America

USA 2016, Donald Trump correrà da indipendente?

28 Dicembre 2015

Siccome ne sentivamo la mancanza, ecco che il Partito Repubblicano viene scosso proprio in queste ore da una nuova polemica. Protagonista ne è -guarda caso – Donald Trump, il quale ha intrapreso un battibecco con i rappresentanti GOP della Virginia. In sostanza, l’establishment locale del partito ha stabilito che, in occasione delle prossime primarie, i votanti dovranno sottoscrivere un documento in cui dichiarare la propria fede repubblicana. Un provvedimento che cozza con il sistema elettorale dell’Old Dominion State: Stato, in cui si tengono delle primarie aperte. Un provvedimento cui tuttavia il Partito Repubblicano locale non è del tutto nuovo: già ai tempi delle primarie del 2008 fu difatti proposto un loyalty pledge, che suscitò anche allora un nugolo di polemiche e non poche proteste.

Donald Trump non ci sta e va all’attacco. Attraverso alcuni tweet velenosi, il miliardario ha criticato ieri la decisione, definendola controproducente, in quanto tendente ad allontanare dall’elefantino i voti degli indipendenti. Mai come oggi il GOP avrebbe bisogno di allargare la propria base elettorale – argomenta Trump – e la scelta del partito non potrà che rivelarsi un “errore suicida”(tanto più in seno a uno Stato, in cui negli ultimi anni i democratici sono riusciti a prendere sempre più piede).

Al di là delle polemiche estemporanee, è abbastanza evidente come in Virginia la strategia del Partito Repubblicano sia quella di mettere i bastoni tra le ruote al magnate: estromettendo dal voto gli indipendenti, si tenta infatti di escludere un bacino elettorale potenzialmente vicino alle posizioni di Trump, cercando di impedirgli di concretizzare nelle urne il grandioso vantaggio che ad oggi i sondaggi continuano a conferirgli. Una strategia che ciononostante potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio.

In primo luogo, in termini di immagine, rischia di consolidare ulteriormente l’idea di un establishment scorretto e arroccato sulle proprie rendite di posizione, favorendo la retorica di un Trump che ha costruito sul rifiuto del professionismo politico gran parte del suo attuale consenso. In secondo luogo poi, più in profondità, un simile stratagemma (soprattutto qualora fosse replicato in altri Stati) potrebbe fornire al miliardario un ottimo casus belli per rompere con il GOP e presentarsi da indipendente. Un’ipotesi che è costantemente circolata per mesi. E avvalorata dal comportamento di Trump durante il dibattito televisivo di Cleveland, quando si rifiutò di escludere la possibilità di correre in proprio. Un’ipotesi tuttavia da lui successivamente smentita: in occasione del quinto dibattito tra i candidati alla nomination repubblicana ha difatti ufficialmente dichiarato di non essere intenzionato a fare da terzo incomodo. E a settembre ha addirittura siglato una dichiarazione scritta, in cui si è formalmente impegnato a restare nei ranghi dell’elefantino in caso di sconfitta alle primarie.

Sennonché, i fatti della Virginia rischiano di cambiare tutto. Già da qualche settimana il fulvo magnate ha mostrato più volte insofferenza verso l’establishment, accusandolo spesso di remargli contro. A questo poi si aggiunga il carattere incoerente, lunatico e balzano del miliardario, perennemente pronto a rinegoziare qualsiasi cosa. Non è quindi da escludere che – laddove si concretizzassero ulteriori operazioni volte a limitarlo – Trump possa procedere con una scissione. Uno scenario avanzato anche da Ben Schreckinger su Politico qualche giorno fa.

Il rischio è allora che il Partito Repubblicano, per cercare di neutralizzare Trump alle primarie, finisca col ritrovarsi la concorrenza di un terzo partito. Un partito che – qualora nascesse – non avrebbe la minima possibilità di vittoria. Ma che potrebbe comunque risultare letale proprio per il GOP, sottraendogli voti preziosi e azzoppandolo così nel conflitto con Hillary Clinton alla general election (quella stessa Hillary che ha tuttavia un problema simile a sinistra con il socialista Bernie Sanders). E alla fine allora per l’elefantino torna inquietantemente a palesarsi lo spettro di Ross Perot: il miliardario che, sceso in campo da indipendente per le presidenziali del 1992, succhiò ampi consensi a George H. Bush, contribuendo così a decretarne l’inattesa sconfitta.

Trump per il momento sbuffa e prende tempo. Ma la cosa che lascia più perplessi è che numerosi dirigenti repubblicani non abbiano ancora capito come le polemiche indignate e gli sgambetti tattici costituiscano il modo migliore per farlo restare sulla cresta dell’onda.

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