America

USA 2016, il peso di Charleston sulla corsa per la Casa Bianca

19 Giugno 2015

La strage a sfondo razziale, consumatasi a Charleston all’interno di una chiesa metodista lo scorso 18 giugno, rimetterà prevedibilmente al centro del dibattito pubblico statunitense la spinosissima questione del controllo sul possesso delle armi (il cosidetto “gun control”). Le parole di Obama sono state d’altronde chiare nell’asserire come certi eventi terribili non a caso “accadano solo in America”, riproponendo dunque la necessità di una legislazione più severa e restrittiva, in un paese abituato anche recentemente a conoscere massacri e sparatorie (dalla Columbine School a Tucson). E difatti il dibattito filosofico, giuridico e politico su questo problema negli States non ha mai accennato ad esaurirsi.

In principio fu il II Emendamento. Redatto sul modello del Bill of Rights britannico del 1688 (che vietava al re d’Inghilterra di privare i sudditi delle proprie armi), fu approvato nel 1791 in un clima che ancora risentiva fortemente di una guerra d’indipendenza, ufficialmente conclusasi otto anni prima. La redazione della norma fu d’altronde il frutto di un dibattito parlamentare estenuante e il risultato di un compromesso tra fazioni avverse, ciascuna con le proprie pretese: un compromesso che portò ad un emendamento particolarmente conciso ma anche – proprio per questo – caratterizzato da un’ambiguità di fondo che avrebbe non a caso costretto la Corte Suprema a pronunciarsi più volte per la sua interpretazione nel corso della storia. Il testo difatti, nella sua asciuttezza, recita: “a well regulated militia being necessary to the security of a free state, the right of the people to keep and bear arms shall not be infringed”.

La giurisprudenza si è arrovellata per due secoli su ogni singola espressione di questa frase, interrogandosi ora su che cosa esattamente si intenda per “regulated militia”, ora sul preciso significato di “bear”, ora sulla valenza del termine “people”: “società organizzata e regolamentata” per alcuni, “insieme dei singoli individui”per altri.

D’altronde, la stessa Corte Suprema ha teso a pronunciarsi in modo diverso nel corso dei decenni. Il grande problema era (ed è) difatti capire se l’emendamento garantisca o meno il possesso privato delle armi. In tal senso, nel 2008 la Corte ha alfine dichiarato incostituzionale il divieto di possedere privatamente armi da fuoco.

Gli argomenti pro e contro il diritto al possesso privato di armi sono del resto molteplici. E sotto un profilo più genuinamente filosofico possono essere ricondotti a due antitetici sistemi di pensiero che notoriamente si fronteggiano anche su una miriade di altre tematiche all’interno del dibattito pubblico statunitense (dal fisco all’ambiente). L’eterna opposizione, cioè, tra società e individuo. Il perenne conflitto tra due antitetiche concezioni della “giustizia”: la giustizia intesa come principio sociale, tendente in primo luogo a una regolazione dei rapporti interpersonali, finalizzata alla salvaguardia del bene comune; e la giustizia considerata come tutela dei diritti inalienabili dell’individuo, di contro ad una collettività potenzialmente tirannica e soverchiante.

Una dicotomia lacerante che oppone irrimediabilmente soprattutto due degli schieramenti che compongono il complicato universo politico statunitense: i liberal e i libertarians, i seguaci di John Rawls e quelli di Murray Rothbard. Nuovamente, cioè, i fautori della società e quelli dell’individuo. Con i primi (Obama in testa) che denunciano l’ondata di violenza che pervade la società statunitense e i secondi che ribattono attraverso l’esaltazione e la difesa della libertà individuale.

Una disputa ideologica che si è poi riverberata a livello socio-politico nella costituzione di consorzi come la National Rifle Association (NRA), una potentissima lobby delle armi, particolarmente attiva a livello politico, in termini di finanziamenti elettorali (soprattutto in campo repubblicano, avendo sostenuto in passato nomi come quelli di Ronald Reagan, Rick Santorum e John McCain). Finanziamenti elettorali evidentemente finalizzati ad una cospicua attività di lobbying, tendente ad osteggiare ogni tentativo politico di restrizione al possesso delle armi da fuoco: la NRA ebbe per esempio un ruolo determinante nel 2013 nell’affossare al Congresso l’Assault Weapons Ban (il tentativo di rinnovare un provvedimento siglato da Clinton nel ’94 per  proibire l’uso privato di determinate armi da fuoco). E vale forse la pena di sottolineare come – senza molta vergogna – proprio un membro della stessa NRA, Charles Cotton, ha dichiarato che se la senatrice democrat Clementa Pinckney (pastore della chiesa in cui è avvenuto l’attentato di Charleston, rimasta uccisa), avesse votato a favore del possesso di armi, le otto vittime avrebbero potuto difendersi e adesso sarebbero ancora vive.

Ora, è abbastanza plausibile che – soprattutto a seguito della strage del 18 giugno – la questione delle armi possa prepotentemente diventare centrale nel dibattito elettorale per le presidenziali del 2016. E c’è da dire come diversi degli attuali candidati abbiano in passato mostrato posizioni abbastanza nette sull’argomento.

Innanzitutto troviamo le figure maggiormente spostate verso il libertarianismo populistico del Tea Party (il cui simbolo non a caso nel 2008 fu quello di una Sarah Palin che imbracciava felicemente il fucile): figure come quella di Ted Cruz , il quale si è da sempre battuto contro ogni possibile restrizione all’acquisto di armi da parte dei privati, opponendosi addirittura ad un incremento dei controlli in sede di acquisizione (affossando per questo il Manchin-Toomey Amendment nel 2013 al Congresso).

Su posizioni libertarian più classiche (per quanto comunque non del tutto estranee al Tea Party), anche Rand Paul si dice contrario ad ogni incremento del gun control, in quanto lesivo della libertà e della sicurezza individuali. Su posizioni simili si collocano d’altronde tanto Donald Trump quanto Ben Carson (tutti accomunati dall’esaltazione – un po’ retorica – del II emendamento): per quanto, è bene ricordare come un tempo Carson fosse su posizioni più moderate, posizioni che furono improvvisamente abbandonate, molto probabilmente per cercare di attrarre i voti della destra radicale.

Diverse invece le scelte di Jeb Bush e Hillary Clinton. Il primo si è sempre detto favorevole al possesso privato delle armi e – da governatore della Florida – approvò una norma in favore della difesa personale. Ma al contempo ha anche sostenuto la necessità di controlli maggiori e di alcune restrizioni (evidente conferma di voler incarnare un’anima moderata all’interno del GOP). La seconda, dal canto suo, nel corso della propria carriera non ha mai tenuto una posizione assolutamente lineare sulla questione: tendenzialmente favorevole a delle restrizioni (fu d’altronde fautrice dell’ Assault Weapons Ban nel 1994), oggi – complice anche la sua recente svolta a sinistra –  sventola un vessillo drasticamente anti-armi: non proprio il massimo della coerenza, visto che nella corsa per le primarie del 2008 mantenne un atteggiamento molto più morbido, strizzando spesso opportunisticamente l’occhio agli oppositori del gun control (soprattutto in Indiana). Senza poi contare il candidato “socialista” Bernie Sanders e dei suoi rapporti altalenanti (e ambigui) proprio con la NRA nell’intero corso della sua storia politica.

Il dibattito presidenziale tende dunque a farsi sempre più infuocato: ostaggio di ideologie, interessi lobbistici e giustizieri solitari dal grilletto facile. Un caos da cui non sarà facile uscire e che lascia un’eredità pesante al prossimo inquilino dello Studio Ovale.

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.