America
USA 2016, Cleveland: il secondo dibattito repubblicano
Cleveland (Ohio). Appena terminato il secondo dibattito elettorale, organizzato da Fox News per i primi dieci candidati repubblicani nel consenso elettorale. Un dibattito indubbiamente più agguerrito, approfondito e polemico rispetto a quello sostanzialmente grigio del pomeriggio. Un dibattito sanguigno, che ha palesato plasticamente le spaccature interne al GOP. Un dibattito che non ha risparmiato momenti di tensione, scontro e anche qualche risata.
Occhi puntati su Jeb Bush e Donald Trump, i due rivali che – ironia della sorte – erano posizionati fianco a fianco al centro del palcoscenico.
Senza dubbio Trump ha movimentato non poco la serata. Ha iniziato subito, quando – unico tra i dieci – ha esplicitamente rifiutato di impegnarsi a non correre da indipendente in caso di sconfitta alle primarie repubblicane, originando così un simpatico siparietto polemico con il brioso Rand Paul (che carinamente gli ha dato quasi del corruttore). I giornalisti hanno poi tentato più volte di metterlo alle strette, inchiodandolo alle sue contraddizioni (prima tra tutte la sua lunga amicizia con Clinton): ma il magnate è riuscito quasi sempre energicamente a replicare, ribaltando la situazione a proprio favore. E’ apparso deciso, indisciplinato, a tratti collerico ma anche simpatico e dalla battuta pronta. Si è attirato un cospicuo numero di fischi ma anche fragorosi applausi.
Jeb Bush, dal canto suo, è riuscito abbastanza nell’intento di presentarsi come candidato istituzionale e presidenziale. Certamente un po’ a discapito della simpatia e del calore. E’ apparso molto professionale, con qualche incertezza ma nel complesso pronto, quantunque a tratti un po’ bolso e verboso. Ha inoltre mostrato evidente irritazione quando è stato direttamente attaccato da Trump. Ha sfoggiato infine un sorriso un po’ fasullo. Diciamo che, per mantenere la posizione, questa strategia può anche andare. Ma in futuro, per espandersi, assolutamente no.
Insopportabilmente soporifero l’ex neurochirurgo Ben Carson: parlava e si atteggiava come un predicatore mentre pronuncia un sermone. Va bene che deve convincere la religious right ma impari da Cruz: il senatore ultraconservatore evangelico del Texas è apparso difatti molto più spigliato e netto (per quanto magari un tantino troppo retorico).
Piattume poi per Kasich. Si potrebbe dire la stessa cosa per Christie e Huckabee, se non fosse per la loro vena polemica che di tanto in tanto ha svegliato l’uditorio.
Fastidioso Scott Walker. Non solo, come prevedibile, non ha fatto che ripetere la solita tiritera dei suoi “prodigi” da governatore (ad esser sinceri lo ha fatto anche Bush). Ma si è messo a fare anche la parte dell’ “amicone”. E’ venuto in soccorso di Trump, mentre i giornalisti lo placcavano. Quando parlava Carson, poi, si girava verso di lui e con viso fintamente convinto faceva sì con la testa. Va bene: anche lui stasera doveva mantenere la posizione e quindi giocare in difesa. Ma a tutto c’è un limite!
Buona la performance di Rubio. Asciutto e conciso (forse anche troppo), è apparso deciso e innovativo. Ha avuto il coraggio di fare i conti con il suo vecchio mentore Bush, evidenziando a più riprese il fatto di rappresentare il nuovo, di contro al passato. Talvolta un po’ retorico ma tutto sommato nel giusto. Sicuramente tra i vincitori del dibattito (anche perché, rispetto a Walker e a Jeb aveva meno da perdere).
Infine Paul. Come sempre ha dimostrato una buona abilità oratoria. Un’abilità che ricorda molto quella paterna. Un’abilità intrisa di idealismo che tuttavia difficilmente sarà in grado di fargli attirare qualche voto.
Più in generale, il dibattito ha comunque mostrato un deciso spostamento a destra di tutti i candidati presenti: dato, questo, facilmente prevedibile, visto che nella corsa per la nomination si cercano di attrarre generalmente i voti dell’elettorato maggiormente radicale. Questo spiega allora il fatto che tutti i candidati si siano stasera mostrati particolarmente inflessibili sul tema dell’immigrazione clandestina, enfatizzando in modo strenuo la necessità di rafforzare i confini e regolare i flussi migratori: non quindi soltanto candidati storicamente duri sulla questione (si pensi solo a Donald Trump) ma anche quelli su posizioni notoriamente più morbide: Jeb Bush, per esempio, pur non rinnegando il suo programma aperturista e finalizzato all’acquisizione di un “legal status”, stasera si è particolarmente soffermato sul tema della sicurezza, così come anche ha fatto Scott Walker.
Altra tematica che ha visto tutti uniti è stata quella religiosa e bioetica. Praticamente tutti hanno asserito di essere profondamente cristiani e anti-abortisti (Donald Trump, interrogato sulla questione, viste sue precedenti dichiarazioni, ha replicato di “rifiutare il concetto di aborto”). Un altro punto di decisa convergenza è stata poi la difesa del Primo Emendamento da ogni possibile invadenza da parte del governo federale. Unica significativa eccezione in materia etica: la decisa apertura di Kasich al same sex marriage.
Maggiori differenze e contrasti sono invece emersi su altre questioni, come la politica estera e la sicurezza nazionale: contrasti che hanno visto come principale protagonista il senatore Rand Paul. Laddove sulla lotta all’Isis si sono detti tutti concordi, differenti pareri sono stati invece espressi sull’accordo con l’Iran: a fronte dei falchi, come Walker e Huckabee, che hanno condannato l’intesa e sostenuto di volerla abolire, Paul ha affermato che talvolta è necessario negoziare, senza assumere posizioni eccessivamente ideologiche.
Più in generale poi, laddove molti hanno invocato una politica estera più aggressiva, maggiori investimenti bellici e una leadership globale di potenza (si pensi soprattutto a Carson e Cruz), sempre Paul ha ribattuto con la necessità di forti tagli alla spesa militare, nonché con l’impellenza di vietare che flussi di denaro statunitense vadano sovente a rimpinguare le casse dei terroristi.
Sulla sicurezza nazionale poi sono state scintille con il governatore del New Jersey, Chris Christie: con quest’ultimo che ha difeso le politiche di controllo interno in funzione anti-terroristica, mentre Paul ha obiettato energicamente che simili strategie neghino inequivocabilmente la libertà individuale e che debbano pertanto essere respinte.
Anche sull’economia si è assistito a uno scontro duro tra i candidati più vicini al compassionate conservatism (come Bush e Christie) e quelli di impronta maggiormente liberista (come Trump e Walker).
Sull’arena di Cleveland si spengono i riflettori. La prima battaglia è conclusa. Ma la guerra, no. Quella è appena cominciata.
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