America

USA 2016, che fine ha fatto Rand Paul?

1 Ottobre 2015

Non se ne può più! Nel trambusto della corsa per la nomination repubblicana ormai si parla solo di Trump, delle sue sparate, dell’antipolitica e dei guai di Bush. Mai che qualcuno si preoccupi della sorte del povero Rand Paul, che sta faticosamente arrancando per cercare di non affogare definitivamente nel dimenticatoio del Partito Repubblicano.

Ok. Qualcuno dirà: “Rand Paul chi?”  O, nella migliore delle ipotesi: “Paul? Il candidato che i sondaggi danno inchiodato al 3%?”  Sì: è quel Rand Paul lì. Che – per carità – non sarà un front runner, non avrà mai avuto la minima chance di vittoria, avrà anche una voce stridula,  ma che comunque una sua dignità alla fin fine la ha pure! Se non altro  rappresenta la storia gloriosa della fazione libertarian!

Quando vinse la Conservative Political Action Conference di febbraio, diversi analisti iniziarono a guardarlo con interesse, considerandolo un serio contendente per la nomination repubblicana del 2016. Candidatosi ufficialmente in aprile, Rand non se la cavò poi tanto male in partenza, anche perché  poteva  contare su un discreto 8% in termini di consenso tanto in Iowa quanto in New Hampshire. Un posizionamento relativamente buono, soprattutto se considerato alla luce del fatto che storicamente i libertarians ortodossi non abbiano mai raccolto adunate oceaniche nelle corse per la nomination.

Certo è che però stavolta qualcosa sembrava essere cambiato: mentre suo padre, Ron, sia nel 2008 che nel 2012 aveva costruito una campagna quasi esclusivamente basata sul fattore idealistico (proponendo cioè nulla di più che una candidatura di bandiera), al principio pareva che Rand volesse restare con i piedi per terra, cercando di smorzare un poco i consueti toni libertarian per tentare di avanzare un messaggio politico maggiormente inclusivo. Un messaggio che avrebbe comunque trovato il proprio principale serbatoio elettorale nei vecchi libertarians incalliti e in frange relativamente cospicue del Tea Party.

Sennonché questo atteso pragmatismo non si è mai palesato. Non soltanto difatti Rand ha sostanzialmente proposto una riedizione della campagna paterna in termini di contenuto, ma a ciò  si sono aggiunti una presenza scenica e una classe oratoria inferiori rispetto a quelle del vecchio Ron: soprattutto nei dibattiti televisivi. Se quest’ultimo difatti (pur a fronte di un programma fondamentalmente velleitario e di un carattere polemico) irradiava comunque un certo fascino intellettuale, il buon Rand – con quella voce gracchiante e quel fare sovrabbondantemente scalmanato – non è che ispiri chissà quale suadente attrazione.

Sia nel confronto di Cleveland che in quello alla Reagan Library difatti si è agitato molto e ha polemizzato con chiunque, evidenziando sistematicamente una decisa predilezione per la gazzarra. In più, ha ribadito di fatto tutto il vecchio armamentario ideologico del libertarianism: un armamentario esemplificato dalla sua contrarietà verso il Patriot Act e da posizioni essenzialmente isolazioniste in politica estera. Tutti elementi che non fanno di lui un candidato propriamente gradito a quote non indifferenti dell’attuale base repubblicana.

Ma questo non basta a spiegare il crollo registrato nei sondaggi, soprattutto nel corso dell’ultimo mese. Vi sono difatti altre ragioni da tenere in considerazione. Innanzitutto la spietata concorrenza di Trump. Una concorrenza che si è manifestata in termini generali e particolari. Generali, perché il Tea Party si è via via mostrato  molto più vicino al populismo protezionista di Donald che al libertarianism di cui storicamente si dichiarava sostenitore: questo ha dunque precluso a Rand l’accesso a un bacino elettorale da cui avrebbe potuto pescare con profitto. In termini particolari, poi, è dall’inizio di agosto che Paul risulta tra i principali bersagli del fulvo magnate, il quale non perde occasione per deriderlo, rimarcando il bassissimo consenso da lui registrato.

In secondo luogo, pare che Rand abbia fastidiosi problemi con la raccolta-fondi. Non soltanto dispone di una macchina elettorale non efficientissima ma non è neppure in grado di coltivarsi le amicizie importanti. Quando quest’estate i fratelli Koch (storici e munifici finanziatori del GOP) lo invitarono a un loro evento elettorale insieme ad altri candidati repubblicani (tra cui Bush, Cruz, Walker e Carly Fiorina), lui fu l’unico a rifiutare. Il perché di questo atteggiamento non è chiarissimo: carattere? Idealismo? Fatto sta, che ha rinunciato a un’ottima occasione per consolidare il proprio network di finanziatori. Senza poi contare come, a seguito del recente crollo nei sondaggi, Rand inizi ad avere problemi anche con i suoi tre SUPER PAC. In particolare, uno di questi, PurplePAC avrebbe smesso di raccogliere fondi. Il suo direttore, Ed Crane (cofondatore del think tank libertario Cato Institute), ha infatti recentemente sostenuto di non essere più intenzionato a lavorare per  una crociata inconcludente.

Inoltre, il povero Rand  sembra mancare di séguito non soltanto tra la base ma anche tra i big dell’Elefantino. Praticamente è ignorato da tutti. Tanto più che nell’attuale lotta politica tra i radicali e l’establishment, Paul non pare essere particolarmente al centro dell’attenzione. E non vogliamo neanche immaginare come dovrà essersi sentito, quando il candidato governatore del Kentucky (stato di cui Rand è senatore), il repubblicano Matt Bevin, ha dichiarato di supportare Carson nella corsa per la nomination!

La situazione non è delle migliori, dunque. Eppure Paul non si arrende. Come riporta oggi Politico sarebbe in procinto di sferrare un contrattacco interessante, per spiazzare i rivali di partito. Punterebbe difatti ad accattivarsi le simpatie dei delegati dei cosiddetti caucus states , ignorando quindi al momento Iowa e New Hampshire (in cui si stanno concentrando i competitor). Una strategia singolare ma che – forse – potrebbe anche rivelarsi efficace, permettendogli – almeno momentaneamente – di allontanarsi dalla mischia sanguinolenta, per accaparrarsi già oggi il sostegno all’interno di stati che saranno interessati dalla competizione elettorale soltanto tra molto tempo.

Basterà questo a rianimare una campagna elettorale anemica? Chissà! Il buon Rand ci prova. Tanto –  male che vada – oltre che alla nomination, si è anche ricandidato al Senato. Così almeno un posto assicurato dovrebbe averlo. D’altronde, che ci volete fare? Bisogna pur sopravvivere!

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