America
USA 2016, Iowa: Scott Walker sull’orlo di una crisi di nervi
Il candidato alla nomination repubblicana, Scott Walker, appare seriamente in difficoltà. E comincia a sudare freddo. Campanello d’allarme sono gli ultimi sondaggi, rilevati in Iowa, dove a gennaio si terrà il celebre caucus con cui avrà ufficialmente inizio la competizione elettorale.
Sondaggi particolarmente inclementi, che evidenziano la parabola discendente dell’attuale governatore del Wisconsin. Un dato tanto più preoccupante, se letto alla luce del fatto che Walker ha da sempre impostato la propria campagna elettorale su un punto essenziale: presentarsi quale candidato di destra, duro e puro. Un reaganiano dal pugno di ferro, dal piglio anti-sindacale e – soprattutto – accondiscendente verso le istanze della religious right.
Un candidato, dunque, in grado di connettere una prospettiva vicina al radicalismo ad un’esperienza amministrativa efficace e di successo. Un candidato quindi che ha fatto delle nettezza ma anche della credibilità un punto decisivo della propria offerta programmatica. Un candidato che, proprio in forza del suo conservatorismo, è sempre stato particolarmente gradito all’elettorato repubblicano dell’Iowa: stato dell’America profonda, storicamente vicino alle istanze ultraconservatrici.
Basta d’altronde vedere i sondaggi degli ultimi sei mesi, in cui Walker è rimasto saldamente in testa alla classifica dei gradimenti da gennaio sino ai primi di giugno. Poi, l’imprevisto: l’inizio della campagna elettorale di Donald Trump, che – con le sue sparate populistiche particolarmente polemiche soprattutto verso l’establishment dell’Elefantino – ha iniziato a mietere consensi. Consensi che si sono via via moltiplicati soprattutto tra l’elettorato dell’Iowa, galvanizzato dalla retorica (e dagli spot) del miliardario. Poi, una settimana fa, il sorpasso. Non solo Trump è assurto a front runner nello stato in questione, ma Walker ha iniziato anche a perdere sempre più terreno, piombando a un poco decoroso terzo posto. Un risultato a dir poco disastroso, almeno per tre ragioni.
Innanzitutto perché – come detto – il Nostro ha impostato immagine e programma avendo da sempre l’Iowa come principale obiettivo: il reaganiano in motocicletta che non disdegna i barbecue in mezzo alla gente, che chiama le cose col loro nome e che solletica la pancia dell’elettorato conservatore. Un simile crollo quindi testimonia il fallimento di una strategia in principio vincente, che gli fa disperdere tutto il vantaggio abilmente accumulato sinora.
In secondo luogo, c’è un problema che potremmo definire “geografico”. Da mesi, uno dei maggiori crucci di Walker è stato proprio la scarsa notorietà a livello nazionale (soprattutto in confronto ad altri candidati ben più noti, come Jeb Bush). Ora, al di là del suddetto aspetto programmatico, uno dei motivi della sua ascesa in Iowa consisteva anche nel fatto di essere governatore di uno stato finitimo, come il Wisconsin. Se già arranca dunque in uno stato confinante dove – bene o male – lo conoscono tutti, figuriamoci che cosa potrà accadere negli stati più lontani (dove la sua figura è divenuta notoria in fin dei conti da pochissimi mesi).
Infine, l’ulteriore dato sconcertante risiede nell’essere stato superato da due figure assolutamente estranee al mondo politico. Se attualmente la prima posizione in Iowa è – come dicevamo – occupata dal magnate Donald Trump, al secondo posto troviamo l’ex neurochirurgo Ben Carson. E – dulcis in fundo – subito dietro, alla quarta posizione, si colloca l’ex businesswoman Carly Fiorina. Tre “self made candidates” dunque che sono scesi in campo con l’ovvia pretesa di contestare la figura del politico di professione e che dichiarano di voler servire l’America primariamente attraverso la propria esperienza nel campo privato (quantunque sia da ricordare come la Fiorina abbia già tentato – sempre fallimentarmente – di intraprendere la carriera politica all’interno del GOP).
Ora, secondo diversi analisti, sembrerebbe che alla base del crollo di Walker vi sarebbe la sua performance in occasione del dibattito televisivo di Cleveland: una performance giudicata grigia, meccanica, artefatta, soprattutto dal focoso elettorato dell’Iowa. Una performance che – effettivamente – ha messo in luce i grandi limiti di Walker in termini di comunicazione: non solo è difatti apparso noioso e grigio (di contro alla vitalità di Rubio o alle bizzarrie di Trump) ma anche stancamente ripetitivo nei contenuti, con la solita tiritera sulle sue lotte anti-sindacali e sul fatto di aver vinto la recall election nel 2012: roba che ripete monotonamente da mesi.
