo di un’unità militare speciale anticomunista, il Ka Kwe Ye (KKY)[107], una posizione che gli permette di diventare una figura di spicco nel traffico mondiale dell’eroina. Arrestato in Tailandia e condannato a morte in Myanmar, viene graziato nel 1980 da Shwe nel 1989, che poi convince il capo dell’intelligence Khin Nyunt ad arruolarlo come intermediario diplomatico[108], in modo che, per trafficare la droga, ora gode dell’immunità diplomatica[109].

Nel 1992 Lo Hsing Han fonda l’Asia World Company[110], società commerciale che si sospetta che ricicli i proventi del narcotraffico[111]. Suo figlio, Steven Law – alias Tun Myint Naing – nell’azienda diviene con la propria moglie un vero leader, stipulando contratti multimilionari nei settori dell’edilizia e dell’energia: nel febbraio 2008 gli Stati Uniti includono Lo Hsing Han, suo figlio e sua nuora, assieme alle 10 società che controllano a Singapore, nella lista nera del Dipartimento del Tesoro[112], ma in Birmania lui continua ad ottenere contratti di gestione per i porti, le autostrade e gli aeroporti[113].

Un altro alleato, fidanzato di una delle figlie del generale[114], è Tay Za, considerato l’uomo più ricco del Myanmar[115]. È nato a Yangoon nel 1964[116], è alla testa del gruppo HGC Htoo Group of Companies[117], dell’unica linea aerea privata nazionale, la Air Bagan[118], è proprietario di aziende alberghiere, minerarie e di esportazione[119]. Rappresentante birmano dell’industria militare russa MAPO (Moscow Aircraft Production Association)[120], e della compagnia di elicotteri russa Rostvertol[121], Tay Za ha un ruolo determinante come consulente nell’acquisto di cacciabombardieri ed elicotteri MiG-29 dalla Russia e di armi leggere[122]. Grazie a Than Shwe, ha anche il contratto statale per la costruzione di due centrali idroelettriche[123].

Nulla dura per sempre

Finché al vecchio tiranno, in età avanzata, non viene anche l’idea di farsi legittimare democraticamente: le elazioni sono fissate per il 2010 in base alla Costituzione discussa per più di 14 anni e varata soltanto nel 2008[124]. Questa prevede che un quarto dei seggi nella camera bassa e l’intera camera alta siano riservati ai militari[125] e, all’articolo 59F, vieta la candidatura per chiunque abbia un coniuge, un figlio o un genitore straniero – una norma partorita per colpire Aung San Suu Kyi, che ha un marito ed un figlio inglese, particolarmente temuta dal dittatore[126].

Le elezioni si svolgono il 7 novembre del 2010, con pochissimi incidenti, solo una sospensione di internet per 24 ore una settimana prima delle elezioni[127]. Partecipano 37 partiti[128], ma non l’LND di Aung San Suu Kyi, che sceglie il boicottaggio. Vincono i militari (USDP) tra accuse di frode, la condanna dagli USA ed il plauso di Cina e Russia[129]. Il 30 marzo 2011, Than Shwe scioglie l’SPDC (che confluisce nella USDP) e la giunta militare[130] ed il primo governo civile in quasi quarant’anni viene eletto con alla testa Thein Sein, monaco buddista ed ex militare dimessosi per guidare l’USPD[131]. Costui allenta le restrizioni alla stampa, decide il rilascio di centinaia di prigionieri politici, conclude accordi con alcuni gruppi etnici ribelli, riabilita Aung San Suu Kyi, cosa che le consentirà di candidarsi e di ottenere per sé un seggio tra i 43 assegnati al suo partito nelle elezioni suppletive del 2012, malgrado oltre l’80% dei seggi rimarrà ancora in mano all’USPD[132].

