America
Una storia dal Brasile: 25 anni di Projeto Axé
In questi giorni in Brasile, a Salvador de Bahia, si stanno festeggiando i 25 anni di vita di una ONG fondata da un italiano, Cesare de Florio la Rocca. L’ONG si chiama Projeto Axé e si impegna dal 1990 nel tentatvio di donare un’educazione ai figli e alle figlie delle classi popolari della capitale della Bahia. Di seguito un breve racconto di Projeto Axé e della sua idea di pedagogia.
Partiamo dall’inizio, quando questo sogno chiamato Projeto Axé era ancora un’idea difficile da tradurre in realtà: la fine degli anni ’80. Quest’epoca rappresenta per il Brasile la ripresa della democrazia e il sostanziale mutamento del suo panorama politico-giuridico. La costituzione brasiliana è stata approvata nel 1988. L’anno successivo ci furono le prime elezioni democratiche. Gli storici parlano di “seconda democratizzazione” poiché il paese aveva già avuto una prima esperienza democratica durata dal 1945 al 1964. Dopo questo primo periodo ritornò una dittatura militare sino al 1984, anno in cui il governo militare fu costretto a concedere elezioni democratiche reclamate dal popolo. Famose sono le manifestazioni di Rio e di San Paolo del 1984.
Queste manifestazioni definiscono bene la grande euforia civica e politica che caratterizzava il paese in quegli anni. Una delle tante conseguenze di quell’euforia fu la stesura nel 1990 dello Estatuto da Criança e do Adolescente (statuto del bambino e dell’adolescente). Si tratta di un testo normativo per la tutela dei minori. Il bambino venne per la prima volta riconosciuto come soggetto di diritto. Con questo documento sorsero le basi giuridiche in base alle quali fu possibile iniziare a combattere la situazione (che esiste ancora ad oggi) di esclusione sociale in cui vivevano migliaia di bambini brasiliani.
Questo è il contesto storico in cui Cesare de Florio La Rocca capisce che sono nate le condizioni politiche per realizzare un sogno che covava da anni: costruire una scuola per i figli e le figlie delle classi più popolari del Brasile; realizzare un istituto in grado di donare la miglior educazione agli ultimi. Cesare prepara così la sua uscita dalle Nazioni Unite ed inizia a pensare con Paulo Freire, amico e maestro, a quello che sarebbe diventato il Projeto Axé. Il problema principale che Cesare voleva combattere, poiché aveva appreso da Freire che educare significava anche lottare, era quello dei meninos de rua: bambini e ragazzi che, per i motivi più diversi, vivevano abbandonati per le strade della città. Negli anni ’90 i bambini a Salvador in età scolastica fuori dalla scuola erano circa 100.000.
Cesare trovò in breve i giusti appoggi politico-istituzionali e i primi finanziamenti. Contrariamente alle sue idee, cioè realizzare la scuola in una delle due megalopoli del sud del Brasile (Rio o San Paolo), Salvador fu scelta come sede del progetto.
Salvador è la città della diaspora nera. Essendo stata la prima capitale del Brasile fu anche il punto di approdo di migliaia di schiavi portati dalle colonie africane dai portoghesi. Il trattamento disumano che i portoghesi hanno inflitto agli schiavi africani ha avuto tuttavia un piccolo lato positivo. Infatti, essendo considerati “esseri senz’anima” e per questo nemmeno degni di essere convertiti al cattolicesimo, gli schiavi sono riusciti nell’impresa di tramandare la loro cultura. Questo soprattutto tramite l’arte e la danza. La capoeira è uno degli elementi più famosi di questo lavoro di trasmissione; importanti sono anche aspetti legati alla religione, come il culto degli orisha (meno fortuna ebbero, per esempio, le tribù indigene le quali furono brutalmente distrutte in nome di Dio). Alla fine del 1800 la Principessa Isabela abolì la schiavitù e tutti gli ormai ex-schiavi rimasero a Salvador rendendo la città un affascinante mescolanza di Europa, America e Africa. Oggi Salvador è, tra le città non africane, una di quelle con la presenza più alta di africani. L’80% della sua popolazione è nera (nell’intero Brasile l’80% della popolazione è bianca o parda).
