America
Elegia Americana, J.D. Vance dal romanzo alla vicepresidenza
Dopo la vittoria di Donald Trump, ho letto “Elegia Americana”, il romanzo che ha portato J.D. Vance a diventare vicepresidente della più grande potenza mondiale.
Dopo la vittoria di Donald Trump, ho letto “Elegia Americana”, il romanzo pubblicato in Italia da Garzanti che ha portato J.D. Vance a diventare vicepresidente della più grande potenza mondiale. La sua sincera autobiografia ambientata nella cittadina di Middletown, nell’Ohio industriale, ricorda per certi versi la mia esperienza piombinese. A parte gli spunti interessanti, il pensiero più ricorrente nel leggere il romanzo è stato: “Tutto qui?”
Il romanzo
Mi sono chiesto come questo libro abbia partecipato all’ascesa vertiginosa dell’autore. Perché è solo un buon romanzo, che mette a nudo una realtà cruda e importante, ma non così complicata e impensabile come sembra trapelare.
J.D. Vance narra la storia della sua famiglia. I suoi nonni si trasferirono dal rurale Kentucky all’Ohio, dove il patriarca lavorò in un’acciaieria in una cittadina di circa 45.000 abitanti. L’autore indugia sulla natura dei nonni, due mezzosangue scozzesi irlandesi, dalla testa calda e il grilletto facile. Sono gli Hillbilly, il gruppo di americani bianchi stereotipati come arretrati e violenti che popolano i monti Appalachi.
Il loro matrimonio è estremamente turbolento anche se hanno una buona situazione economica. Danno vita a tre figli, tra cui la madre dell’autore. Ma, lei non trova stabilità. Dopo aver partorito due figli da giovane, continua a cambiare partner e a sprofondare nell’abisso della droga.
Per questo, il giovane J.D. ha costante bisogno della nonna, che lo avvia ai valori Hillbilly di famiglia e rispetto. Solo quando si trasferisce a tempo pieno dalla nonna, l’autore raggiunge la serenità necessaria per affermarsi nella vita, chiudendo il liceo con buoni voti in modo da affrontare prima l’esercito e poi l’università.
Le affinità con Piombino
Non posso che identificarmi negli albori della famiglia Vance. I miei nonni partirono nel dopoguerra da Macerata, nelle Marche, in una zona rurale considerata arretrata. Si stabilirono tra Piombino e Venturina, dove la terra era migliore. Ma, a Piombino c’era la fabbrica siderurgica che diventò il mondo di mio nonno per tanti anni, beneficiando di buoni salari e un sistema sociale offerto dall’azienda. Anche il loro matrimonio è stato turbolento.
Ma i parallelismi si fermano qui. Malgrado il matrimonio fatto di incomprensioni quotidiane, i miei nonni non si sono mai tirati vasi in faccia. Mia mamma ha avuto sin da giovanissima la forza, il coraggio e le idee per aprire un’attività che le ha dato stabilità e tranquillità. Poi c’è stato il matrimonio con mio padre, che ha concesso a tutta la famiglia di entrare nella borghesia e concedermi una vita agiata.
Una storia comune a tanti figli e nipoti della fabbrica. Tanti ragazzi che possono aver avuto difficoltà, ma solo in rari casi hanno vissuto la drammatica situazione familiare che J.D. Vance descrive come comune in Ohio. L’autore sembra cercare le differenze nelle personalità dei popoli. Così, i marchigiani sarebbero un popolo di placidi cristiani, mentre gli Hillbilly irascibili, violenti dal buon cuore.
Il ruolo dello stato
Questa lettura semplicistica spinge l’autore a conclusioni sbagliate, che lo portano alla destra dello schieramento politico. Dalle sue parole sembra che i guai di Middletown siano causati dai cittadini stessi, descritti come pigri, violenti, assuefatti alle droghe, allo stato sociale e a matrimoni fulminei. Questa condizione non si può superare con l’aiuto dello stato, ma solo con la tranquillità e la serenità portati da una famiglia stabile e dalla religione. Anche il consumismo emerge più come piaga dei poveri che imposizione delle multinazionali.
L’equivoco principale di questa visione mi pare derivi dallo stato sociale americano. J.D. Vance critica i sussidi a favore dei poveri, spesso sotto forma di voucher alimentari e contributi agli affitti. I beneficiari hanno infatti ormai imparato a truffare questa forma di aiuto, aggravando la situazione.
L’autore ha pienamente ragione quando afferma che servono strumenti urbanistici che liberino i poveri dai ghetti dove risiedono tutti coloro che beneficiano dei contributi agli affitti. Inoltre, religione e famiglia possono aiutare. Ma, agli occhi europei, la sua visione appare limitata.
In Europa, lo stato ha garantito la serenità dei cittadini non tanto con semplici contributi e bonus, quanto con l’educazione e la sanità pubbliche e universali. Ciò ha reso le famiglie stabili tra gli anni ’70 e ’80, quando i collanti religiosi venivano meno e la società americana si disgregava come scrive bene Vance.
Quello che non convince
Per questo non mi convince la narrazione di una sinistra che pensa a dare mance ai poveri mentre il sogno americano si raggiunge con la stabilità familiare ed emotiva. Immagino che tanti americani pensano che sia un ragionamento corretto, perché non comprendono l’alternativa, ovvero la via socialdemocratica che ha caratterizzato l’Europa fino agli anni ’90 e che la mia generazione rimpiange perché ci è stata strappata via.
Un ricco miliardario come Donald Trump ha fatto la breccia nel cuore degli americani, perché sperano ancora nel sogno americano. Un sogno che pensa che i nullafacenti e gli emarginati non dovrebbero accedere a sanità e istruzione pubbliche di buon livello.
In definitiva, “Elegia Americana” ha tratti di un ottimo romanzo, grazie alla buona idea di associare la narrazione a dati e ricerche sociologiche. Ho trovato molto belle e toccanti le pagine che raccontano la difficoltà di passare da una famiglia disfunzionale a un rapporto maturo con la sua futura moglie.
Ma, non riesce a convincermi del tutto, sia per una scrittura eccessivamente asettica anche per me, che preferisco uno stile conciso e senza fronzoli. E per una narrazione incentrata su problemi che noi europei abbiamo saputo affrontare al tempo dei miei nonni, prendendo una direzione opposta a quella indicata dall’autore.
Se questo libro ha ottenuto un successo tale, penso allora che aveva proprio ragione mio nonno, quando insisteva a dire che si poteva trasformare in un gran film la storia dell’emigrazione dalle Marche alla Toscana.
Foto dalla pagina Facebook di J.D. Vance
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