Thein Sein porta il paese fuori dalla crisi economica e dall’isolamento diplomatico[133]: nel 2012 e nel 2014 ospiterà Obama, nel 2013 sarà egli stesso ad essere accolto negli USA[134]. Emblematica sarà la sua decisione di sospendere la costruzione della contestatissima diga di Myitsone, impedendo agli investitori cinesi di realizzarla: l’azione viene accolta con grande favore dall’opinione pubblica[135]. Than Shwe sembra essere svanito nell’ombra, anche se molti credono che continuasse, segretamente, ad avere il controllo del Tatmadaw[136].

Alle elezioni del 2015 Aung San Suu Kyi e l’LND ottengono una straordinaria vittoria, conquistando 392 dei 492 seggi disponibili, ottenendo il 52,5% dei voti – il 25% dei seggi vengono comunque assegnati ai militari non eletti[137]. Suu Kyi però, sempre a causa dell’articolo 59F della Costituzione, non può essere eletta presidente[138]. Il 15 marzo 2016 viene eletto presidente Htin Kyaw, amico d’infanzia di Suu Kyi, e sarà il primo leader eletto a non avere mai avuto un passato nell’esercito[139]. Suu Kyi nel nuovo governo è dapprima ministro degli Esteri, poi ministro nell’Ufficio del Presidente ed infine Consigliere di Stato, cosa che le consente di tentare di porre fine alle insurrezioni etniche con la conferenza di pace di Panglong dell’agosto 2016[140]. Il tentativo fallisce: solo otto su 18 gruppi armati partecipanti firmano l’accordo di pace, e la Kachin Independence Organization (KIO), che controlla il contrabbando e le centrali idroelettriche, rifiuta di trattare[141].  C’è poi la questione spinosa dei Rohingya, che sta per distruggere l’immagine internazionale di Suu Kyi.

La persecuzione dei Rohingya

La popolazione Rohingya in fuga, incalzata dalle truppe birmane

Le centinaia di etnie del Myanmar non amano i Rohingya, perché vengono da fuori: sono coloni che arrivavano dalla miseria dei paesi del Golfo e dell’India a partire dal 13° secolo[142]. Questi musulmani sono da sempre perseguitati dai governi birmani, con l’unica eccezione del governo di U Nu che, fino alla sua caduta, nel 1962, ne ammise la partecipazione al governo[143]. Nella propaganda e nell’immaginario popolare, ogni musulmano è un terrorista, ogni buddhista un pacifista[144]. La legge sulla cittadinanza del 1982, che designa formalmente 135 “razze nazionali”, esclude i Rohingya, marchiandoli come “bengalesi” intrusi del Bangladesh[145].

Le operazioni volte al genocidio e condotte dai governi sono numerose e dai nomi evocativi e terrificanti. Queste che seguono sono solo alcune: 1959: Shwe Kyi (Oro puro); 1966 Kyi Gan (Corvo); tra il 1967 ed il 1971 Ngazinka (Conquistatore) e Myat Mon (Maggior Purezza); 1973 Major Aung Than (Millions of Success); 1974 Sabae (Purifica e sbianca come il fiore di gelsomino); dal 1978 al 1979 Nagamin (Dragon King); 1991 Pyi Thaya (Nazione pulita e bella)[146]. La strategia del tatmadaw è da sempre la stessa: genocidio. Emblematica è l’operazione del maggio 2001 a Taungoo, nella quale più di mille persone guidate da monaci buddisti, tra cui membri della Union Solidarity and Development Association (USDA) e personale della Military Intelligence attaccano, distruggono e incendiano negozi, abitazioni e moschee provocando la morte di decine di musulmani e costringendo le famiglie ad abbandonare la città[147]. Ma il peggio deve ancora avvenire.

Nel 2012 nasce l’Harakah al-Yaqin, ribattezzato poi in Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA), un esercito scalcinato armato solo di canne di bambù, coltelli e di piccole bombe auto-costruite[148]. Nell’ottobre del 2016, armato di fionde fatte in casa e coltelli, il gruppo degli ARSA attacca la polizia di frontiera, saccheggiando una cinquantina di pistole e migliaia di proiettili ai posti di guardia – nove agenti e una ventina di Rohingya rimangono uccisi[149]. Nel novembre del 2016 fonti governative riferiscono di scontri nei quali muoiono 69 insorti e 17 poliziotti, 234 persone arrestate[150]. Il governo di Aung San Suu Kyi bolla l’ARSA come una organizzazione terroristica che opera con appoggi sauditi e pakistani[151].

