America
USA 2016, Jeb Bush e Hillary Clinton si scontrano sulla crescita economica
Stati Uniti. La campagna per la competizione elettorale del 2016 entra nel vivo. E i front runner dei rispettivi partiti, Hillary Clinton e Jeb Bush, cominciano a stuzzicarsi più insistentemente. Complice anche il fatto che entrambi debbano comunque ancora guardarsi dai competitor interni, da tempo i due si sono lanciati da lontano frecciatine velenose, senza mai arrivare però ad un vero e proprio scontro diretto. Sono mesi che Jeb di tanto in tanto ricorda alla rivale lo scandalo delle email, mentre Hillary lo rimprovera di non avere una linea realmente chiara sull’immigrazione. Scaramucce, appunto. Ma niente di che.
Sennonché pare che le cose stiano lentamente cambiando. E – a ben guardare – sembrerebbe che il livello dello scontro stia alzandosi pian piano. E il terreno su cui la lotta sembra farsi più aspra è quello della crescita economica e del lavoro. Un tema di fondamentale importanza per una nazione che guarda ancora alla crisi economica del 2007 con orrore e angoscia.
Per diverso tempo Jeb Bush ha preferito concentrarsi sulle questioni di foreign policy. Una scelta probabilmente tattica, ben sapendo come la politica estera rappresenti il grande punto debole di Hillary. Una Hillary che – non a caso – ha finora sempre e solo parlato di domestic policy, guardandosi bene dal rievocare nella memoria dell’elettorato i suoi trascorsi da Segretario di Stato.
Ciononostante, qualche giorno fa, Bush ha affrontato la questione della crescita economica. Un problema spinoso per il fronte repubblicano. Eh sì, perché nel 2012, allo scadere del primo mandato di Obama, i numeri sulla crescita erano particolarmente impietosi e molti analisti scommettevano su una sconfitta del presidente, evocando – non a caso – lo spettro di Jimmy Carter. Sennonché Obama fu riconfermato e il programma liberista di Romney divenne carta straccia. E ora le cose sono cambiate. Perché l’economia statunitense ha dato segni di ripresa del 2%: una preoccupazione in più per il GOP che ha quindi maggiore imbarazzo nell’attaccare l’Asinello sull’economia.
In questo frangente, Bush ha deciso di giocare d’attacco. Ma la linea non è più quella dell’ex governatore del Massachusetts. Secondo Jeb il problema non è che le politiche economiche obamiane impediscano la crescita (come affermava Romney) ma bensì che la rallentino. Senza le eccessive e soffocanti regole burocratiche che tanto piacciono al presidente, una modesta crescita del 2% potrebbe arrivare a raddoppiare. In tal senso, l’obiettivo che Jeb si prefissa è proprio quello di portare la crescita economica statunitense al 4%, secondo un programma ancora non particolarmente dettagliato ma che dovrebbe articolarsi intorno a due punti essenziali: un piano di deregulation e – in particolare – un accrescimento della produttività, da ottenersi mediante l’aumento delle ore lavorative.
Ed è proprio su quest’ultimo punto che è scoppiata una piccola bufera intorno a Bush, da sinistra accusato di voler aumentare un numero già alto di ore lavorative a detrimento dei cittadini statunitensi. Una piccola bufera che Hillary ha prontamente cavalcato. E difatti su Twitter ha scritto: “Anyone who believes Americans aren’t working hard enough hasn’t met enough American workers”. Della serie: sono io che conosco e tutelo i lavoratori americani! Già molti gridavano a un nuovo caso Romney, riferendosi alla famosa gaffe dell’ex candidato repubblicano, allorché disse che una buona fetta dell’elettorato meno abbiente non avrebbe votato per lui. E la strategia di Hillary è appunto questa: cercare di far passare Jeb come un nuovo Mitt: un riccone opulento e interessato, bramoso di potere soltanto per i suoi fini.
Il punto è che non sembra esserci riuscita. Innanzitutto perché se la retorica contro i miliardari poteva funzionare nello scontro Obama-Romney, non risulta essere molto credibile, se imbracciata oggi da una delle donne più ricche (e potenti) d’America. In secondo luogo, perché Bush – contrariamente all’ex governatore del Massachusetts – non ha fatto retromarcia ma, anzi, ha rincarato la dose, specificando il suo pensiero.
Il punto, per Bush, è molto semplice. In America ci sono sei milioni e mezzo di lavoratori part time che desidererebbero un “full time job” per guadagnare di più: un “full time job” che tuttavia si stenterebbe a trovare a causa di un’economia – quella obamiana – definita da Jeb “anemic”. L’affondo torna quindi all’attuale presidente, tacciato di aver creato un sistema asfittico di regole, che impedirebbe da una parte l’accesso al lavoro e dall’altra che gli imprenditori possano creare nuovi posti. Jeb ribadisce quindi la sua intenzione di portare la crescita economica al 4% e di creare 19 milioni di posti di lavoro. Una promessa, resa realistica dalla sua pregressa esperienza come governatore della Florida dal 2000 al 2007, allorché aumentò effettivamente la crescita economica, abbattendo al contempo la disoccupazione del 3%.
Tutto questo rende chiara la strategia di Bush in campo economico. Risollevare un’economia che – per quanto in crescita – resterebbe comunque al momento debole. Suffragare le proprie proposte, richiamandosi alla sua esperienza politico-amministrativa di successo. Dipingere Hillary Clinton come una professionista della politica: una donna di palazzo, amica dei lavoratori solo a parole e del tutto priva di vera esperienza.
Non sarà un caso che durante un discorso tenuto l’8 luglio Jeb abbia ricordato come Hillary in otto anni di mandato senatoriale sia riuscita a far approvare appena tre leggi. Infine, non dobbiamo dimenticare, che per storia politica personale, Jeb – nonostante i suoi proclami di fedeltà a Milton Friedman – non sia ideologicamente ascrivibile all’ultraliberismo, avendo – di contro – spesso appoggiato politiche sociali che potrebbero accattivargli le simpatie di ampie quote elettorali.
Una strategia efficace, quella di Jeb, che fa tesoro degli errori di Romney e che rifiuta quindi di stare sulla difensiva. Una strategia che tuttavia ha i suoi problemi. Innanzitutto sarebbe necessario che l’ex governatore chiarisse il prima possibile in che modo abbia concretamente intenzione di realizzare questo ambizioso programma. Già difatti da più parti è stato accusato di essere troppo vago. In secondo luogo, non è detto che la sua pur brillante esperienza in Florida possa tornargli utile. Se è vero che da governatore aumentò la crescita di quattro punti percentuali e creò 1.3 milioni di posti di lavoro, è pur vero che si trattava di un periodo antecedente alla crisi economica che sconvolse il mondo nel 2007. Proprio per questo, oltre alle parole, occorrerebbero piani dettagliati.
Come che sia, lo scontro sulla crescita economica mette in evidenza un chiaro dato politico. Sia Hillary che Jeb si considerano vicendevolmente rivali, guardando entrambi quindi al di là delle primarie. Un duello presidenziale che annuncia scintille. Tra chi si aspetta l’odore del sangue e chi invece teme nient’altro che una messinscena teatrale.
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