A questo punto il sogno di Cesare aveva trovato sia gli appoggi che la città, ma non aveva ancora un nome.
La scelta del nome fu ispirata da un caposaldo della pratica educativa che Cesare, sotto ispirazione di Paulo Freire e della sua Educacão libertadora, aveva ben in mente: riattivare il rapporto politico tra il bambino e la sua cultura di origine. Questo principio imponeva di legare l’azione educativa alla realtà del bambino. Solo permettendogli di riconoscere la realtà della sua condizione sarebbe stato possibile iniziare a farlo riflettere su se stesso. Uno dei punti decisivi nella riflessione pedagogica di Freire, infatti, consiste nel riconoscimento della realtà dell’educando come base per la relazione pedagogica: l’educando deve trovare da subito una collocazione nel mondo: “Nessuno educa nessuno. Nessuno si educa da solo. Ci educhiamo gli uni con gli altri mediati dal mondo” ripeteva spesso il maestro pernambucano.
Cesare aveva chiaro questo punto: il primo passo per riconoscere la realtà dell’educando era quello di posizionarlo entro una cultura. Essendo a Salvador, la cultura di riferimento non poteva che essere quella afro-brasiliana.
Ed ecco da dove viene il nome Axé. Queste tre lettere indicano, nella lingua africana dello jorubà, il principio vitale dell’esistenza; l’energia che permette a tutte le cose di essere quel che sono. Questo principio ha un ruolo molto importante nelle religioni africane tramandate dagli schiavi. Soprattutto nella religione del candomblé. Nel corso degli anni (e sopratutto in Bahia) la parola Axé ha assunto il significato di espressioni che nella nostra lingua potremmo rendere con: “energia positiva” o “forza vitale”. Se parlando con qualcuno in Bahia vi viene detto “muito Axè pra você” (ti auguro tanto axé) vi stanno augurando di avere la forza necessaria per realizzare tutto quello che avete in desiderio.
Ecco allora spiegata la scelta del nome: Cesare intendeva da un alto omaggiare la cultura e la religiosità afro-brasiliana, cioè la cultura di riferimento della maggior parte dei ragazzi e della ragazze a cui Axé si rivolgeva: i figli/discendenti degli schiavi africani; dall’altro lato voleva gridare con forza che l’infanzia, i bambini, sono l’Axé di ogni nazione. Potremmo anzi dire sono l’Axé dell’intera umanità. L’infanzia è l’energia più preziosa di una nazione.
Non trovo parole migliori di quelle di George Amado per descrivere la realtà di questi bambini figli degli schiavi: “Fu in quest’ epoca che si iniziò a parlare di Capitaes da Areia (capitani della spiaggia), bambini abbandonati che vivevano di furto. Mai nessuno seppe il numero esatto dei bambini che vivevano così. Erano ben un centinaio e di questi più di quaranta dormivano nelle rovine del vecchio magazzino del porto. Vestiti di stracci, sudici, semi affamati, aggressivi, parlando a parolacce e fumando mozziconi di sigarette, erano, in verità quelli che la conoscevano interamente, quelli che la amavano, i suoi poeti, i Capitaes da Areia, nome con cui è conosciuto un gruppo di bambini che esaltano e rubano, che infestano le nostre città. Questi bambini che tanto presto si dedicarono all’infame carriera del crimine non hanno abitazione sicura, o per lo meno la loro abitazione non è stata individuata. Sono chiamati Capitaes da Areia perché la banchina è il loro quartiere generale” . Il romanzo di Amado è stato scritto nel 1937 ma la situazione oggi è la medesima. Gli ultimi censimenti parlano di 7.ooo.ooo di bambini che vivono abbandonati per le strade del Brasile.
I primi educatori che Cesare formò e mandò per le strade di Salvador avevano a che fare con questi bambini, con i Capitani della Spiaggia. Compito di questi educatori, detti educador de rua (educatori di strada), era quello di iniziare il “corteggiamento pedagogico” con i bambini. L’obbiettivo era quello di convincerli a tornare a casa e riprendere la scuola. Solo così avrebbero potuto iniziare a frequentare anche i corsi del Projeto Axé.
A questo punto iniziava il difficile: ma come poteva un educatore convincere un bambino che viveva in strada ed aveva deciso di abbandonare scuole e famiglia a tornare sui suoi passi? Come poteva il bambino rinunciare alla sua illimitata libertà e sottomettersi a regole e disciplina?
