America

USA 2016, il sognatore e il combattente: il duello tra Marco Rubio e Ted Cruz

12 Novembre 2015

E fu così che a Milwaukee ebbe inizio uno scontro. Epico. No, non stiamo parlando della contesa tra Donald Trump e Ben Carson: gli attuali front runner repubblicani che – secondo non pochi analisti – avrebbero dovuto darsele di santa ragione martedì sera davanti alle telecamere per la conquista del voto radicale. In realtà i due hanno (forse strategicamente) evitato di pestarsi i piedi, dando quasi l’impressione di essere degli amiconi.

No, lo scontro che si va delineando è un altro. Quello tra Marco Rubio e Ted Cruz. Entrambi giovani senatori. Entrambi di origini cubane. Entrambi vicini al Tea Party. Lo stallo diarchico recentemente creatosi in seno al fronte anti-politico e la crisi cronica di un centro sempre più imbelle, stanno difatti permettendo loro di emergere gradualmente. Con l’ovvio risultato di portare due vecchi alleati di battaglie congressuali (Planned Parenthood in testa) a guardarsi in cagnesco.

Eh sì, perché alla fine gli elettorati cui si rivolgono non sono poi così differenti. Da una parte Rubio: candidato senza dubbio complesso, centrista sulle questioni socio-economiche e destrorso in bioetica e politica estera, potrebbe abilmente riuscire a convogliare elementi eterogenei che gli permettano di realizzare una convergenza tra moderati e radicali.

Dall’altra, Cruz. Primo candidato ufficiale per le presidenziali del 2016, sin da subito ha chiarito di volersi presentare come il campione della destra ultraconservatrice, nella speranza di raccogliere l’eredità costruita da Rick Santorum nel 2012, portandola avanti e rafforzandola. Di contro a Marco, odia aprioristicamente il centro e considera il GOP un partito di destra dura e pura.

Entrambi sono partiti in sordina, subendo inizialmente l’oscuramento di competitor più forti e ricchi. Bush, per Rubio. Trump, per Cruz. Sennonché, il primo è entrato rapidamente in crisi. Il secondo, ha iniziato ora a subire la concorrenza di Ben Carson. Questo ha creato un ampio spazio di manovra per i due senatori, che adesso guadagnano consenso, sottraendolo ai propri avversari. Rubio tende a presentarsi come un nuovo Bush: più fresco, energico e capace di strizzare l’occhio alla destra. Cruz, approfitta del battibecco tra il magnate e il neurochirurgo, per intestarsi le loro battaglie, lasciandoli reciprocamente a scannarsi.

E’ vero: le loro narrazioni non coincidono. Ma non risultano neppure radicalmente differenti, avendo entrambe chiaramente ereditato porzioni diverse del racconto immaginifico reaganiano. Rubio ha impostato tutto sull’idea del sogno, nella capacità vigorosa di proiettare la speranza in un New American Century: mostrandosi così in grado di riproporre in chiave nuova idee e princìpi non estranei alla passata politica americana. Cruz, dal canto suo, ha prediletto l’immagine del fighter: il combattente pronto a tutto pur di difendere la verità. Quella verità che rappresenta il peculiare leitmotiv del suo storytelling, anch’esso intriso di venature reaganiane, come suggerisce (un po’ scontatamente) il titolo della sua autobiografia, “A time for Truth”.

In tal senso, entrambi guardano avidamente alla destra. E’ ad essa che puntano, perché sanno ormai troppo bene che averla contro significherebbe acquisire le redini di un partito ingovernabile (McCain e Romney docunt).  Proprio per questo, i due finiranno probabilmente per scontrarsi in modo diretto e non è chiaramente prevedibile quali possano essere gli esiti di questa possibile faida.

Rubio parte avvantaggiato nei sondaggi. Ma è anche vero che in termini di primarie è quello che rischia di più. Notoriamente, in sede di lotta per la nomination, l’elettorato radicale ha larga voce in capitolo: elemento, questo, che favorisce immensamente Cruz. Non che Rubio non abbia possibilità, tutt’altro. Ma le sue recenti radicalizzazioni (ad esempio in materia bioetica) potrebbero prima o poi esporlo all’accusa (che qualcuno già gli ha mosso, tra l’altro) di essere un voltabandiera. Un assist al senatore texano, quindi, che ha sempre fatto della coerenza il proprio cavallo di battaglia.

Questione differente per la general election, invece. Qui Cruz avrebbe vita assi difficile, proprio a causa del suo noto radicalismo: non soltanto perché finirebbe col polarizzare l’elettorato, spingendo i moderati tra le braccia di Hillary Clinton. Ma anche perché si troverebbe contro lo stesso establishment repubblicano, che lo odia e difficilmente lo aiuterebbe a conquistare le chiavi dello Studio Ovale. Di contro, Rubio risulterebbe un ottimo candidato, laddove riuscisse a concretizzare le sue doti di federatore, permettendo la convergenza tra le varie anime dell’Elefantino (senza contare che i suoi rapporti con i big del partito non si sono ad oggi guastati e che potrebbe quindi risultare un candidato di sintesi tra lo stesso establishment e il Tea Party).

A queste considerazioni vanno poi aggiunte ulteriori riflessioni sui rivali. Non è detto che Trump e Bush siano già morti. Il primo, a settembre, è già sopravvissuto a un tentativo di omicidio politico da parte di Carly Fiorina. Non è quindi escluso che possa farcela anche contro quel morto di sonno di Ben Carson. Che, a detta di molti, avrebbe già le ore contate.

Ma l’incognita maggiore risiede nel secondo. Jeb è veramente ormai all’encefalogramma piatto? Dai sondaggi sembrerebbe di sì. Ed è proprio questo il problema. I sondaggi. Proprio oggi su Politico Bill Scher nota come l’attuale situazione di Bush somigli particolarmente a quella di John Kerry nel 2003: assediato dai giovani anti-sistema e dagli internettari alla Howard Dean, tutti lo davano come un candidato morto. Poi si votò e le cose andarono ben diversamente. E d’altronde anche George Walker Bush alla general election del 2004 era dato per spacciato (soprattutto in Europa), salvo poi vincere nettamente.

Se in questo 2016 quindi è quasi certo che i candidati radicalmente anti-sistema (alla Carson) non andranno da nessuna parte, bisognerà vedere se una sorte simile non toccherà anche a quelle figure che – pur essendo espressione del ceto politico “professionistico” – con gli anti-politici hanno costantemente inciuciato. E parecchio anche. Bisognerà capire, cioè, se l’elettorato repubblicano – esaurita la propria carica di protesta –  preferirà alla fine rivolgersi all’usato garantito.  O se sceglierà di rischiare, concedendosi al nuovo, come quando l’Asinello prese inopinatamente ( e letteralmente) a calci nel sedere Hillary Clinton nel 2008.

Il modello Obama convincerà il GOP? Rubio e Cruz lo sperano. Bush ovviamente no. E – c’è da giurarci – non mollerà l’osso tanto facilmente.

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