America

USA 2016, Planned Parenthood: scontro totale

23 Luglio 2015

Il clima nell’agone politico statunitense di surriscalda sempre di più, mentre il dibattito elettorale in vista delle prossime presidenziali inizia a riguardare anche il campo della bioetica: in particolare, è la questione dell’aborto ad essere recentemente tornata alla ribalta, soprattutto a causa della bufera mediatica in cui da qualche giorno è finita Planned Parenthood.

Organizzazione no-profit man mano costituitasi nel corso degli anni Trenta e Quaranta, Planned Parenthood articola la propria “mission” in una serie di punti precisi:  garantire servizi di salute riproduttiva, rispettando la privacy e i diritti di ciascun individuo; difendere pubblicamente questi diritti, vigilando, affinché vengano rispettati; erogare programmi di educazione sessuale; promuovere infine la ricerca scientifica e tecnologica nel settore della salute riproduttiva. Un programma conciso e ambizioso, che fa da sempre della salvaguardia dei diritti femminili il proprio vigoroso cavallo di battaglia.

In virtù di tutto questo, è facile intuire come Planned Parenthood possa vantare una presenza particolarmente rilevante in seno al dibattito pubblico statunitense: un’organizzazione orgogliosamente schierata, che ha preso nette posizioni su più di un argomento scottante. In particolare, si è sempre contraddistinta per un atteggiamento di profonda impronta pro-choice, rivendicando quindi a più riprese il diritto all’aborto come essenziale elemento di tutela per la salute femminile. Un’impronta pro-choice che le ha costantemente attirato numerose critiche. Un’impronta pro-choice che la onlus non solo ha sempre difeso sul piano ideologico ma anche concretamente supportato a livello politico, attraverso una decisa attività di lobbying al Congresso: con una certa efficacia, essendo riuscita nel corso degli anni a raccogliere cospicui fondi (sia privati che pubblici: acquisisce difatti, per l’esattezza, cinquecento milioni di dollari in finanziamenti federali).

Oggi, dopo anni di polemiche, Planned Parenthood è finita al centro di uno scandalo. Uno scandalo che sta mobilitando in queste ore gli opposti schieramenti politici statunitensi e – in particolar modo – non pochi degli attuali candidati per le presidenziali del 2016.

Alcuni giorni fa, un paio di attivisti dell’associazione pro-life, Center for Medical Progress,  hanno realizzato segretamente un video, in cui, fingendosi rappresentanti di una società di ricerche biomediche, hanno avuto un colloquio con una responsabile di Planned Parenthood, Deborah Nucatola. I due hanno così richiesto dei tessuti fetali a scopo di ricerca e quale fosse il costo per averli. La risposta della Nucatola non è stata netta, ma caratterizzata da un giro di parole molto circospetto, ai limiti dell’ambiguità (anche perché a un certo punto ha affermato che “in molti chiedono fegati”).

Tanto è bastato, per far sì che – una volta diffuso pubblicamente il video – si alzasse una vera e propria bufera politica. Il Partito Repubblicano è andato difatti subito all’attacco, accusando Planned Parenthood di lucrare sulla vendita di tessuti fetali (pratica assolutamente illegale negli Stati Uniti). L’organizzazione, dal canto suo, ha replicato di non vendere organi ma semplicemente di favorirne la donazione. Come che sia, la frittata è fatta. E la palla passa ora al Congresso.

Il responsabile della sottocommissione Salute dell’Energy and Commerce Commettee alla Camera, il repubblicano Joe Pitts, ha dichiarato di avere intenzione di emettere una richiesta di comparizione per la dott.ssa Nucatola, se la onlus non si deciderà ad essere maggiormente collaborativa nel fornire adeguate spiegazioni entro i prossimi giorni. Pitts ha inoltre asserito che il Center of  Medical Progress sarebbe in possesso di altre registrazioni scottanti, ormai in procinto di essere rese pubbliche.

Ma l’aspetto maggiormente interessante da ravvisare è l’alleanza trasversale che si starebbe creando sulla questione tra candidati repubblicani di orientamento storicamente divergente: l’evangelico Ted Cruz, il libertarian Rand Paul e il cattolico Marco Rubio si sarebbero difatti coalizzati in Senato, sia per richiedere una commissione di inchiesta che indaghi sulla onlus sia per cercare di tagliarle i cospicui finanziamenti federali che riceve (una battaglia – quest’ultima – che ampie frange del GOP portano avanti dagli anni ’80, ancorché senza significativi risultati).

Fuori dal Congresso poi, anche Jeb Bush ha proprio ieri invocato la necessità di un’inchiesta, mentre l’unica donna candidata alla nomination repubblicana, Carly Fiorina, ha duramente attaccato la front runner democratica, Hillary Clinton: dopo aver accusato Planned Parenthood di “crudeltà” e “ipocrisia”,  ha difatti puntato il dito contro l’ex first lady e l’Asinello tutto, tacciandoli di aver abbracciato una politica filo-abortista, contribuendo così a determinare una cultura disgregante, di cui il suddetto video sarebbe per lei vivida dimostrazione. Si è d’altronde richiamata anche al fatto per cui – secondo diversa stampa conservatrice – Hillary avrebbe in questi mesi ricevuto donazioni da numerosi esponenti di Planned Parenthood: molte più di quelle concesse agli altri candidati democrat.

La Fiorina ha quindi chiosato, asserendo la necessità di tagliare i fondi pubblici alla onlus e difendendo l’approvazione al Senato del “Pain-Capable Unborn Child Protection Act”: un provvedimento legislativo che proibirebbe la pratica abortiva dopo le venti settimane.

Sul fronte opposto, diverse associazioni pro-choice si sono schierate a favore di Planned Parenthood, esigendo l’apertura di inchieste sul Center for Medical Progress. In particolare, il deputato democratico, Jan Schakowsky, ha ufficialmente richiesto di aprire un’indagine su David Daleiden: attivista di spicco del Center,  accusato di fanatismo e di gettare sostanzialmente fango su Planned Parenthood. Sempre Schakowsky ha inoltre annunciato di essere pronto a dare battaglia in Congresso, per evitare che i finanziamenti pubblici alla onlus siano tagliati.

Lo scontro si annuncia quindi furibondo. E non è escluso che i toni possano ben presto tornare ad essere quelli del “caso Terri Schiavo”. La bioetica divide nuovamente l’agone politico statunitense e promette di rivelarsi argomento sempre più rilevante in seno al dibattito elettorale. Un dibattito dunque che si annuncia duro e infervorato. Tra un Asinello, che dichiara di voler difendere uno dei suoi principali vessilli ideologici, e un Elefantino, che in questa battaglia potrebbe (forse) ritrovare una caratteristica persa da tempo: l’unità.

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