America

USA 2016, Marco Rubio rimonta e sfida Jeb Bush

15 Agosto 2015

Una feroce critica alla politica estera di Obama e di Hillary. Questo, in estrema sintesi, il succo del discorso tenuto poche ore fa a New York dal candidato repubblicano Marco Rubio: un discorso duro che ha trovato il proprio principale bersaglio nelle recenti aperture della Casa Bianca verso l’Iran e – soprattutto – verso Cuba.

Da sempre considerato un “falco”, il giovane senatore della Florida ha puntato sul proprio consueto cavallo di battaglia: una politica estera vigorosa e attenta alla sicurezza nazionale. Una politica estera che non conceda alcunché agli storici nemici dello Zio Sam ma che – di contro – dovrebbe per lui rinsaldare i legami con i suoi vecchi alleati (Israele in primis).

In tal senso, Rubio ha ribadito i timori secondo cui il nuclear deal con Teheran risulterebbe foriero di gravi minacce per la stabilità mediorientale, impegnandosi esplicitamente a stracciarlo in caso di accesso allo Studio Ovale. In secondo luogo, è andato giù duro su Cuba, asserendo come l’apertura diplomatica all’isola non rappresenti soltanto un pericolo per la sicurezza nazionale ma altresì una profonda ingiustizia nei confronti degli esuli anti-castristi, che sempre si sono battuti contro uno stato duramente dittatoriale. Per questa ragione, il senatore ha dichiarato di essere intenzionato – in caso di vittoria presidenziale – non solo  a rompere nuovamente le relazioni diplomatiche con i fratelli Castro ma anche a reinserire Cuba nella black list dei paesi sponsor del terrorismo (come dai tempi di Reagan).

Un discorso energico, quello di Rubio. Un discorso che esemplifica un programma di foreign policy a tratti bellicoso e non del tutto estraneo a evidenti suggestioni neocon. Un discorso con cui il senatore mira chiaramente a presentarsi quale candidato deciso, netto e schierato: senza tentennamenti o ambiguità. Un discorso finalizzato a consolidare ulteriormente il consenso, riscosso nel corso di questi ultimi giorni.

Eh sì, perché pare che la sua corsa elettorale abbia recentemente attuato una svolta profondamente positiva: una svolta, secondo gli analisti, essenzialmente dovuta alla sua buona performance in occasione del dibattito televisivo del 6 agosto a Cleveland. Tanto che gli ultimi sondaggi di Rasmussen testimoniano come nell’ultima settimana sarebbe passato da un poco brillante 7% ad un buon 10. Un ottimo risultato, che può spiegarsi fondamentalmente per due ragioni.

In primo luogo – come accennato – per la performance televisiva in sé stessa. Nonostante alcune incongruenze e qualche giravolta (come la radicalizzazione sul tema dell’aborto), durante il dibattito Rubio è apparso a proprio agio: ha abilmente incarnato il ruolo del candidato giovane, fresco, con un pizzico di esperienza, abbracciando la retorica della novità, di contro a un passato, rappresentato non soltanto dalla front runner democratica, Hillary Clinton, ma anche dal suo vecchio mentore, Jeb Bush.

Anzi, proprio il confronto con quest’ultimo è apparso di notevole interesse: Rubio è riuscito a presentarsi finalmente come candidato autonomo, recidendo duramente il cordone ombelicale che lo vedeva legato all’ex governatore della Florida. In tal senso d’altronde, si spiegano alcune sue recenti posizioni piuttosto dure in etica e politica estera: come esemplificazione, cioè, della sua differenza da Bush, tacciato invece di essere troppo blando e moderato (ricordiamo ad esempio come, qualche settimana fa, Jeb abbia dichiarato che – da presidente – non romperebbe subito il nuclear deal, riservandosi il diritto di un’accurata valutazione preventiva).

Alla luce di tutto questo, è chiaro come, al momento, la narrazione di Rubio appaia indubbiamente la più efficace all’interno della compagine repubblicana: il ribelle fresco, che spariglia le carte all’interno di un partito ammuffito, ma che al contempo sa mantenere un comportamento corretto e autorevole. Un’equidistanza dunque tanto dagli eccessi radicaleggianti alla Cruz quanto dal grigiore istituzionale di Bush o dall’idealismo inconcludente di Paul.

In secondo luogo, l’altro elemento che sta offrendo un indubbio vantaggio a Rubio è certamente la crisi di Donald Trump. Nonostante una performance pirotecnica a Cleveland, pare proprio che stavolta il miliardario in parrucca abbia esagerato e che parte della sua base elettorale si sia quindi decisa ad abbandonarlo. Sempre secondo Rasmussen difatti, il magnate avrebbe subito un calo di ben nove punti percentuali, passando bruscamente nel giro di tre giorni da un gradimento del 26% ad uno del 17%.

Un crollo che sta profondamente avvantaggiando Rubio. A ben vedere difatti, è più di un mese che il senatore della Florida subiva duramente la concorrenza del miliardario: mentre sino a giugno tutti i sondaggi lo annoveravano nella terna dei front runner repubblicani (assieme a Bush e Walker), da quando il creso Donald aveva iniziato la sua ascesa populistica, Rubio era pesantemente retrocesso in bassa classifica, addirittura superato da candidati come Carson e Huckabee (non proprio il massimo dell’esperienza politica o della novità).

Oggi invece le cose sembrano cambiate e si può tranquillamente dire che il giovane senatore sia tornato in corsa. Bisognerà vedere se sarà in grado di proseguire su questa strada, conservare e ampliare il consenso ad oggi incassato. Certo, la via che si trova a battere è impervia e tutt’altro che semplice. Nonostante a Cleveland abbia dimostrato autonomia da Bush, dovrà comprovare ancora di sapersi differenziare dal suo vecchio mentore, spostandosi a destra ma non troppo, per evitare di restare inghiottito dal radicalismo settario degli ultraconservatori.

E quindi alla fine il suo più grande problema è e resterà proprio Jeb, con cui prevedibilmente ingaggerà uno scontro all’ultimo sangue: si somigliano troppo e rischiano di cannibalizzarsi vicendevolmente. L’idea poi di un eventuale ticket Bush-Rubio, oltre che prematura, appare soprattutto improbabile: la Storia recente insegna che presidente e vicepresidente non appartengano quasi mai alla stessa corrente, proprio per rappresentare al meglio la complessità del partito in sede di corsa presidenziale. Senza poi contare che il XII Emendamento comunque non consentirebbe il ticket , essendo entrambi residenti nel medesimo stato.

Uno scontro all’ultimo sangue allora. Un parricidio in piena regola: questo sarà l’obiettivo di Rubio. Ma dovrà stare molto attento. Perché – da tradizione – chi pesta i piedi a un Bush può vincere soltanto mordendo più forte. Ma i denti dei Bush sono zanne acuminate. Che non si fermano davanti a niente. Mai.

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