Cesare era sicuro di una cosa: la buona volontà e l’amore non sarrebero state sufficienti per quest’opera di convincimento. Anzi, il contrario: la relazione pedagogica con i bambini, la quale cominciava in strada, si sarebbe dovuta fondare su conoscenze e competenze precise da cui l’educatore non poteva prescindere. Quali conoscenze serebbero state necessarie all’educatore?
Il primo punto della riflessione di Cesare (quindi della teoria pedagogica sviluppata poi negli anni da Axé) consistette nel chiedersi che tipo di soggetto fosse il bambino di strada e come egli conoscesse il mondo. Per rispondere a questa domanda è servito l’aiuto di Piaget e la sua riflessione sull’apprendimento nelle fasi dell’infanzia. Secondo Piaget attraverso le sue esperienze il bambino elabora schemi per agire nelle diverse situazioni di vita. Quali esperienze fanno i bambini di strada? Detto in altro modo: qual è la loro realtà? Risposta: Sono bambini a cui è stata strappata l’infanzia. Essi non hanno mai potuto vivere quel momento della vita in cui si gioca, si ride e si scherza: sono bambini che non hanno mai vissuto l’esperienza di essere trattati come bambini. Soprattutto non hanno potuto fare la cosa più bella e meravigliosa che tutti noi da bambini abbiamo fatto: sognare e desiderare. Si capisce bene questo quando si ha a che fare con i meninos de rua: sono ragazzi di 10-14 anni che non hanno nulla di infantile. Parlano di sesso e droga come chi conosce quelle realtà da molti anni; impugnano e fumano sigarette come adulti; sono spesso violenti, cinici e arroganti.
Allora era sul versante delle esperienze che si doveva intervenire. Era necessario far vivere al bambino esperienze diverse da quelle che era abituato a sperimentare nel quotidiano. Qui entrò in gioco il ruolo della psicoanalisi, l’altra importante componente teorica della pedagogia del Projeto Axé. Il sapere psicoanalitico aiutò a comprendere il fatto che educando e educatore sono due soggetti desideranti. Chi desidera, insegna Lacan, è in una perenne situazione di mancanza. Colui che desidera manca dell’oggetto del desiderio. Infatti, una volta raggiunto, l’oggetto del desiderio non può più essere desiderato.
Che cosa manca al ragazzo di strada e cosa manca all’educatore che cerca di “corteggiarlo”? Al ragazzo di strada, come già detto, manca la possibilità di desiderare, di sognare, di essere un bambino. All’educatore, invece, manca il desiderio dell’educando. L’educatore vuole che il bambino desideri e sogni come ogni altro bambino.
Perciò, insegnò Cesare ai primi educatori, era proprio in virtù del loro desiderio che l’educatore doveva entrare in relazione con il bambino per rompere il suo legame con la strada. Questo significava impegnarsi ad instaurare con il bambino un rapporto di linguaggio. Un rapporto che gli avrebbe permesso di raccontarsi, di denunciare, di aprirsi rispetto alle sue sofferenze e paure. Il bambino, attraverso l’atto simbolico della parola, poteva iniziare ad esprimere un desiderio.
Il momento in cui desiderio dell’educatore e quello del bambino si incontrano fu concepito da Cesare come il primo passo della relazione pedagogica; l’inizio del “corteggiamento pedagogico”. L’educatore di strada doveva essere consapevole che egli sarebbe stato solo un mezzo attraverso cui i bambini potevano esprimere i loro desideri. Egli era il primo essere umano che ascoltava i bambini in quanto bambini e non in quanto utilizzatori di droga, ladri o oggetti sessuale. Tuttavia, in questa prima fase i desideri del bambino erano ancora confusi e più che effettivi desideri il bambino stava riscoprendo la felicità di desiderare.
Quale poteva essere la via per permettere ai bambini di rincorrere i loro desideri? Di passare dalla felicità di desiderare all’effettivo concepimento di un desiderio?
