Asia
Turchia, la strategia della tensione riconsegna la maggioranza a Erdogan
In Turchia, il partito del presidente Recep Erdogan (l’Akp) ha riconquistato la maggioranza assoluta nelle elezioni nazionali di oggi, appena cinque mesi la clamorosa débacle del 7 giugno scorso. Secondo i dati quasi definitivi, l’Akp ha raccolto il 49% dei voti di 56,9 milioni di cittadini turchi chiamati alle urne, assicurandosi 315 seggi su un totale di 550. Buona l’affluenza: hanno votato 47,9 milioni, 84,14% degli aventi diritti. Nelle elezioni di cinque mesi fa, invece, il partito di Erdogan si era fermato al 40,8%, mancando la soglia di 276 seggi necessari a formare una maggioranza. Falliti i tentativi di creare un governo di coalizione, non è rimasto che andare a elezioni anticipate.
Secondo partito, e forza principale di opposizione, si conferma il Chp (i “kemalisti” socialdemocratici) con il 25,8% e 133 seggi, in lieve crescita rispetto al 24,9% di giugno. Arretra invece Hdp (la sinistra democratica alleata con la minoranza curda), che si attesta al 10,4%, poco al di sopra della soglia di sbarramento del 10%, che era stata ampiamente superata nella precedente tornata (13,12%). Per loro ci sono 61 seggi e la recriminazione di un clima «poco corretto dopo violenze e massacri», ha affermato uno dei leader dell’Hdp, Figen Yüksekdag. I nazionalisti di Mhp, quelli dei ‘Lupi Grigi’, perdono quasi 5 punti assestandosi all’12,1% (contro il 16,9% di giugno). Dopo che il quadro era chiaro, nelle città a maggioranza curde di Diyarbakir e Nusaby le proteste della gente sono state represse dalla polizia con ricorso ai lacrimogeni.
Appare dunque chiaro che la strategia della tensione, culminata nelle stragi contro gli attivisti filo-curdi a Suruc e ad Ankara, insieme con le tensioni ai confini (l’ondata di profughi, gli attriti con la Russia), hanno fatto riemergere prepotentemente la domanda di stabilità e sicurezza, che ha premiato Erdogan. l’illusione di una Turchia diversa è così svanita. Il presidente si è ripreso il Paese dopo la battuta d’arresto di giugno, quando ha perso la maggioranza assoluta, per la prima volta da quando è al governo (2002). Le elezioni dell’1 novembre gli hanno riconsegnato un mandato forte. Per la modifica diretta della Costituzione, comunque, la soglia qualificata dei due terzi (367 seggi su un totale di 550) è sembrata irraggiungibile, ed è stata mancata anche “quota 330” necessaria per sottoporre a referendum le riforme. L’Akp, insomma, festeggia ma allo stato non ha i numeri per rendere Erdogan il padre nobile di una Repubblica presidenziale.
L’esito delle elezioni è stato favorito da tre principali fattori: l’assenza di un’alternativa credibile e praticabile sul piano nazionale; l’evoluzione dello scenario di guerra siriana sul piano internazionale; il clima di insicurezza che è cresciuto dopo i recenti attentati. Poco importa se non è stata ancora accertata l’esatta matrice del gesto. Per quanto riguarda il piano nazionale, i repubblicani kemalisti del Chp hanno la responsabilità di non aver mai sviluppato una vera visione alternativa e spendibile al sistema del “Sultano”. I kemalisti sono andati sempre al traino di Erdogan, nel bene e nel male. Inoltre, l’Hdp, con i filocurdi progressisti di Selhattin Demirtas, non può avere l’ambizione di essere una forza maggioritaria. Superare la soglia di sbarramento del 10% è oggi un risultato eccezionale, nonostante l’arretramento avvenuto nel voto dell’1 novembre.
L’elettorato ha preferito affidarsi al volto rassicurante, per quanto autoritario, di Erdogan. Anche perché – e qui si affacciano il secondo e il terzo elemento a lui favorevole – la situazione in politica estera richiede un leader solido. Una figura capace anche di fare il volto truce alla superpotenza russa di Vladimir Putin, un tempo caro amico della Turchia e oggi troppo vicino al “nemico” Assad. Le bombe del Cremlino cadono infatti spesso al confine. In tempo di guerra, gli elettori hanno voluto seguire la strada della sicurezza: contro eventuali sconfinamenti territoriali serve un approccio inflessibile. Proprio la sicurezza è un tema centrale dopo quanto avvenuto ad Ankara con la peggior strage della storia recente turca. Molti addebitano l’attacco terroristico a una manovra, stile strategia della tensione. Erdogan ha invece dato la colpa agli estremisti dell’Isis. Mostrandosi come un baluardo anti-terrorismo e passando all’incasso elettorale.
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