Gli scontri ed i rastrellamenti aumentano e producono centinaia di morti. L’ONU riferisce che soltanto negli ultimi quattro mesi, dall’agosto al novembre 2017, si contino almeno 290 mila Rohingya sfollati ed in fuga – che diventano più di 800 mila nel 2021 – senza né acqua né cibo né medicine, che hanno raggiunto Cox’s Bazaar in Bangladesh per trovarvi riparo. Raccontano di violenze, stupri, uccisioni, villaggi in fiamme, ma le accuse vengono respinte dall’esercito che recita “stiamo soltanto combattendo terroristi”[152]. Il 9 settembre 2017 l’ARSA offre unilateralmente un cessate il fuoco, ma il governo di Aung San Suu Kyi respinge la proposta[153].

Colei che è per milioni di birmani, come per il mondo tutto, il simbolo di pace e di democrazia, divenuta speranza per un intero popolo, che ha guidato pacificamente contro un regime sanguinario, insignita per questo del Premio Nobel per la Pace nel 1991[154], viene accusata di colpevole silenzio[155], nonostante sia chiaro che non abbia alcun controllo sulle attività dei militari del comandante Min Aung Hlaing[156]. Ma se ad essere sotto accusa dapprima è il suo silenzio, nel 2019 alcuni comportamenti getteranno seri dubbi sulla trasparenza della sua posizione: la Corte Penale Internazionale, accoglie una istanza contro il Myanmar per l’accusa di genocidio.

Aung San Suu Kyi si reca all’Aia per difendere personalmente le azioni dei militari, giustificandole come necessarie e negando che si possano inquadrare come genocidio[157]. Ammette che possano esserci state reazioni sproporzionate da parte dell’esercito, ma minimizza portando avanti la teoria delle “mele marce” – una teoria smentita dalle immagini satellitari che evidenziano la sistematica strage di intere comunità Rohingya[158].

Nuovo colpo di stato, vecchia élite

Nel novembre 2020 si tengono le nuove elezioni parlamentari: malgrado l’immagine dell’LND e della sua leader sia offuscata dalle questioni etniche, l’USDP dei militari subisce l’ennesima sconfitta: soltanto 71 seggi, 46 in meno delle scorse elezioni, mentre l’LND ottiene 920 dei 1.117 seggi totali[159]. L’USDP lancia accuse di brogli elettorali e chiede l’annullamento e la ripetizione del voto[160]. Ma la Commissione elettorale dell’Unione (UEC), malgrado le minacce da parte del Tatmadaw di intervenire con un colpo di Stato[161], respinge tutte le accuse di brogli[162].

Il 1° febbraio del 2021, giorno in cui si sarebbe dovuto riunire per la prima volta il parlamento dopo le elezioni, truppe del Tatmadaw fanno irruzione in Yangoon e arrestano Aung San Suu Kyi, il presidente Win Myint e altre figure di spicco dell’LND. In un comunicato in tv, col quale viene dichiarato lo stato di emergenza della durata di un anno, si legittima l’intervento armato con l’asserita frode elettorale[163]. Ci risiamo: il Tatmadaw, con stavolta in testa il generale Min Aung Hlaing, dimostra di conoscere un solo linguaggio – quello della violenza cieca e della sopraffazione.

