America
USA 2016, notte democratica a Las Vegas
Il prossimo 13 ottobre si terrà a Las Vegas (in Nevada) il primo dibattito televisivo tra i candidati alla nomination democratica. Un evento interessante, visto che la dialettica politica interna all’Asinello sembra farsi sempre più sonnolenta. Hillary Clinton passa ormai tutto il suo tempo a difendersi dalle accuse dello scandalo Emailgate. Webb, O’Malley e Chafee, poi, hanno la vivacità di un lemure: fondamentalmente spariti dal dibattito pubblico, sono precipitati ai bassifondi della classifica elettorale. L’unico che pare al momento dare qualche scossa alla corsa resta sempre Bernie Sanders. L’arzillo nonno socialista non perde tempo per polemizzare con chiunque (da Obama alla Clinton), con una strategia che comunque sembra stia avendo un discreto successo, visti gli ottimi risultati conseguiti nei sondaggi in Iowa e New Hampshire.
Hillary al contrario è in caduta libera. E’ pur vero che possa contare su pezzi considerevoli dell’establishment democratico: ma anche durante le primarie del 2008 aveva lo stesso vantaggio e si è visto come è andata a finire. E le previsioni ad oggi non sono delle migliori: non soltanto deve guardarsi dall’agguerrito Bernie che le soffia costantemente i voti dei radicali, rendendo così sempre più superflua la sua recente svolta sinistrorsa in salsa Warren. Ma su un altro fronte le resta sul capo la spada di Damocle di un inquietante convitato di pietra: Joe Biden.
Sono difatti settimane che circolano voci su una sua discesa in campo, che – secondo i beninformati – potrebbe avvenire nelle prossime ore. Tanto che gli organizzatori del dibattito previsto per martedì avrebbero annunciato porte aperte, nel caso avesse intenzione di prendervi parte.
In questo senso, il dibattito di Las Vegas potrebbe riservare qualche sorpresa interessante. Innanzitutto bisognerà capire se l’ex first lady sarà in grado di rilanciare la propria immagine, fortemente deteriorata non soltanto a causa della questione delle email ma anche per le sue frequenti giravolte in ambito programmatico. Sul primo problema è possibile che Hillary cercherà di schermirsi, invocando la storia del complotto repubblicano ai suoi danni: argomento che stavolta potrebbe tuttavia suffragare, citando le parole pronunciate recentemente dal leader GOP alla Camera, Kevin McCarthy, secondo cui la Commissione Bengasi sarebbe il frutto di un piano, orchestrato per distruggerla.
Ma sul versante delle incoerenze programmatiche la situazione potrebbe risultare ben più spinosa. Sanders sono mesi che la attacca su questo fronte e – c’è da giurarci – non perderà occasione per mettere l’ex first lady davanti alle proprie responsabilità, soprattutto sulla questione irachena.
E proprio il compagno Bernie rischierà di rivelarsi il vero protagonista della serata, come Donald Trump per i due dibattiti televisivi repubblicani (soprattutto a Cleveland). Eh sì, anche perché corre da indipendente, non ha mai ricoperto incarichi amministrativi di livello veramente elevato e propone un programma energicamente populista, gradito alle frange della sinistra radicale. Ma soprattutto potrebbe rivelarsi mediaticamente efficace nelle sue polemiche e nel suo idealismo dalla forte carica anti-sistema. Va da sé dunque che – in un momento di forte discredito per la politica tanto tra i repubblicani quanto tra i democratici – Sanders possegga al momento tutte le carte per poter vincere questo dibattito. Bisognerà vedere se ne avrà la forza. E soprattutto se qualcuno non tirerà fuori all’ultimo momento qualche suo scheletro nell’armadio: tipo i suoi ambigui rapporti con la lobby delle armi.
Poi abbiamo l’incognita Biden. Ammesso che l’attuale vicepresidente si presenti, partirebbe certamente da una posizione di maggior forza, rispetto a Hillary. Non soltanto sta salendo nei sondaggi a suo detrimento ma non gli mancherebbe l’appoggio di un Obama che comunque ampie componenti dell’elettorato democratico continuano a sostenere. Componenti in buona parte costituite da minoranze etniche, che non guardano con eccessiva simpatia né a Hillary (considerata alla stregua di una WASP destrorsa) né a Sanders (che giudicano troppo critico verso l’attuale presidente).
Biden potrebbe inoltre arrivare allo scontro diretto con gli altri due principali contender. In primo luogo con l’ex segretario di Stato. Certo, si tratterebbe di una lotta imbarazzante (avendo entrambi lavorato nella stessa amministrazione dal 2009 al 2013). Ma inevitabile. Soprattutto sui temi di foreign policy. Come ha difatti recentemente notato Peter Baker sul New York Times, proprio sulla politica estera i due potrebbero più facilmente confliggere, perché fautori di approcci antitetici.
Hillary si sarebbe contraddistinta per un atteggiamento maggiormente aggressivo e interventista (in buona parte ereditato dal marito): un atteggiamento che si sarebbe concretizzato in scelte geopolitiche come la guerra in Libia. Biden, che storicamente è sempre stato annoverato tra i falchi (appoggiò la guerra nei Balcani e l’invasione irachena), a partire dall’esperienza come vicepresidente si sarebbe via via spostato su posizioni più caute (opponendosi alla guerra in Libia e consigliando addirittura eccessiva prudenza nell’operazione che avrebbe portato alla morte di Osama Bin Laden).
In tutto questo, Sanders avrebbe buon gioco nel ricordare a entrambi il loro appoggio nell’invasione irachena. Uno scontro a tre serrato, che potrebbe magari permettere a qualcuno dei candidati minori di intrufolarsi ed emergere. Per quanto sia difficile da credere. Il governatore del Maryland, Martin O’Malley, partito con grandi speranze, è pressoché completamente scomparso. Il trasformista Lincoln Chafee non ha mai mostrato dimestichezza con le primarie (da quando, repubblicano, si mise velleitariamente in testa di sfidare il presidente in carica George Walker Bush per la nomination del 2004).
Occhio a Jim Webb però. Per quanto abbia pochissime chances di emergere, è pur vero che in questa campagna elettorale democratica si è presentata una situazione abbastanza singolare. Tutti inseguono il voto dei radicali e nessuno si interessa dei moderati. E’ pur vero che, sia tra i repubblicani che tra i democratici, in sede di lotta per la nomination si ricerchi maggiormente l’appoggio delle ali estreme. Ma sino ad oggi, tutti gli attuali candidati dem non hanno fatto altro che imitare Elizabeth Warren e paiono essersi dimenticati del centro: quel centro che rappresenta lo storico feudo di Hillary. Ma che potrebbe non digerire poi più di tanto le sue numerose svolte radicali (si pensi solo al TPP). Ebbene, un candidato come Webb (da sempre su posizioni lontane dalla sinistra) potrebbe forse riuscire a pescare da quel serbatoio elettorale. Sempre che non ci metta lo zampino qualche repubblicano centrista prima di lui.
Il dibattito di Las Vegas si avvicina. Hillary sa che sta nuovamente per giocarsi la carriera: sospesa tra due linee politiche contraddittorie e perseguitata dagli scandali che la coinvolgono. Sanders sa che deve fare di tutto per consolidare la sua posizione e non dilapidare il vantaggio acquisito. Biden, nel caso partecipasse, sa anche lui di trovarsi di fronte all’ultima possibilità per arrivare allo Studio Ovale, dopo le sconfitte registrate nel 1988 e nel 2008. Hillary, Bernie e Joe se la giocano. Nella roulette più importante della loro vita.
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