Asia
Condanna a 4 anni per Aung San Suu Kyi, mentre Riad libera la principessa Basma
Aung San Suu Kyi, ex leader birmana, è stata nuovamente condannata a 4 anni di carcere, perché ritenuta colpevole di aver importato e posseduto illegalmente walkie-talkie, oltre ad aver violato le restrizioni vigenti a causa della Pandemia da Coronavirus durante la campagna elettorale. Questo è quanto stato annunciato da parte di un funzionario legale, riportando direttamente la sentenza emessa dal tribunale di Myanmar. La donna, Premio Nobel per la pace nel 1991, già agli arresti domiciliari dal colpo di stato compiuto dai militari lo scorso febbraio, subisce una nuova condanna a 4 anni di detenzione, sommandosi alla pena comminatale lo scorso dicembre, a due anni, per altri due reati.
I procedimenti penali istruiti a carico dell’attivista birmana, di 76 anni, dall’inizio dello scorso anno ad oggi, sono stati all’incirca dodici, e tutti volti a screditarla ed impedirle di tornare ad animare la scena politica, motivando in questo modo una vera e propria repressione dittatoriale ordita per toglierla di mezzo definitivamente. Il verdetto contenuto nella sentenza emanata lunedì, era atteso ampiamente. Infatti, a partire dal febbraio 2021, in Birmania è stato instaurato un governo militare che ha ristretto molte libertà fondamentali come quella di espressione, assumendo il pieno controllo anche del sistema giudiziario. I reati contestati a Suu Kyi per i quali è stata già giudicata colpevole, riguardano solo una parte dell’intero processo contro la leader pacifista, in quanto i giudici sono chiamati ad esprimersi ulteriormente su altri due capi di imputazione quali la corruzione e la violazione del segreto di stato, con un rischio considerevole che gli anni di carcere disposti, possano superare i 100. Una vera assurdità politica, giuridica e soprattutto morale!
Intanto a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, la principessa Basma, la più piccola dei 115 figli del re Saud, che venne spodestato dal trono nel 1964, appena nato, è tornata libera, dopo essere stata arrestata insieme alla figlia Suhoud al-Sharif, mentre era diretta in Svizzera per ricevere alcuni trattamenti medici. Era il 2019, e verso la donna, di fatto, non era stata mai formulata alcuna accusa precisa, se non un chiaro segnale di ostruzionismo per rendere sempre più ininfluente la presenza della famiglia reale, che Mohammed bin Salman, Mbs, considera come obiettivo prioritario nei suoi piani di controllo.
La principessa Basma, schierandosi a sostegno delle donne e del riconoscimento dei loro diritti, aveva apertamente criticato il sovrano in carica, distaccandosi quindi in maniera palese dalla condotta repressiva del regime monarchico. Essendo andata a studiare all’estero, tra il Libano e la Gran Bretagna, ha ricevuto una educazione ed una formazione culturale di ampio respiro, divenendo una donna in carriera ed una imprenditrice di successo, attraverso la catena di ristoranti ed il gruppo editoriale da lei fondati, autrice anche di un libro, dal titolo “The Fourth way law”, pubblicato nel 2016, in cui descrive i cardini di una società civile che non discrimini le donne rispetto agli uomini, suggerendo il rispetto della sicurezza, della libertà, ed impartendo l’istruzione adeguata a tutti, praticando così, l’uguaglianza sostanziale. Proprio in quello stesso anno, spinta dall’amore per la sua terra d’origine aveva fatto ritorno in Arabia Saudita, dove aveva svolto in maniera incisiva la sua attività giornalistica, denunciando di continuo le limitanti condizioni a cui sono costrette le donne del luogo, tuonando pesantemente contro la dura repressione delle contestazioni messa in atto da Mbs, contro un popolo stanco di tanti soprusi. I primi segnali di persecuzione nei confronti della principessa Basma erano iniziati con la censura dei suoi scritti, come aveva raccontato lei stessa, al quotidiano inglese “The Indipendent”. Dal carcere in cui era detenuta, negli scorsi mesi, aveva postato un messaggio sul social network Twitter, lamentando l’ingiustizia della propria prigionia, priva di una vera motivazione ed il deterioramento progressivo delle sue condizioni di salute, temendo la morte.
L’ong “Alqst”, dislocata a Londra, si è premurata di diffondere la notizia riguardante il rilascio della donna, rammentando come, durante la sua reclusione, le siano state negate le cure mediche necessarie, essendo affetta da una serie di patologie serie, tra le quali l’osteoporosi, che le impongono di curarsi con la massima urgenza. Come ha riferito anche lo stesso legale della principessa Basma, Henri Estramant. Dopo avere riabbracciato la figlia, la principessa è tornata a Gedda. Seppur il gesto della liberazione della donna sia un fatto importante, di certo, non si può dimenticare il cospicuo numero di oppositori politici che vengono tenuti in carcere senza nessuno spiraglio di apertura. Fra questi, le donne sono ancora molte. Il coraggio afferrato a mani piene da parti delle donne, che ne fanno uno strumento molto potente di consapevolezza verso una eguaglianza di genere, spaventa tantissimo chi, nel potere, vede riflessa una immagine di dominio assoluto della vita altrui, delle donne in particolar modo.
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