Ma stavolta l’esercito deve fare i conti con una sorprendente quanto straordinaria mobilitazione popolare, che supera i confini etnici, religiosi e di classe. Complici certamente le piattaforme digitali, soprattutto i social, anche se inquinati dal Tatmadaw[164], i birmani trovano uno spazio di libertà, di confronto e di organizzazione, ed ottengono che Facebook blocchi gli account legati ai militari[165]. Un imponente movimento di disobbedienza civile – che assume il nome di “rivoluzione di primavera” ed ha un largo appoggio internazionale[166] – prende corpo già il giorno successivo il colpo di stato[167]. Centinaia di manifestanti scendono in strada alle 8 di sera battendo pentole e padelle (un rito che allontana gli spiriti maligni[168]), suonando i clacson delle auto, i campanelli delle bici, facendo rumore per testimoniare la propria solidarietà[169].

In strada vanno anche le organizzazioni di categoria, come quella dei medici, infermieri e farmacisti, protesta conosciuta come “rivoluzione del nastro rosso”[170], poi gli operai ed i dipendenti pubblici, gli studenti e gli insegnanti, intellettuali e monaci, sia buddhisti che cattolici; automobilisti e taxisti organizzano blocchi stradali con la campagna “auto in panne” ostacolando la circolazione ai mezzi militari [171]. I social permettono che da tutto ciò nasca un coordinamento nazionale, il CDM[172].

Ad aprile nasce il NUG Governo di Unità Nazionale[173], un’organizzazione che riunisce tutti i partiti dell’arco parlamentare, poi nascono il CRPH Committee Representing Pyidaungsu Hluttaw[174]ed il PDF People’s Defense Force[175], tutte organizzazioni che il regime chiama terroristi[176] e che dimostrano che tutte le etnie si sono unite contro un unico nemico comune: il Tatmadaw[177].

Nasce la campagna “Stop Buying Junta Business”, che colpisce le aziende del regime, e convince il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti a porre sotto embargo diverse imprese legate al MEHL e al MEC[178]. A loro si uniscono il Giappone[179] ed il Regno Unito[180]. Molte aziende private stanno raccogliendo l’appello al boicottaggio[181], come la tailandese Razer che annuncia di ritirare la propria quota di investimento dalla Virginia Tobacco Company, società legata all’esercito[182], lo stesso fanno le acciaierie coreane e decine di altre aziende multinazionali, che si preparano a lasciare il Myanmar[183]. Total continua a produrre gas, ma si rifiuta di pagare le tasse ai militari e dona la somma alle organizzazioni per i diritti umani[184].

Il Tatmadaw reagisce con furia cieca[185]: secondo l’AAPPBB (Associazione Birmana di Assistenza ai Prigionieri Politici), dal golpe del 1° febbraio ad oggi sono stati uccisi 870 civili, tra cui 58 bambini, cui vanno aggiunti 6180 arresti, numerose condanne a morte e torture, i cui numeri superano ogni immaginazione[186]. Ma la popolazione non si piega, ed ogni giorno torna in strada a protestare. Nonostante la risposta deludente e incerta dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), le cose vanno avanti[187]. Viene approvata una risoluzione dell’ONU, votata da 119 paesi, osteggiata solo dalla Bielorussia (Cina, Russia, India e altri 33 paesi si sono astenuti), che condanna il colpo di Stato e chiede sanzioni contro il Myanmar[188].

A chi conviene tutto questo?

A Calcutta, i manifestanti musulmani bruciano un poster con un’immagine di Aung San Suu Kyi[189]
Una delle prime reazioni della comunità internazionale, al di là dell’orrore e della lecita preoccupazione, è stata la sorpresa. Il colpo di Stato, se letto alla luce della storia del Myanmar, non ha senso. C’è al potere una parvenza di democrazia, con una leader carismatica che appoggia la quasi totalità delle posizioni dei militari. Il Tatmadaw continua a godere dell’impunità. Nessuna iniziativa è stata intrapresa contro la MEC e la MEHL (ovvero le industrie controllate dai militari) o contro le quote parlamentari garantite ai generali. In politica interna, Aung San Suu Kyi è stata disposta a bruciare la propria credibilità per coprire il genocidio dei musulmani del Myanmar. L’economia sta fiorendo, ci sono decina di imprese straniere che hanno investito ed hanno portato il benessere, non c’è nemmeno un sospetto su alcuno dei convitati al banchetto del potere, e la popolazione applaude contenta. E dunque?

