America
USA 2016, dove va la destra radicale?
Brutte notizie per Donald Trump. Non solo iniziano a circolare voci di finanziamenti elettorali poco chiari nei confronti di un candidato che ha da sempre fatto della trasparenza il proprio cavallo di battaglia. Ma recenti sondaggi mostrerebbero una sua flessione nei consensi in Iowa: flessione di cui starebbe avvantaggiandosi l’ex neurochirurgo ultraconservatore, Ben Carson. Un evidente campanello d’allarme, soprattutto se letto alla luce di due considerazioni.
Innanzitutto, il fatto che stiamo parlando dell’Iowa. Stato, in cui non si tengono primarie ma un caucus: l’assemblea (chiusa) degli attivisti che dunque tende a favorire i candidati più radicali. Un terreno fertile, quindi, per Trump che da settimane risultava ormai saldamente in testa ai sondaggi, dopo aver abilmente scalzato il governatore del Wisconsin, Scott Walker. In secondo luogo, poi, più nello specifico, parrebbe che questo mutamento sia primariamente dovuto alla religious right, che starebbe iniziando ad abbandonare le fila del fulvo magnate per ingrossare quelle dell’ex neurochirurgo.
Sembra che Donald non abbia preso bene la cosa: tanto che qualche giorno fa ha retwittato il commento di un sostenitore inferocito, secondo cui gli elettori dell’Iowa avrebbero dei “problemi al cervello”. Gaffe pesantuccia per uno che è stato elogiato dal New York Times come abilissimo utilizzatore di Twitter: e difatti stavolta non ha proseguito imperterrito per la sua strada ma ha preferito una poco decorosa marcia indietro, negando di essere il responsabile di quel retweet.
D’altronde, che la destra religiosa possa preferire Carson non risulta di per sè una notizia sensazionale. Ben ha sempre fatto della sua fede un punto essenziale della propria immagine politica, senza contare poi le sue posizioni sui temi eticamente sensibili e su altre questioni care all’elettorato radicale (come l’opposizione al gun control). Strano è semmai che gli evangelici possano supportare un candidato come Trump, storicamente collocato su posizioni etiche di stampo liberal (dal matrimonio all’aborto). Un dato, questo, che evidenzia la natura contraddittoria dell’ultraconservatorismo americano, nelle sue variegate sfaccettature. Una contraddittorietà che non riguarda soltanto la religious right ma anche realtà come il Tea Party: movimento formalmente libertarian e anti-statalista che si è improvvisamente trovato a seguire i vessilli protezionistici del magnate newyorkese.
Segno evidente di come la destra radicale statunitense sia più attratta da impostazioni populistiche che da linee programmatiche coerenti: fattore, questo, che la rende difficilmente prevedibile in termini di comportamento elettorale. Un voto di pancia, insomma, che tende a focalizzarsi maggiormente sulle performance dei personaggi, che sulla razionalità (e la fattibilità) delle loro offerte politiche. Non a caso, il New York Times ha recentemente sottolineato lo scoramento del vecchio George H. Bush e dei suoi consulenti sulla situazione interna a un GOP, in cui le correnti ultraconservatrici appaiono acquisire un peso sempre maggiore, nel nome di un radicalismo che non si ferma più ormai soltanto a posizioni fanatiche ma che ha assunto altresì una carica profondamente anti-politica. Un radicalismo che tuttavia sarebbe sbagliato intendere come una sorta di schieramento monolitico ma che – al contrario – si frammenta in una galassia di realtà pronte ad allearsi ma anche a mettersi reciprocamente i bastoni tra le ruote.
In questo senso, l’attuale diatriba tra Trump e Carson mette in luce la situazione paradossale di questo universo bellicoso, confuso e balzano che tenta ancora una volta (come già nel 2008 e nel 2012) di scalare l’Elefantino. D’altronde, le differenze programmatiche tra i due contender non sembrano sostanziali. E difatti il livello dello scontro non è dei più elevati: con Trump che dà a Carson del morto di sonno e Carson che replica facendo il superiore e dicendo di non volersi abbassare a rispondere. Insulti, frecciate, veleni, cui si accompagnano idee generiche, slogan vuoti, programmi inconsistenti. Sostanzialmente incapaci di creare una proposta politica solida, che vada oltre uno sterile sentimento barricadiero. Ed è proprio per questo che bisognerà capire quali saranno le prossime mosse della destra radicale. Tenderà a compattarsi dietro un unico candidato? Oppure si frammenterà, disperdendosi in mille e insignificanti rivoli?
Mai come oggi il GOP necessita di un candidato di sintesi che riesca a coagulare una partito dilaniato. Un candidato che mescoli carisma e organizzazione, abilità comunicativa e forza programmatica. Solo così l’Elefantino potrà mantenere qualche speranza di conquistare la Casa Bianca. Perché tanto i politici quanto gli analisti forse dovrebbero iniziare a capire una cosa: il populismo non è immorale. E’ inefficace.
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