America

USA 2016, Trump dichiara:”McCain non è un eroe di guerra”. E scoppia la polemica

19 Luglio 2015

Nel corso di un appuntamento elettorale, tenutosi ieri ad Ames (in Iowa), il candidato repubblicano, Donald Trump, ha duramente replicato alle critiche mossegli qualche giorno fa dal senatore dell’Arizona, John McCain. In risposta alle dure affermazioni di Trump sull’immigrazione clandestina messicana, quest’ultimo – in un’intervista al “New Yorker” – aveva definito il magnate un becero populista, mosso dall’estremismo e capace soltanto di solleticare i bassi istinti dell’elettorato più radicale.

Trump – che già aveva in passato accusato McCain di essere un membro dell’establishment, lontano dalle vere esigenze della gente – ieri è tornato pesantemente all’attacco: e ha colmato la misura. Non solo ha difatti ribadito le consuete critiche ma ha diretto le sue accuse sul piano personale,  arrivando ad affermare che McCain non sia un eroe di guerra, dichiarando: “He’s not a war hero. He was a war hero because he was captured. I like people who weren’t captured.”

Ufficiale d’aviazione, tra il settembre e l’ottobre del 1967 McCain effettuò numerose operazioni di bombardamento in Vietnam, nella zona di Hanoi. Il 26 ottobre del ’67, il suo velivolo venne abbattuto dalla contraerea nordvietnamita, precipitando. Salvatosi per il rotto della cuffia, non riuscì a fuggire a causa degli arti rotti e fu catturato. Rimase dunque prigioniero per sei anni, subendo costantemente percosse e torture di ogni tipo e arrivando anche per questo a tentare il suicidio.

Davanti a tutto ciò, Trump non solo ha negato l’eroismo di McCain ma ha anche aggiunto che – da parlamentare – non avrebbe fatto nulla per i veterani. Laddove – come riporta oggi Politico – il magnate tra il 1964 e il 1968 è riuscito a scampare al servizio militare per ben quattro volte.

Il Partito Repubblicano non ci sta e fa quadrato intorno al senatore, attraverso una serie di lapidarie dichiarazioni su Twitter. Jeb Bush ha affermato come McCain sia un eroe di guerra, nonostante le deplorevoli asserzioni di chi sostiene il contrario. Sulla stessa linea il governatore della Louisiana, Bobby Jindal, e l’ex governatore del Texas, Rick Perry, i quali hanno entrambi sostenuto di nutrire stima e ammirazione per un eroe nazionale. Su posizioni simili poi anche Chris Christie, Scott Walker e Marco Rubio. Ma il più duro – come prevedibile – è stato Lindsey Graham, vecchio amico di McCain, il quale ha non a caso dichiarato come un individuo che non sia in grado di rispettare e riconoscere chi ha orgogliosamente servito la propria patria, non sia degno (né forse capace) di assumere la carica di presidente degli Stati Uniti.

Sennonché, in questo turbine di polemiche, non tutti i candidati repubblicani hanno effettivamente preso le distanze dalle dichiarazioni di Trump. E – non a caso – si è trattato generalmente di esponenti molto vicini al radicalismo di destra: coloro che – appunto – vedono in figure come McCain dei membri dell’establishment e che non vogliono conseguentemente lasciare a Trump quell’elettorato estremista cui lui sovente si rivolge.

In tal senso, Ted Cruz (vicinissimo al Tea Party) ha rifiutato di commentare le dichiarazioni del miliardario. Stesso atteggiamento hanno poi tenuto l’ex neurochirurgo, Ben Carson, e il senatore della Pennsylvania, Rick Santorum, entrambi particolarmente graditi all’universo della religious right: quella religious right che ha sempre considerato McCain su posizioni liberal in materia etica e che – non a caso – arrivò a boicottarlo in occasione delle presidenziali del 2008.

Quest’episodio manifesta dunque una spaccatura evidente all’interno dell’Elefantino: una spaccatura tra un’ala più tradizionale ( conscia della sua propria storia e della propria grandezza) e un’ala oltranzista, che vorrebbe rivoluzionare radicalmente il partito, per quanto ad oggi non si sa ancora bene come e secondo quali principi e prospettive. Il dibattito sulla figura di McCain evidenzia allora il frantumarsi di un partito su quella che dovrebbe invece rivelarsi la propria memoria condivisa: un simile episodio infatti non palesa fisiologiche divergenze programmatiche tra candidati alla nomination ma una frattura sugli stessi valori fondanti dell’Elefantino. Un fatto – questo – che non fa certo ben sperare per il futuro e che avvalora sempre più le ipotesi (ventilate negli ultimi anni) di una probabile scissione.

L’ala radicale si fa forte del suo populismo. Trump ha mietuto notevoli consensi nelle ultime settimane e addirittura alcuni sondaggi lo danno come attuale front runner del GOP: segno di come l’elettorato repubblicano tenda nel tempo a spostarsi sempre più a destra. Un radicalismo che vede dunque in alcuni personaggi storici dell’Elefantino soltanto i baluardi di un potere vecchio e restio a un ricambio generazionale. Un’accusa che – magari sotto alcuni aspetti – può anche essere fondata (inutile nascondersi ipocritamente dietro a un dito).

Sennonché, una tale probabilità  non giustifica comunque qualsiasi cosa. Le dichiarazioni di Trump risultano gravi proprio perché rappresentano uno scempio della storia repubblicana: uno scempio – per di più – fondato sul nulla. Non su fatti, rivelazioni, giudizi storici: ma soltanto su un becero populismo fine a sé stesso, un populismo che lancia strali di fango, con un intento bassamente pubblicitario.

Io non so se – come riporta il “New York Times” – questo episodio segnerà l’inizio della fine di Trump, permettendo all’elettorato repubblicano finalmente di capire chi realmente sia questo personaggio, dopo aver vergognosamente attaccato un simbolo vivente del suo partito. Ma  una cosa è certa. Questo fatto mette in luce l’urgenza di un principio essenziale, un principio su cui si costruisce la storia delle nazioni e dei partiti: quello della dignità. Quella dignità che fa grandi gli esseri umani, quella dignità che fa  chiamare le cose con il loro nome, quella dignità di chi non teme lo scontro duro ma che non ricorre alla bieca vigliaccheria, pur di salvare sé stesso. Quella dignità che è fondante elemento di rispetto tra uomini e istituzioni. Quella dignità che è anche coraggio orientato al futuro, oltre che orgoglioso ricordo del passato.

Quella dignità che oggi il GOP sta perdendo, sputando sulla sua storia e sulla sua memoria, per rincorrere il consenso fanatico di chi, a un eroe di guerra, preferisce la demagogia di un saltimbanco.

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