America
USA 2016, Hillary Clinton torna in Arkansas
Il ritorno della regina. Sabato scorso, la front runner democratica, Hillary Rodham Clinton, si è recata a Little Rock, per presenziare alla “Arkansas Democrats’ Jefferson-Jackson Dinner”. Un ritorno in Arkansas, dunque. Quello stato che la vide propria first lady – con una breve interruzione – dal 1979 al 1992, nel corso del lungo mandato governatoriale del marito Bill.
Il Partito Democratico locale ha accolto Hillary festosamente, in una vera e propria celebrazione, legata a un evento elettorale primariamente finalizzato alla raccolta di fondi: raccolta che – secondo le stime – si aggirerebbe intorno ai cinquecentomila dollari: non male per una cena a buffet.
Il discorso tenuto da Hillary per l’occasione non ha presentato elementi di particolare rilievo o novità. Come di consueto, l’ex segretario di Stato ha ignorato gli avversari democrat (il pericoloso Sanders in primis), appuntando invece i propri strali contro il Partito Repubblicano, definito ancora una volta come “party of the past”. Un partito del passato, caratterizzato da estremismo e inaffidabilità: un’inaffidabilità per lei esemplificata dalla controversa figura del miliardario Donald Trump, dalla Clinton esplicitamente citato e attaccato, soprattutto in relazione all’ “affare McCain”.
Poche ore prima difatti il magnate aveva polemizzato con il senatore dell’Arizona, arrivando a negargli lo status di “eroe di guerra”. Il GOP aveva quindi in maggioranza reagito a favore dell’ex candidato presidenziale del 2008, per quanto ci fossero comunque stati dei distinguo e degli atteggiamenti piuttosto ambigui, soprattutto da parte dei candidati repubblicani più radicali (si pensi a Carson e a Santorum).
Approfittando dunque dell’ennesima spaccatura interna all’Elefantino, la Clinton (con strategico opportunismo), ha difeso McCain dagli strali del miliardario. Un modo, evidentemente, per attaccare quel Trump che Hillary già da qualche giorno definisce “il nuovo front runner del GOP”: un modo, cioè, per attribuire implicitamente ai repubblicani un’etichetta di insolente estremismo, assolutamente lontano da ogni dignità presidenziale. Un populista dunque, di cui però la Signora non disdegnava la compagnia nei primi anni 2000 (e soprattutto i finanziamenti, che le permisero di conquistarsi il seggio senatoriale nel New York).
L’attacco è poi passato all’intera compagine repubblicana, tacciata di essere una moltitudine indistinta di candidati rissosi e incapaci di fornire effettive alternative programmatiche (una critica, che – nonostante l’evidente semplicismo – non risulta tuttavia del tutto infondata).
Come che sia, la presenza a Little Rock di Hillary evidenzia una necessità che – a ben vedere – va al di là della sola raccolta-fondi. Il ritorno nello stato, che l’ha vista first lady per quasi quindici anni, è forse spiegabile nel tentativo di creare un altro feudo elettorale, oltre a quello del New York (dove, per l’appunto, è stata senatrice per otto anni e dove con ogni probabilità ha già la vittoria in tasca).
Il punto interessante è notare allora come la Clinton punti particolarmente su due stati dagli elettorati democratici molto diversi. Se il New York si contraddistingue generalmente non solo per lo storico predominio dell’Asinello ma anche per un partito democratico fortemente orientato a sinistra, l’Arkansas – al contrario – non ha mai mostrato eccessivo apprezzamento per posizioni troppo liberal. Si pensi soltanto che Bill Clinton, da governatore, lo usò come laboratorio politico di quella “Terza Via” che avrebbe poi attuato a livello nazionale da presidente degli Stati Uniti.
Quella “Terza Via”, che si contraddistingue per uno smaccato centrismo, in cui a politiche di stampo sociale fanno comunque da contraltare provvedimenti fortemente liberisti. Quella “Terza Via” che – non a caso – non è mai stata digerita dalla sinistra tradizionale, che l’ha sempre considerata come un indebito cedimento al conservatorismo. Quella “Terza Via”, che la Clinton fece propria in occasione delle primarie del 2008, presentandosi come l’esponente moderato del partito, contro il liberal Barack Obama.
Il tentativo attuato oggi da Hillary nel cercare una sorta di sinergia elettorale tra il New York e l’Arkansas evidenzia allora il paradosso della sua recente svolta a sinistra. Una svolta rispetto alla cui sincerità effettiva ancora oggi politologi e analisti si interrogano. Ma comunque una svolta, finalizzata ad allargare i consensi a sinistra, per proteggersi dagli attacchi della radicale Elizabeth Warren e del socialista Bernie Sanders. Una strategia chiara ma non si sa fino a che punto realmente efficace.
Eh sì, perché bisognerà vedere quanto i democratici dell’Arkansas saranno disposti a seguire la loro vecchia first lady, nella sua nuova cavalcata a sinistra: quegli stessi democratici che sono difatti considerati su posizioni moderate e spesso finitime a quelle degli stessi conservatori. Quei dem moderati che – nonostante l’accoglienza riservata sabato a Hillary – difficilmente apprezzeranno le sue sbandierate svolte radicali.
Un esempio su tutti: a seguito della recente sentenza della Corte Suprema sul same sex marriage, Hillary ha modificato le sue precedenti posizioni (molto più di destra), dicendosi assolutamente favorevole alle nozze omosessuali. Sennonché un sondaggio del 2014 ha rilevato come l’81% degli abitanti dell’Arkansas (ricordiamolo: stato storicamente democrat) si dica fermamente contrario.
Il caso dell’Arkansas mette dunque plasticamente in luce la grande sfida politica ed elettorale che si staglia sul cammino di Hillary. Riuscirà a trovare un vero punto di sintesi tra correnti tanto diverse dell’Asinello? O si limiterà a pallidi voltafaccia, affogando in mezzo al guado?
Forse la Clinton fa affidamento sul fatto che i democratici dell’Arkansas siano storicamente definiti degli “yellow dogs”, cioè elettori che – prima di votare un repubblicano – arriverebbero a votare anche un cane giallo. Ma attenzione agli automatismi. Dalle scorse elezioni (quelle del 2014), l’Arkansas ha un nuovo governatore. Si chiama Asa Hutchinson. Ed è un repubblicano. Mentre venerdì scorso ben mille persone vi hanno accolto con ovazioni un personaggio bizzarro, vagamente benestante e con un bel parrucchino rosso. Accidenti! Com’è che si chiamava? Ah sì: Donald Trump.
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