America

Cancellare Obama non è facile: quanto rischia Trump sulla sanità

24 Marzo 2017

Stati Uniti. Il voto alla Camera sulla riforma sanitaria proposta dal Partito Repubblicano è stato posticipato. Si tratta di un fatto importante, carico di implicazioni politiche. Tanto per la Casa Bianca quanto per le alte sfere dell’elefantino.

Il disegno di legge era stato presentato tre settimane fa dallo Speaker della Camera, Paul Ryan. La proposta voleva inserirsi all’interno dell’ormai classica polemica, portata avanti dai repubblicani contro la riforma sanitaria siglata da Barack Obama nel 2010. Negli ultimi anni, l’opposizione all’Obamacare era diventata uno dei principali fattori coesivi per il partito dell’elefante. Lo stesso Donald Trump, pur presentando in materia sanitaria posizioni spesso ambigue, aveva fatto del suo picconamento un punto centrale del proprio programma elettorale. E i repubblicani tutti, all’indomani della vittoria novembrina, avevano tuonato in coro di voler finalmente smantellare una legge da loro tanto odiata. Eppure, nel giro di pochissimo tempo, sono iniziate a comparire delle crepe. Sempre più profonde. Da una parte, Trump tentennava tra un approccio liberista ed uno più vicino alle istanze dei democratici. Dall’altra, lo stesso partito andava dividendosi sempre più al suo interno, non solo sui contenuti di una nuova legge ma anche sulle questioni procedurali. Il nuovo ministro della Salute, Tom Price, voleva prendere l’iniziativa, mentre i deputati repubblicani al Congresso temevano di finire scavalcati dalla Casa Bianca e costretti a ratificare una norma calata meccanicamente dall’alto. In questo braccio di ferro latente, sono iniziate a circolare bozze di riforma, mentre distinguo e polemiche si sprecavano.

In tutto questo bailamme, è sorta la proposta di Ryan. Un provvedimento che, pur abolendo alcuni punti di Obamacare, non ne implica comunque la totale distruzione. Su determinati elementi la rottura è chiara: il disegno di legge repubblicano toglie infatti di mezzo l’obbligo imposto ai cittadini da Obamacare di munirsi di assicurazione sanitaria. Un altro punto, poi, che sta particolarmente a cuore ai repubblicani è il taglio dei finanziamenti pubblici alla onluns pro-choice Planned Parenthood. Detto questo, gli aspetti di continuità non sono pochi. Alcuni punti vengono lasciati per esempio integralmente intatti: dal divieto per le compagnie assicurative di rifiutare la copertura a pazienti con malattie preesistenti alla possibilità per i ragazzi fino a 26 anni di essere coperti dall’assicurazione dei propri genitori. Il punto più ambiguo riguarda invece l’estensione di Medicaid.

Medicaid è il programma sanitario istituito da Lyndon Johnson nel 1965, rivolto a individui e famiglie con basso reddito. La riforma di Obama aveva sensibilmente abbassato la soglia di accesso, espandendo così la copertura sanitaria a svariati milioni di cittadini americani. Un elemento assai spesso attaccato dai deputati repubblicani al Congresso, in quanto considerato troppo dispendioso sul fronte della spesa pubblica. In tal senso, la proposta Ryan prevede il blocco dell’espansione di Medicaid ma a partire dal 2020. Il fatto è stato giudicato da molti un tentennamento. Ed è proprio su queste basi che è rapidamente sorta un’opposizione accanita al provvedimento.

Se l’astio dei democratici è sempre stato fuori discussione, la dialettica più accesa si è invece consumata in senso al Partito dell’Elefante. Da una parte, i repubblicani centristi hanno sin da subito cominciato a storcere il naso, temendo che la riforma avanzata finisse col lasciare senza copertura sanitaria milioni di persone: un fattore paventato soprattutto dai governatori repubblicani che – in questi anni – hanno beneficiato dell’estensione di Medicaid nei territori da loro amministrati. Dall’altra parte, si è ricompattato invece l’universo del Tea Party: un variegato mondo di sigle libertarie, che vedono nella proposta di Ryan una nuova forma di inaccettabile statalismo. Non a caso hanno sarcasticamente chiamato il disegno di legge “Obamacare 2.0”. L’opposizione è stata determinata, radicale, forte ed efficace, articolandosi su più fronti. Innanzitutto, ha coinvolto potenti settori del big business: i fratelli Koch, per esempio, storici finanziatori del Partito Repubblicano, si sono subito attivati per bloccare il provvedimento. Al Senato, invece, dove la maggioranza repubblicana è risicatissima, un pugno di deputati – tra cui Rand Paul e Ted Cruz – ha organizzato una vera e propria fronda per affossare la legge. Ma la guerriglia più accesa si è consumata alla Camera, dove i deputati repubblicani del Freedom Caucus (vicino al Tea Party) hanno escluso ogni compromesso fino a boicottare una proposta da loro giudicata irricevibile, perché troppo blanda e annacquata.