Ma il governatore del Wisconsin non ci sta a passare come candidato incolore o centrista. E va difatti al contrattacco. Ha capito che per conquistare l’Iowa non basta più presentarsi come tradizionale (per quanto radicaleggiante) esponente di destra: bisogna essere più duri ancora e colpire nettamente laddove la base conservatrice vuole si colpisca: l’establishment del partito. E Walker sembra si stia in queste ore muovendo proprio in una tale direzione.
Ieri mattina, nel corso di un programma radiofonico, ha esplicitamente attaccato i senatori repubblicani, tacciandoli di debolezza, incapacità e sostanzialmente di non essere stati in grado di opporsi all’Obamacare. In particolare, avrebbe attaccato direttamente il capogruppo al Senato, Mitch McConnell, ormai diventato da mesi simbolo dell’establishment repubblicano e – non a caso – bersaglio degli esponenti più radicali del GOP (come Ted Cruz, che l’ha recentemente definito addirittura “un bugiardo”).
Inoltre – come riporta “Politico” – è atteso per oggi un discorso a Minneapolis, in cui Walker dovrebbe attaccare a testa bassa l’Obamacare, impegnandosi concretamente in un suo smantellamento in caso di vittoria presidenziale. Un programma articolato, il cui centro risiederebbe nel restituire la competenza in materia sanitaria ai singoli stati, sottraendola – almeno in buona parte – al potere federale. Il tutto sarebbe poi accompagnato da sgravi fiscali per i cittadini meno abbienti e quindi non in grado di pagarsi un’assicurazione. Un piano articolato, che – come già notano gli oppositori – sicuramente presenta alcuni punti oscuri (soprattutto in termini di copertura). Ma un piano che tuttavia ha il chiaro intento di offrire una proposta maggiormente concreta, rispetto agli altri rivali repubblicani, i quali ad oggi si sono limitati soltanto a isterismi generici contro l’Obamacare, senza mai riuscire a presentare un progetto realmente alternativo.
Un piano che evidenzia una volta di più la consueta strategia messa in campo dal governatore del Wisconsin: quel tentativo di coniugare conservatorismo e credibilità, quel tentativo che, cioè, lo possa differenziare tanto dai candidati più centristi (come Christie, Kasich e Bush), quanto da quelli più impresentabili (come Trump). Anzi, c’è da scommetterci che questo dettagliato piano anti-Obamacare sia principalmente diretto contro il populismo approssimativo del miliardario in parrucca: quasi un modo per stanarlo e metterlo di fronte alle incoerenze e alle genericità dei suoi proclami (nella fattispecie, qui, in materia sanitaria).
Una strategia che potrebbe rivelarsi anche efficace. Ma non necessariamente. Innanzitutto difatti – almeno sino ad oggi – i sostenitori di Trump non hanno mai mostrato di interessarsi eccessivamente alla fattibilità delle proposte da lui avanzate, fermandosi invece ad apprezzarne la retorica colorita e controcorrente. Ma soprattutto, il grande rischio per Walker è che questo suo nuovo punto programmatico si riveli un’arma a doppio taglio.
Eh sì, perché da governatore stornò circa sessantamila persone dal piano Medicaid a quello Obamacare, per ragioni di risparmio. Un elemento che – c’è da giurarci – i rivali di partito gli rinfacceranno presto (non essendosi mai dimostrato d’altronde Walker il massimo della coerenza anche su altre questioni: immigrazione in primis). Un elemento che potrebbe pesare come un macigno, soprattutto tra le fila di un elettorato conservatore come quello dell’Iowa, che potrebbe decidere allora di voltargli definitivamente le spalle.
In tal senso, si comprende come la via che il governatore del Wisconsin debba percorrere sia tutt’altro che semplice. Schiacciato tra i populismi e il radicalismo di destra, sta disperatamente cercando una sintesi che tuttavia tarda a concretizzarsi. Anche a causa della sua indecisione. Proprio così: perché a fronte di un’ostentata risolutezza, Walker sembra sempre più manifestare i sintomi di una malcelata titubanza: una titubanza che prima lo porta a reagire contro i suoi diretti competitor, nel nome della serietà e della competenza, mentre poi lo conduce invece ad imitarli, inseguendoli sul suo stesso terreno.
Una titubanza espressa proprio dal suo ambiguo rapporto con Trump: ora nemico da abbattere, ora front runner da blandire. Non dimentichiamoci difatti come Walker durante il dibattito di Cleveland abbia preso le sue difese, dinanzi alle domande aggressive dei giornalisti, e come abbia recentemente sentito l’esigenza di rimarcare che il suo piano in materia di immigrazione sia simile a quello del miliardario in parrucca.
Davanti a tutto questo, Scott Walker deve prendere una decisione. Deve mostrare, una volta per tutte, all’elettorato la propria identità umana, politica e programmatica. Deve, cioè, al di là della sua roboante e stantia retorica, prendere in mano la situazione e avviarsi decisamente sulla propria strada, senza ambiguità e infingimenti. Perché così soltanto si potrà infine capire se ci troviamo sul serio davanti al nuovo Ronald Reagan o miseramente invece all’ennesimo quaquaraquà.
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