America
USA 2016, i grattacapi di Ben Carson
Il candidato repubblicano Ben Carson è nei guai: un vero e proprio terremoto ha scosso i vertici del suo staff, in un momento non poco delicato di questa campagna elettorale. Il suo portavoce, Doug Watts, e un suo responsabile, Barry Bennet, hanno difatti rassegnato le dimissioni, determinando una situazione di turbolenza in seno ad un percorso politico sempre più complicato. E, per quanto i due abbiano sottolineato di nutrire il massimo rispetto per il loro ex datore di lavoro, è evidente che si respiri ormai un’aria piuttosto pesante.
Più nel dettaglio, secondo Politico, nelle ultime settimane si sarebbe consumato uno scontro al vertice nello staff dell’ex neurochirurgo. Un conflitto che avrebbe visto come protagonisti lo stesso Bennet e Armstrong Williams: conduttore radiofonico destrorso e consulente ufficioso di Carson. In sostanza, secondo Bennet, Williams si sarebbe via via ritagliato un ruolo sempre maggiore nella campagna dell’ex neurochirurgo, arrivando a travalicare le proprie (mai ben definite) competenze. In particolare, vi sarebbe stata una lite tra Bennet e Williams alcuni giorni fa: quando quest’ultimo avrebbe sua sponte dichiarato al New York Times che la ragione della cancellazione del viaggio, programmato da Carson in Africa, sarebbe stata dovuta ai timori di attentati da parte di Boko Haram. Una dichiarazione non concordata con i vertici dello staff, che per l’appunto avrebbero mostrato una certa irritazione.
Come che sia, questo terremoto arriva in una fase particolarmente difficile della campagna di Carson. Soprattutto se si guarda all’Iowa, Stato in cui avranno inizio le primarie il 1 febbraio e tendenzialmente portato a votare per candidati conservatori, vicini alla religious right: esattamente il target elettorale dell’ex neurochirurgo, che guarda al bacino della destra evangelica con assoluto interesse. Il problema sono però i sondaggi. Se difatti fino all’inizio di novembre davano Ben in Iowa addirittura come front runner al 29% dei consensi, nel corso dell’ultimo mese è crollato al 9%, scivolando a un poco decoroso quarto posto. Una notizia drammatica: anche perché, se non riuscirà a guadagnare un piazzamento quantomeno discreto nell’Hawkeye State (dove sta impiegando non a caso ingenti risorse), è possibile che la sua corsa elettorale finisca col chiudersi rapidamente.
D’altronde, svariate gaffe, accompagnate a una sonora incompetenza in tema di terrorismo e politica estera, si sono fatte sentire. E l’attuale baraonda in seno al suo staff potrebbe danneggiarlo ulteriormente in termini di immagine: presentandolo ancora una volta come candidato confusionario e privo di effettive doti organizzative. Senza poi contare come, a destra, subisca sempre più la concorrenza non solo di Donald Trump ma soprattutto del senatore texano, Ted Cruz: in costante ascesa e sempre più gradito tra le frange del conservatorismo religioso. E difatti, per quanto negli ultimi tre mesi Ben abbia raccolto fondi per circa 23 milioni di dollari, pare proprio che in queste settimane i suoi storici finanziatori stiano iniziando ad esprimere qualche perplessità: valutando seriamente l’ipotesi di stringere i cordoni della borsa.
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