Oltretutto, i nuovi capi sono tutte facce già note. Il nuovo capo del Tatmadaw è un generale già condannato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per genocidio nonché per crimini contro l’umanità e crimini di guerra negli Stati di Rakhine, Kachin e Shan[190], e che, se non avesse preso il potere, sarebbe stato messo sotto inchiesta per il suo patrimonio acquisito (probabilmente) in modo illegale. Fino ad aprile sarebbe stato protetto dall’immunità riservata ai capi dell’esercito, ma in quel mese sarebbe dovuto andare in pensione, lasciando la porta aperta per le curiosità della magistratura.

Non solo. Il generale Min Aung Hlaing ottiene la direzione delle più grandi aziende birmane, la MEC Myanmar Economic Corporation e la MEHL Myanmar Economic Holdings Limited[191], due holding che, dal 1990, controllano il patrimonio dei generali e sono esenti dall’auditing e da qualsiasi supervisione, attive nell’industria estrattiva (gemme, petrolio, gas), ma anche nel settore delle banche, del turismo e delle telecomunicazioni[192]. MEHL ha acquistato per 44 milioni di dollari il porto di Bo Aung Kyaw dallo Stato[193] e lo ha dato in gestione alla multinazionale KT Group per 70 anni, accontentandosi di 3 milioni di dollari l’anno[194]. Il MEHL controlla poi un’area di terra lungo il fiume ad Ahlone Township affittato ad Asia World Ltd.[195] e Adani Ports & SEZ Ltd.[196] per la costruzione e la gestione di porti privati[197].

Il generale gestisce diverse miniere di giada e rubini attraverso l’intermediaria KBZ[198], che paga royalties minime al governo[199]. Guadagna anche dall’Ever Flow River[200] e dalla miniera di rame di Sagaing, famosa per i danni ambientali e la sofferenza degli operai e degli abitanti dell’area[201]. Suo figlio, Aung Pyae Sone, gestisce una fiorente attività di forniture mediche, la A&M Mahar[202]. Nel 2019 ottiene un terreno di proprietà del governo dove, senza licenza, ha aperto un ristorante e serve alcool (nonostante i divieti)[203]. Dal 2015, con la sua Sky One Construction[204], ottiene un terreno per costruire un resort su 22,22 acri di terreno senza licenza[205]. Ottiene nello stesso modo contratti per costruire Hotel con la Bhone Myat Pyae Sone Trading[206] ed anche forniture edili[207].

La moglie del generale, Myo Yadanar Htaik, è direttrice della Nyein Chan Pyae Sone Manufacturing & Trading Company[208] e di Apower[209] nel settore immobiliare. La figlia, Khin Thiri Thet Mon, possiede Seventh Sense[210], azienda di produzione cinematografica, e ha contratti esclusivi[211] con Nay Toe, che occupa un posto di rilievo nel marketing di Mytel, l’operatore mobile che il generale Min Aung Hlaing ha fondato con MEC, e che gode di quote versate dal governo[212]. Khin Thiri Thet Mon possiede anche Everfit[213], una catena di palestre di lusso. Il Dipartimento del Tesoro per il Controllo dei Beni Esteri (OFAC) degli Stati Uniti, il 10 marzo del 2021, sanziona i due figli del generale oltre a sei aziende da loro gestite[214]. Sicché la domanda si ripete: perché un colpo di Stato che costa così tante vite ma anche danni gravissimi al patrimonio ed alle industrie controllate dai militari?

