America

“Smantellare le Big Tech”: Warren contro Facebook, sulla via della Casa Bianca

27 Novembre 2019

(un punto di vista sulla comunicazione, che è sempre una questione politica, a cura di Francesco Nicodemo e Giusy Russo)

In cima all’agenda politica di Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts che corre per la Casa Bianca per i democratici, c’è la necessità di disciplinare le società che detengono troppo potere di mercato e le piattaforme digitali. Quasi ogni giorno c’è qualcuno che ricorda gli aspetti controversi di queste ultime: gestione poco trasparente dei dati, mezzi che diffondono linguaggio dell’odio e disinformazione, eccessivo potere economico, influenza durante le campagne elettorali. L’ultima accusa in ordine di tempo è arrivata da un personaggio molto noto al pubblico.  “Tutto questo odio e questa violenza sono facilitati da una manciata di società che rappresentano la più grande macchina di propaganda della storia (…) Facebook, YouTube, Google, Twitter e altri: raggiungono miliardi di persone. Gli algoritmi da cui dipendono queste piattaforme amplificano deliberatamente un tipo di contenuto che coinvolge gli utenti, storie che fanno appello al nostro istinto di base e che scatenano indignazione e paura (…) Ecco perché le notizie false prevalgono su quelle reali, perché studi dimostrano che le bugie si diffondono più velocemente della verità (…) Su Internet, tutto può apparire ugualmente legittimo”. A pronunciare queste parole non è un politico e nemmeno un docente di comunicazione ma Sacha Baron Cohen all’Anti-Defamation League, un’organizzazione fondata nel 1913 per contrastare l’odio, in particolare contro il popolo ebraico. L’attore, noto per i suoi personaggi irriverenti, ha raccontato che da adolescente protestava contro il razzismo, che si è occupato di diritti civili per preparare la sua tesi di laurea. Ora le sue perplessità riguardano i social media. “Zuckerberg per Facebook, Sundar Pichai per Google, Larry Page e Sergey Brin per Alphabet, Susan Wojcicki per YouTube e Jack Dorsey per Twitter.

I Silicon Six a cui interessa di più aumentare il prezzo delle azioni piuttosto che proteggere la democrazia. Questo è l’imperialismo ideologico: sei individui non eletti, nella Silicon Valley, che impongono la loro visione sul resto del mondo, non responsabili di alcun governo e che agiscono come se fossero al di sopra della legge. È come se vivessimo nell’impero romano e Mark Zuckerberg fosse Cesare”, ha detto l’attore per sottolineare l’enorme potere delle piattaforme digitali. Secondo Cohen le misure prese per contrastare istigazione all’odio e disinformazione sono insufficienti. Zuckerberg ha addotto la libertà di espressione come principio ma non basta e l’attore ha reso bene l’idea con un paragone: “Se un neonazista entra in un ristorante e inizia a minacciare altri clienti e dice che vuole uccidere gli ebrei, il proprietario del ristorante dovrebbe servirgli un elegante pasto di otto portate? Ovviamente no! Il proprietario del ristorante ha tutti i diritti legali e l’obbligo morale di cacciare i nazisti, e la stessa cosa dovrebbero farla anche queste compagnie”. Le piattaforme digitali hanno così tante risorse che potrebbero facilmente creare strumenti per monitorare ciò che viene pubblicato ma, secondo l’attore, non vi è la volontà di farlo, perché il loro modello di business si basa proprio sul coinvolgimento degli utenti e nulla è più coinvolgente dell’indignazione o della paura. Quella di Cohen è una vera e propria accusa argomentata e circostanziata. Il suo è solo l’ultimo nome di un lungo elenco di personaggi pubblici che da tempo provano a mettere in guardia contro le controverse dinamiche delle piattaforme. Qualche giorno prima ci aveva pensato Alexandria Ocasio-Cortez, in un video diventato virale paradossalmente proprio sui social network. La più giovane componente della Camera dei Rappresentanti Usa ha affermato che l’ad di Facebook non ha saputo rispondere a delle semplici domande, quelle relative a come garantire l’integrità della campagna elettorale per le presidenziali Usa del 2020. Il suo consiglio è stato quindi netto, dire ai propri genitori di non consultare il popolare social network per farsi un’opinione e, in generale, stare molto attenti a ciò che vedono lì.

Disciplinare sul piano normativo le piattaforme digitali non è solo un auspicio o la logica conseguenza per chi nutre più di una perplessità nei loro confronti, ma un punto del programma politico. Vale sicuramente per Elizabeth Warren. Queste società hanno troppo potere di mercato, oltre l’85% di tutto il traffico dei social network passa attraverso siti di proprietà o comunque gestiti da Facebook, Amazon controlla quasi la metà del commercio elettronico degli Usa. Un discorso analogo viene fatto per le aziende farmaceutiche e per le banche. Su medium la senatrice del Massachusetts, ha ricordato che Facebook ed altre società hanno assunto molti ex funzionari governativi e questo, secondo lei, spiega la scelta del governo di permettere a queste grandi aziende di accrescere il proprio potere, senza assumersi alcuna responsabilità. La senatrice ha quindi proposto non solo di vietare a tali compagnie di assumere funzionari governativi per almeno quattro anni, dopo che questi ultimi hanno lasciato il proprio incarico pubblico, ma di punire eventuali violazioni con l’1% del proprio utile la prima volta, con il 2% la seconda e con il 5% degli utili ad ogni successiva violazione.  Abbiamo quindi la conferma del fatto che la prossima campagna per le presidenziali Usa non si farà solo nei social network ma sarà anche sui social network, su come disciplinarli, arginare il potere loro e delle altre società che hanno monopolizzato il proprio mercato. Si parlerà ancora di disinformazione, influenza durante le elezioni, linguaggio dell’odio. “Facebook può cambiare il logo o ciò che vuole, ma non può nascondere il fatto che è troppo grande e potente. È tempo di smantellare le big tech”, per usare le parole di Elizabeth Warren.

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