Oggi Axè risponde in modo secco a questa domanda: solo l’arte ha questo potere. Non è possibile educare senza l’arte. Infatti tutti i corsi che Axé offre ai bambini che decidono di abbandonare la strada e ritornare a casa e a scuola sono corsi di arte: capoeira, danza, musica, canto, arti plastiche, moda. L’arte, in virtù di quello che dicevamo sopra, viaggia parallela all’approfondimento della cultura afro-brasiliana.
In Axé il potere dell’arte è stato sperimentato con il passare di questi 25 anni di attività. Nei primi anni si credeva che l’arte fosse uno strumento per educare. Oggi c’è la certezza che l’arte è essa stessa educazione. Si è capito che il processo educativo senza l’arte è totalmente sterile poiché esclude la dimensione del “piacere”. Una scuola che non genera nell’alunno una dinamica di piacere e godimento è una scuola che non produce conoscenza, ma solo un vuoto nozionismo. Solo quando il sapere viene vissuto come bello è anche in grado di rendere libero colui che lo assorbe. Per questo il grande fisico Paul Dirac amava dire che anche nella matematica è necessario trovare la bellezza e che un’equazione può essere bella tanto quanto un quadro o una sinfonia.
I linguaggi artistici sono generatori di conoscenza, di educazione e di un innegabile piacere spirituale e fisiologico. È banale dire che l’obiettivo di Axé non è quello di formare migliaia di artisti ma quello di costruire dei cittadini sensibili e consapevoli della loro missione nella costruzione di un mondo più giusto e accettabile. L’arteducazione, come la chiamano in Axé, permette tutto questo.
Per spiegare meglio il potere dell’arte non esiste miglior modo che raccontare due aneddoti. Due tra quei tanti momenti che hanno fatto scoprire a Cesare e ad Axè la forza magica e misteriosa dell’arte.
Il primo è l’incontro con Denise, una menina de rua. 12 anni, rossetto sulle labbra, sigaretta tra le mani, un esile top che copre un seno non ancora sviluppato: Denise è una prostituta. Una sera scelse di avvicinarsi ad un educatore di Axé cercando di accalappiare l’ennesimo cliente. Iniziò un dialogo e l’educatore, senza riferire del suo ruolo, chiese a Denise perché scegliesse di vivere in strada e prostituirsi. Denise risponse molto sicura: “Con me non c’è nulla da fare. Io sono tre volte P caro amico. Io sono preta (nera), puta (puttana) e pobre (povera)”: la mancanza di desiderio e di sogno porta i bambini ad una angosciante certezza di “essere spacciati”.
Il secondo aneddoto riguarda la scelta di Cesare di portare 30 bambini ad assistere alla rappresentazione del “Lago dei Cigni” al teatro Castro Alves di Salvador, il ritrovo della borghesia della città. La preoccupazione era data dal fatto che i bambini potessero non apprezzare, disturbando la visione del balletto. Ma come insegna Freire, non si educa senza rischiare. Risultato: i bambini rimasero ipnotizzati dalla manifestazione artistica. Al termine della rappresentazione, come di consueto, si fece una chiacchierata con i bambini per confrontarsi sulle loro sensazioni ed emozioni. Una bambina prese la parola ponendo una domanda: “Perche anche noi non possiamo fare questo. Perche non possiamo danzare, cantare e divertirci in qual modo?”: era la volgia di desiderare e sognare.
Tra la risposta di Denise e la domanda del bambino dopo lo spettacolo stanno questi 25 anni di Axé. Dalla consapevolezza di essere condannati al desiderio di danzare ed esprimersi.
L’esperianza di Axé insegna che il desiderio è la scintilla che permette ai bambini di iniziare a percorrere la strada che li porterà ad essere dei cittadini. Non a caso nel Projeto Axé hanno deciso di chiamamre la loro pratica educativa pedagogia del desiderio.
Attraverso queste idee, lungo questi 25 anni, il Projeto Axé sta scrivendo parte della storia della pedagogia sudamericana. Axé segue circa 1000 bambini ogni anno. Da quando esiste ha tolto da situazioni di strada circa 20.000 ragazzi. L’85% dei ragazzi seguiti da Axé non è più tornato a vivere in strada. La grandezza di Cesare sta nel non considerare questo un buon lavoro. Il suo pensiero va sempre a quel 15% che non riesce a ritrovare la gioia del sogno e del desiderio.
Qualche foto dal Brasile:
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