America

USA 2016, se John Wayne vota Donald Trump

31 Dicembre 2015

Pochi minuti fa, Donald Trump ha pubblicato un post su Facebook in cui presenta una lettera ricevuta dalla figlia di John Wayne, Aissa. Nella lettera, quest’ultima sottolinea come  il miliardario abbia recentemente visitato il luogo di nascita di suo padre in Iowa, sostenendo che l’attore sarebbe stato sicuramente orgoglioso del suo intento di voler far tornare l’America ad essere grande. Ringrazia poi il magnate di aver dato voce al popolo americano, dichiarandosi una sua sostenitrice e concludendo che anche suo padre lo sarebbe indubbiamente stato.

Al di là del chiaro obiettivo di accattivarsi le simpatie degli elettori dell’Iowa (Stato in cui attualmente i sondaggi iniziano a darlo in difficoltà, a causa della concorrenza del senatore Ted Cruz), Trump non è  nuovo a certi riferimenti. Soprattutto quando, qualche settimana fa, l’attore Robert Davi lo aveva paragonato al protagonista di “Un dollaro d’onore“: cosa che il miliardario aveva mostrato di apprezzare, enfatizzandola sui social network. Del resto, parte essenziale della strategia comunicativa del creso newyokese è proprio quella di associarsi a determinati miti del pantheon repubblicano: dallo stesso Wayne a Clint Eastwood, arrivando infine a Ronald Reagan. Miti che possano conferirgli un’aura dai tratti sacrali, in particolare davanti al proprio target elettorale: il maschio bianco, protestante e anglosassone, che considera la rinascita americana non secondo le categorie della politica di potenza ma bensì come celodurismo individualista redivivo.

Miti tuttavia che il magnate reinterpreta secondo i propri crismi, arrivando talvolta a distorcerli e facendoli passare per quello che non sono. Si pensi a Reagan, da cui Trump si discosta tanto in politica economica (sposando una prospettiva protezionistica ben lontana dai capisaldi della Supply Side Economics) quanto in politica estera: il miliardario difatti è tendenzialmente un isolazionista (basti guardare al conflitto siriano). Elemento, questo, che lo distanzia notevolmente non soltanto dall’interventismo reaganiano ma anche dallo stesso John Wayne. Quel John Wayne che – pur avendo appoggiato Nixon durante la campagna elettorale del 1960 – elaborò un’idea di patriottismo che lo portò a sostenere convintamente la guerra del Vietnam: in difesa della quale produsse il celebre (e contestatissimo) “Berretti verdi“, da molti critici tacciato di essere non a caso un film propagandistico e guerrafondaio.

E infine: siamo veramente sicuri che un endorsement (ancorché postumo) da parte di El Grinta sia così desiderabile? La Storia dimostra il contrario. Durante la campagna elettorale del 1964, l’allora candidato repubblicano, Barry Goldwater, fece ampio ricorso a John Wayne per la propria strategia comunicativa. L’attore si spese in prima linea e a più riprese, sfruttando non soltanto la propria notorietà ma anche i valori gagliardamente conservatori da lui costantemente incarnati (dall’americanismo al patriottismo). Risultato: nel ’64 il GOP andò incontro a uno dei peggiori disastri elettorali della sua storia, perdendo in quasi tutti gli Stati. Questo per dire, che cercare di basare il consenso elettorale sui personaggi dello spettacolo si rivela spesso uno sforzo effimero. D’altronde, anche Mitt Romney ricevette a Tampa nel 2012 l’endorsement dell’ispettore Callaghan: e si è visto poi come è andata a finire.

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