America

USA 2016, sessismo e polemiche: Donald Trump al capolinea?

10 Agosto 2015

Questo fine settimana si è tenuta ad Atlanta (in Georgia) la “Red State Gathering”, consueta convention conservatrice, cui hanno preso parte nove dei dieci candidati alla nomination repubblicana, protagonisti del dibattito televisivo di giovedì sera. Grande assente, Donald Trump. Originariamente invitato a parlare sabato sera, è stato poi rifiutato dal comitato organizzativo, a causa della bufera mediatica in cui è piombato a seguito delle frasi sessiste da lui pronunciate alla giornalista di Fox News, Megyn Kelly.

La strada per il miliardario sembrerebbe dunque farsi sempre più in salita, quantunque sia ancora troppo presto, per emettere una valutazione in tal senso. Alcuni elementi oggettivi devono comunque essere considerati: elementi che sono emersi con chiarezza ancora maggiore proprio nella convention di Atlanta.

La “Red State Gathering” è difatti storicamente nota per la partecipazione di un elettorato profondamente conservatore, in gran parte proveniente dagli Stati del Sud. Una base piuttosto radicale, dunque: quella medesima base cui – notoriamente – il miliardario in parrucca si è costantemente rivolto nel corso della propria campagna elettorale, impostata – non a caso – su proposte radicali e sparate duramente populistiche.

Ebbene, secondo una recente inchiesta condotta da “Politico”, sembrerebbe che il pubblico dell’evento di Atlanta stia iniziando lentamente a voltare le spalle a Trump, e questo per due ordini di ragione. Innanzitutto molti non sarebbero rimasti felici per il suo rifiuto nell’impegnarsi a correre da indipendente, nel caso non riuscisse a conquistare la nomination. In secondo luogo, anche tra gli ultraconservatori comincerebbe a serpeggiare un certo fastidio per le sue battute volgari e dure.

In tal senso, la “Red State Gathering”, avrebbe mostrato uno spirito GOP più tradizionale: premiando – come prevedibile – i candidati più conservatori, in particolare Ted Cruz e Scott Walker. Soprattutto il primo sarebbe riuscito a guadagnarsi grandiose ovazioni, mentre il secondo avrebbe mietuto consensi per le sue passate vittorie anti-sindacali e l’abilità a vincere, dimostrata in occasione delle elezioni governatoriali in Wisconsin.

Sempre secondo “Politico”, un consistente numero di partecipanti avrebbe mostrato apprezzamento per la performance televisiva di Carly Fiorina, giovedì pomeriggio (soprattutto nei suoi attacchi diretti a Hillary): un dato interessante, se pensiamo al fatto che l’altro bersaglio di Carly sia stato proprio quel Donald Trump, così ambiguamente vicino al network dei Clinton. Domenica poi è tornata duramente all’attacco, definendo vergognose le frasi sessiste del miliardario e dicendosi offesa come donna. Se pertanto il gradimento della Fiorina da parte della base conservatrice dovesse essere confermato, ciò implicherebbe con ogni evidenza un ulteriore smacco per un Trump sempre più in difficoltà.

Dal canto suo, quest’ultimo non arretra. Ha ribadito la propria condanna del “politically correct”, rincarando la dose contro Megyn Kelly: ha difatti asserito che la giornalista si sarebbe meritata quelle espressioni, a causa delle domande – a suo dire – inappropriate e tendenziose che gli avrebbe rivolto durante il dibattito di giovedì. Ha infine lanciato strali acuminati contro la direzione della “Red State Gathering” per il mancato invito.

Niente di nuovo sotto il sole: Trump attacca, l’establishment reagisce, lui tiene il punto e vola infine nei sondaggi. Ma siamo veramente sicuri che anche stavolta andrà così? Forse sì. Ma forse anche no. Il fronte del miliardario non appare più infatti particolarmente compatto: e non solo – come abbiamo visto – in termini di elettorato. E’ notizia recente l’estromissione di Roger Stone dall’entourage politico del magnate: quello stesso Stone che è da settimane considerato la vera mente dell’aggressiva campagna elettorale del ricco Donald. Un abile e spregiudicato stratega, cacciato – guarda caso – proprio sabato pomeriggio. E non senza polemiche.

Eh sì, perché ad oggi non è ancora ben chiaro chi abbia silurato chi. Trump ha sostenuto di averlo licenziato. Stone ha replicato di essersene andato di sua sponte. E sembrerebbe che tra i due siano volate parole grosse.

Secondo un retroscena riportato da “Politico”, il casus belli risiederebbe proprio nell’atteggiamento tenuto dal miliardario verso Megyn Kelly. Per Stone, Trump avrebbe dovuto scusarsi e fare marcia indietro. Dal canto suo, il magnate non ne avrebbe voluto sapere, continuando diritto per la sua strada. Da qui il litigio e la rottura (pare definitiva), consumatasi dopo il mancato invito alla “Red State Gathering”.

Per la prima volta, tensioni e nervosismo iniziano a pervadere la macchina organizzativa di Donald Trump. A un’ostentata sicurezza fa da contraltare una forte inquietudine che trapela con evidenza sempre maggiore. E’ ancora troppo presto per capire se sia l’inizio della fine. Troppe volte il miliardario è stato dato per morto, salvo poi vederlo trionfare subito dopo nei sondaggi (anche perché è assai probabile che non tutti i suoi elettori dichiarino apertamente di votarlo). Certo è però che qualcosa sta cambiando. Il dibattito di Cleveland ha lasciato il segno. Trump continua a spingere sul radicalismo, convinto che quella sia la strada per la vittoria.

Potrebbe avere ragione. Potrebbe schiantarsi contro un muro. Oppure potrebbe prendere il telefono e chiedere un consiglio a un suo vecchio amico. Uno che di comunicazione e campagne elettorali se ne intende veramente: Bill Clinton.

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