America

USA 2016, il Partito Repubblicano verso una scissione?

3 Agosto 2015

Il Partito Repubblicano scalda i motori in vista dell’ormai imminente confronto televisivo tra i primi dieci candidati in termini di gradimento nei sondaggi. Un partito che – considerata la pletora di competitor rissosi che si ritrova –  sta proprio per questo cercando una forma organizzativa più compatta. Un’organizzazione dunque maggiormente disciplinata, che consenta di selezionare rapidamente (e nel modo meno traumatico possibile) il candidato che dovrà sfidare l’Asinello nella conquista della Casa Bianca.

In tal senso, ben si comprende il recente attivismo dei fratelli Koch, storici finanziatori multimiliardari dell’Elefantino, i quali – grazie al loro network – da anni garantiscono al partito non soltanto cospicue immissioni di danaro (soprattutto a favore di chi riceve la nomination) ma anche la predisposizione di dettagliate strategie elettorali (organizzando eventi e raccogliendo numerosi dati, da utilizzare poi nelle campagne).

Ora, è all’interno di questa complessa struttura reticolare che si inserisce l’evento da loro organizzato a Dana Point (in California) e iniziato sabato scorso: una riunione di opulenti finanziatori, a cui sono stati anche invitati alcuni dei principali candidati alla nomination repubblicana. Una serie di nomi interessanti che evidenzia come i fratelli Koch – che pure non hanno ancora dichiarato alcun endorsement – inizino già ad avere le idee chiare sui loro possibili favoriti. Tra i candidati presenti sono figurati: Jeb Bush, Marco Rubio, Ted Cruz, Scott Walker e Carly Fiorina.

Due i grandi assenti. Il libertarian Rand Paul (che pare sia stato invitato ma abbia declinato, in quanto non amerebbe essere eccessivamente associato al nome dei Koch). E Donald Trump, l’attuale front runner repubblicano che – tuttavia – i Koch detesterebbero  (essendo per di più convinti che una sua eventuale conquista della nomination si tradurrebbe in una sicura debacle in termini di general election).

Il discorso inaugurale dell’evento è stato pronunciato sabato pomeriggio da uno dei due fratelli, Charles, il quale ha paragonato le proprie idee politiche conservatrici a quelle che mossero i patrioti della Rivoluzione Americana. Un conservatorismo fortemente caratterizzato in senso libertarian: una vera e propria “crociata” per la libertà e fermamente contraria allo strapotere invadente del governo federale. Una durissima critica ai democratici che si è subito estesa anche alle problematiche di “foreign policy”: una politica estera, secondo Koch, totalmente imbelle e assolutamente incapace di tutelare la sicurezza nazionale.

Da qui, si sono succeduti sul palco i vari competitor presenti. Innanzitutto, il governatore del Wisconsin, Scott Walker. Dopo aver ringraziato (un po’opportunisticamente) i fratelli per l’organizzazione dell’evento, subito ha attaccato con il suo consueto leitmotiv reaganiano, ricordando una volta di più le sue politiche governatoriali di stampo anti-sindacali e fortemente favorevoli al taglio della spesa pubblica. A questo punto, il giornalista che lo intervistava, Mike Allen, gli ha chiesto conto dei 250 milioni di soldi pubblici utilizzati per la costruzione di uno stadio. Domanda che ha imbarazzato il governatore, il quale – nonostante la sua tronfia retorica anti-tasse – ha replicato – sotto l’attento sguardo del libertarianism dei Koch – che quel provvedimento sarebbe finalizzato al beneficio dell’economia locale.

Poi è stata la volta di Carly Fiorina. Per quanto i sondaggi nazionali la diano attualmente a percentuali irrisorie, il fatto di essere stata invitata dimostra comunque che i ricchi fratelli guardino con attenzione alla sua candidatura. Il discorso che ha pronunciato si è principalmente focalizzato sulla questione dei finanziamenti elettorali: ha difatti accusato la stampa di usare “due pesi e due misure”, con l’intento di fare le pulci esclusivamente ai donatori repubblicani e trascurando invece quelli dell’Asinello.