Shwe Mann (secondo da sinistra) in mezzo ai capi del suo Clan[215]
Per trovare la risposta bisogna tornare al 2015 e ad una delle prime decisioni del governo democratico: la vendita di una parte di MBL Myanmar Brewery Limited, che controlla oltre i due terzi del mercato della birra e dei soft drink del paese[216]. MBL è una joint-venture con il gruppo giapponese Kirin, che proprio in quei giorni acquista il 55% del capitale azionario dell’azienda birmana[217]. MEHL cerca di far aumentare surrettiziamente il capitale azionario, in modo da poterne comprare una fetta che arrivi oltre il 50%, ma il governo blocca il progetto[218]. Da allora in poi il governo blocca tutte le azioni di MEHL tese a crescere, ma concede l’entrata in borsa dell’Ever Flow River Group – una consociata di MEHL – che permette al capitale straniero di entrare nel sistema finanziario della holding dei militari ed apre la porta alla vendita di parti di MEHL e di MEC[219] – un segnale di allarme rosso per i militari.

Il Tatmadaw reagisce con delle denunce penali, il governo ribatte aprendo inchieste su diverse entità legate a MEHL ed a MEC[220]. Tutto questo viene fermato dal colpo di Stato, che ottiene anche il risultato di riportare l’economia del Myanmar verso l’autarchia. Non solo Razer vende la quota che aveva dell’intero mercato birmano del tabacco, controllato dalla VTCL Virginia Tobacco[221]; l’acciaieria sudcoreana Posco, che era in una joint-venture che controllava l’intera produzione di acciaio del Myanmar (1,8 miliardi di dollari di fatturato l’anno) ha comunicato che mette la giunta di fronte ad una scelta: o Posco compra al valore nominale la quota di MEHL, o Posco chiude e non ci sarà più acciaio in Myanmar[222]; le stesse minacce arrivano da Total, Chevron e da altre aziende multinazionali – e così ci avviciniamo alla vera risposta alla nostra domanda.

Le sanzioni internazionali e le decisioni unilaterali delle multinazionali colpiscono MEC e MEHL – quindi i militari – ma non intendono punire la popolazione. Siccome le sanzioni colpiscono i rifornimenti di energia, di cibo, di acciaio, le banche ed il turismo, per la parte (purtroppo maggioritaria) che viene controllata dal Tatmadaw, il valore di questi assets scende, e l’esercito ragiona sulla svendita di quote azionarie di aziende colpite dalle sanzioni, guidata dal responsabile, in seno al Tatmadaw, ovvero Myint Swe, ex assistente di Min Aung Hliang, capo del nuovo regime, e presidente ad interim del Myanmar dal 1° febbraio 2021. Costui è il nipote di Than Shwe[223]. Ci sono già delle aziende pronte a comprare: Ayer Shwe Wah (controllata da Aung Thet Mann, figlio dell’imprenditore Shwe Mann[224]), che comprerebbe il settore dell’energia[225], e Red Link Communications (controllata da Toe Naing Mann, altro figlio di Shwe Mann[226]), che comprerebbe il settore turistico, bancario e delle telecomunicazioni[227].

Il 10 maggio del 2010, attraverso la decisione 411/2010, l’Unione Europea ha pubblicato una lista di cittadini del Myanmar, tutti membri del Clan Shwe che si sono resi responsabili di gravi crimini contro l’umanità e per questo vengono fatti oggetto di sanzioni che proibiscono a chiunque, nella UE, di fare affari con costoro, di incontrarli, di facilitarli in qualsivoglia modo. Se scorrete la lista[228] scoprirete che la maggior parte di costoro (i membri del Clan sono 53) sono direttamente legati non al capostipite, Than Shwe, ma a suo cugino, il 74enne ex Generale Thura Shwe Mann che, nel 2015, era stato estromesso dalla dirigenza del Tatmadaw e dei suoi organi politici[229] dopo essere stato, per anni, l’erede designato di Than Shwe[230]. Oggi, sei anni dopo, la sua famiglia pare essere l’unica vera vincitrice del colpo di Stato. Un motivo serio per ragionare sui veri motivi che stanno dietro a questo nuovo regime, e sulla strategia futura di chi, nascostamente, ne tira le fila.

 

 

 

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