America

USA 2016, New Hampshire: Bernie Sanders sorpassa Hillary

11 Settembre 2015

Decisamente un periodo nero per Hillary Clinton: un momento a dir poco catastrofico, palesemente fotografato dall’attuale situazione verificatasi in New Hampshire. Una situazione balzana, che promette rilevanti stravolgimenti politici nelle settimane a venire.

Da sempre saldamente in testa nei sondaggi elettorali relativi al Granite State, dalla primavera l’ex first lady ha sovente cercato di rafforzare la propria posizione in Iowa: uno stato che – ospitando un caucus – presenta un elettorato tradizionalmente più radicale e dunque restio ad accettare una candidata storicamente bollata come “centrista”. Non è d’altronde un caso che nelle primarie del 2008 in Iowa Hillary si fosse dovuta accontentare di un miserevole terzo posto ed è anche per evitare una poco gloriosa replica che ha ormai da mesi avviato una decisa virata programmatica a sinistra (dalla politica estera ai temi etici).

In tutto ciò, non è certo corretto dire che in questi mesi l’ex first lady abbia trascurato il New Hampshire, sennonché è comunque evidente che non si trovasse esattamente al centro dei suoi pensieri. Non bisogna dimenticare infatti che nel Granite State si tengono primarie aperte: consultazioni quindi tendenzialmente in grado di attrarre quote elettorali trasversali e sostanzialmente meno ideologiche. A questo si aggiunga poi che l’elettorato del New Hampshire si configura sotto il profilo storico  come tendenzialmente moderato. Nel 2008 difatti Hillary vi vinse con un discreto 39%.

Non certo un successone, visto che il liberal Barack Obama guadagnò la seconda posizione, attestandosi al 36. Ma non si dimentichi che al terzo posto si piazzò comunque  John Edwards al 16%: un candidato che – per quanto all’epoca si dicesse aperturista su alcune questioni care alla sinistra – rimaneva pur sempre considerato un centrista. Anche in forza di tutto ciò, Hillary ha quest’anno considerato il New Hampshire, se non proprio come un feudo, quantomeno come un territorio già acquisito: soprattutto perché nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulle possibilità del socialista Bernie Sanders (suo principale rivale) di primeggiare in uno stato moderato.

Improvvisamente, pochi giorni fa, la doccia gelata. Secondo diversi sondaggi il compagno Bernie è dato in vantaggio nel Granite State. E i numeri sono impietosi: almeno per Hillary. Secondo “Real Clear Politics“, non solo Sanders avrebbe sorpassato l’ex first lady di ben otto punti percentuali, piazzandosi al primo posto con il 42,3% dei consensi; ma anche l’analisi dei trend offrirebbe degli spunti interessanti. Per quanto quello di Bernie sia in lieve flessione nello spazio degli ultimi tre giorni, quello di Hillary è letteralmente in caduta libera dai primi di agosto (e non accenna minimamente ad invertirsi). Un trend pessimo che fa esattamente il paio con quello fotografato in Iowa: quantunque qui l’ex segretario di Stato appaia difatti ancora in vantaggio, sta evidentemente perdendo terreno, laddove Sanders appare al momento in ottima salute e rapida ascesa.

In tutto questo, tornando al Granite State, abbiamo poi l’incognita di Joe Biden. L’attuale vicepresidente non ha ancora chiarito se scenderà ufficialmente in campo per la nomination, ciononostante è attualmente dato intorno al 12 %, con trend positivo: così, giusto per aggravare ulteriormente i già agitati sogni della povera Hillary!

A questo punto è allora forse bene interrogarsi su questa situazione paradossale che probabilmente nessuno avrebbe potuto prevedere sino a pochi mesi fa. E, alla fine, sono forse due gli elementi principali da considerare.

Innanzitutto, il crollo della credibilità e della popolarità di Hillary. Mai veramente amata dalla base democratica (o comunque da cospicua parte di essa), l’ex first lady ha cercato di innovare la propria strategia comunicativa, tentando di farsi passare come un’amabile donna del popolo: ma ha fallito. Non solo perché frange cospicue dell’elettorato radicale le rimprovera costantemente le sue posizioni politiche pregresse, considerate di destra (dall’Iraq all’economia); non solo perché la accusa per le sue amicizie finanziarie (Goldman Sachs in primis); ma soprattutto perché la attacca spietatamente per lo scandalo Emailgate, in cui l’ex segretario di Stato ha dato prova di reticenza e mancanza di responsabilità. E le scuse tardive pronunciate adesso non hanno fatto che aggravare la sua già precaria posizione.

In secondo luogo, assistiamo poi a un problema più generale. L’ascesa di Sanders in New Hampshire tra i democratici fa il paio con quella di Donald Trump tra i repubblicani: un evidente segno di come – almeno attualmente – l’elettorato statunitense stia tendendo verso una crescente radicalizzazione dai toni smaccatamente populistici: e difatti – su diverse questioni – i programmi di Sanders e Trump risultano tanto paradossalmente quanto inquietantemente simili (si pensi soltanto alla loro comune propensione verso un’economia protezionista o alle loro proposte politiche sui rapporti con la Cina).

Con tutto questo non si vuole certo dire che nel 2016 siederà nello Studio Ovale un novello James Weaver né che Hillary si eclisserà improvvisamente (proprio oggi, su “Politico”, Katie Glueck evidenzia come la macchina elettorale clintoniana sia una formidabile corazzata: una corazzata che – c’è da giurarci –  venderà cara la sua pelle). Ma si tratta comunque di una situazione da non sottovalutare.

Perché il fenomeno di Sanders (così come quello di Trump) sarà magari anche destinato a sgonfiarsi: ma mette comunque drammaticamente in luce una crisi sempre più profonda nell’agone politico americano. Una crisi strutturale. Una crisi in cui si riversa la forte carica critica delle basi elettorali verso i rispettivi establishment. Da una parte, quello repubblicano: ideologicamente impreparato, incapace di reagire e in balìa delle sparate di Trump. Dall’altra, quello democratico: appiattito su un vecchiume sempre più ammuffito, visto che – per sostituire eventualmente Hillary – non trova di meglio che riproporre nomi logori (e perdenti) come quelli di Joe Biden, John Kerry e Al Gore. Un errore – questo – che i repubblicani hanno almeno parzialmente evitato, permettendo un discreto ricambio generazionale negli ultimi anni.

Che sia da questo ricambio che possa sorgere un’attesa? Una speranza per un New American Century? Chissà…

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