Domenica è stato poi il turno di Rubio. Il giovane senatore non ha perso tempo e ha attaccato direttamente la front runner democratica, Hillary Clinton, sulla questione dell’emailgate, definendola “una irresponsabile”, per aver usato un account mail non ufficiale. Una scelta, ha proseguito Rubio, che avrebbe reso vulnerabile la sicurezza nazionale e che dunque mostrerebbe l’assoluta inadeguatezza della Clinton a ricoprire incarichi amministrativi di alto livello: figurarsi la presidenza degli Stati Uniti! Ma l’ex first lady non è stato l’unico bersaglio dell’intervento di Rubio, il quale non ha risparmiato stilettate anche alle politiche ambientali di Obama.

E’ stato poi il turno di Ted Cruz, il quale ha attuato una strategia di forte rottura e di un certo coraggio, visto l’evento in cui ha parlato. Contrariamente agli altri candidati (e in barba alle antipatie degli stessi fratelli Koch), Cruz ha pubblicamente difeso Donald Trump, per la sua chiarezza e il suo vigore nel trattare temi come quello dell’immigrazione illegale.

Infine, è stata la volta di Jeb Bush, il quale ha dovuto difendersi dagli attacchi di chi lo considera eccessivamente danaroso, a causa dei cospicui finanziamenti sino ad oggi ottenuti. L’ex governatore della Florida ha sostenuto di non doversi né scusare né vergognare: che la raccolta di fondi fa parte del gioco e che il denaro è uno strumento fondamentale, nella realizzazione di programmi politici coraggiosi e innovativi. Dopo un breve passaggio di critica alla politica ambientale obamiana, ha rivendicato il proprio ruolo governatoriale, soprattutto in contrapposizione a candidati senza esperienza (neppur tanto tacito riferimento a Ted Cruz, giovane senatore dal curriculum amministrativo non propriamente denso).

Bush ha infine ribadito il suo programma di crescita economica al 4%, sostenendo di essere orientato a una politica di tagli fiscali. Ma alla domanda di un suo impegno formale a non aumentare le tasse, ha declinato (forse ricordando la storica marcia indietro del padre proprio sulla questione fiscale, che – secondo molti analisti – gli costò la rielezione nel ’92).

Questo week-end organizzato dai Koch ha quindi mostrato un partito diviso ma sostanzialmente pronto alla disfida elettorale per la nomination. Una disfida che si annuncia particolarmente irrequieta. Sul fronte eminentemente politico, poi, non sembrano esserci state grandi novità, se si fa eccezione  per la posizione espressa da Cruz. Tanto più se si considera alla luce del fatto che – come detto – l’evento era organizzato da quegli stessi Koch che verso Trump non mostrano – almeno politicamente – alcuna simpatia.

Il supporto di Cruz verso Trump come dev’essere allora inteso? L’ennesima provocazione di un candidato irrequieto e rissoso che ha fatto della ribellione il proprio cavallo di battaglia? Oppure il suo tentativo di tenere letteralmente il piede in due scarpe, cercando fin dove possibile di mantenere l’appoggio di personalità particolarmente facoltose? Forse c’è dell’altro. Perché non sono un mistero i contatti che da settimane Trump e Cruz intrattengono. E’ fantapolitica supporre che si stiano organizzando per presentarsi in tandem, nell’ipotesi (tutt’altro che irrealistica) in cui Trump fuoriesca dal GOP  e corra come indipendente?

No, forse non è fantapolitica. Anche perché, sondaggi alla mano, Trump starebbe cannibalizzando tutti i candidati repubblicani ultraconservatori (Cruz compreso). In tal senso, il buon Ted poterebbe aver capito che sfidare il miliardario in parrucca sul suo stesso terreno non porterebbe da nessuna parte, della serie: se non puoi battere il tuo nemico, allora alleati con lui.

Alla luce di una simile ipotesi, il discorso domenicale di Cruz assumerebbe la precisa connotazione di una minaccia: attenzione, signori miei, se Trump non otterrà la nomination correrà da solo e io sarò con lui. Un avvertimento non tanto agli altri rivali di partito, quanto a quei Koch che – con il loro denaro e la loro capacità organizzativa – ambiscono di fatto a pilotare le scelte e gli orientamenti politici dell’Elefantino, posizionandolo lontano da quel radicalismo che – secondo loro – gli impedirebbe di conquistare la Casa Bianca, precludendogli il voto moderato. Una strategia  che né Cruz né Trump sembrano disposti ad accettare.

Il GOP sta cercando un’organizzazione più disciplinata e strutturalmente coesa, dicevamo all’inizio. E’ vero. Ma è altrettanto indubbio che adesso l’ipotesi spettrale di una scissione sembra più viva che mai.

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