E Trump in tutto questo che fine ha fatto? Inizialmente, il neo presidente si è messo un po’ in disparte. Nel mezzo delle sue polemiche con l’intelligence e la magistratura, probabilmente il magnate non aveva tutta questa voglia di aprire un nuovo fronte. Anche per questo, nei primi giorni ha di fatto lasciato Ryan da solo, sotto il fuoco incrociato degli avversari. Ma poi è dovuto intervenire. Pur non essendo lo sponsor principale del disegno di legge, il magnate ha ben presto compreso la necessità di mediare in seno a un partito in piena guerra civile. Schieratosi dalla parte di Ryan, Trump ha quindi iniziato a negoziare sia con i moderati che con i radicali, cercando di arrivare a un accordo che – tuttavia – fino ad oggi non è stato raggiunto. Nelle scorse ore, un tentativo di mediazione in extremis del neo presidente con il Freedom Caucus si è concluso con un nulla di fatto. Il voto alla Camera era previsto per giovedì sera. Ma visto che i numeri di fatto non c’erano, la votazione è stata fatta slittare, in attesa di arrivare a un’intesa attualmente più lontana che mai.

La posticipazione è ovviamente un segno di debolezza. Il Partito Repubblicano si sta giocando molto sulla riforma sanitaria. E – qualora fallisse la sostituzione di Obamacare – si tratterebbe di uno smacco veramente indelebile. Oltre che una specie di tracollo politico. Eh sì: perché qui le carriere in ballo sono diverse. Chi rischia più, al momento, non è Trump ma Ryan. Come detto, lo Speaker della Camera è stato il principale sponsor del disegno di legge. E – con questa proposta – sono riemerse vecchie faide interne al Partito Repubblicano. Faide che Ryan conosce bene. Non dimentichiamo infatti che, nell’autunno del 2015, divenne Speaker a seguito delle dimissioni di John Boehner: repubblicano centrista, “caduto” sotto gli attacchi del Tea Party. In quel frangente piuttosto drammatico, Ryan emerse come il mediatore che sarebbe stato in grado di federare un partito dilaniato al suo interno tra correnti rivali. Ma oggi, lo spettro di Boehner torna ad aleggiare sul capo di Ryan: e l’attuale Speaker adesso dovrà fare di tutto per arrivare a un compromesso accettabile. Perché un eventuale (e non certo improbabile) affossamento della sua proposta sanitaria potrebbe mettere seriamente in crisi la sua carriere politica e – forse – il suo stesso incarico.

Anche Trump non può però dormire sonni troppo tranquilli. E’ vero: per lui i fronti più caldi sono altri, dal Russiagate alla conferma senatoriale del giudice Neil Gorsuch alla Corte Suprema. Ciononostante è altrettanto indubbio che anche il neo presidente si stia giocando molto. Non soltanto perché comunque ha ormai appoggiato apertamente la proposta Ryan. Ma anche perché, come accennato, l’opposizione all’Obamacare ha sempre rappresentato uno dei suoi cavalli di battaglia. A tutto questo si aggiunga poi un ulteriore dato politico. Storicamente, il Partito Repubblicano è una compagine divisa al suo interno tra correnti avversarie e altamente ideologizzate. Proprio per questo, di solito, i presidenti repubblicani devono ritagliarsi il ruolo di mediatori all’interno del proprio partito: nel corso dei suoi otto anni di presidenza George W. Bush, per esempio, dovette barcamenarsi molto spesso tra le varie correnti repubblicane, cercando di porre armonia in seno a un partito fondamentalmente litigioso. Oggi, anche Trump è chiamato a fare altrettanto. E, in questo senso, la riforma sanitaria si configura come un banco di prova cruciale. Perché Trump sa benissimo che avere alle spalle un partito dilaniato potrebbe azzopparlo seriamente. Un’eventualità che il neo presidente sa perfettamente di non potersi permettere.

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