America

Trump nomina Patel all’Fbi: pericolo per i media?

La nomina di Kash Patel a direttore dell’FBI ha suscitato scalpore simile a quello di Matt Gaetz a Ministro della Giustizia. Gaetz si è dimesso temendo di non essere confermato dal Senato. Stessa strada per Patel?

3 Dicembre 2024

Scoveremo i cospiratori non solo nel governo ma anche nei media. Perseguiteremo quelli nei media che hanno mentito ai cittadini americani e hanno assistito Joe Biden a truccare l’elezione presidenziale”. Queste le parole di Kash Patel in un’intervista con Steve Bannon nel suo podcast War Room. Le parole di Patel dovrebbero preoccupare non solo i media ma tutti gli americani poiché Donald Trump lo ha nominato a nuovo direttore dell’Fbi.

Patel, figlio di immigrati indiani, aveva lavorato nella prima amministrazione Trump sulla sicurezza nazionale ma quando l’allora presidente cercò di candidarlo a vice della Cia o Fbi la nomina fu bloccata da membri dell’establishment dell’intelligence. Questa volta potrebbe andargli meglio. L’attuale direttore dell’Fbi, Christopher Wray, nominato da Trump nel 2017 e confermato da Biden, avrebbe un mandato fino al 2027 e ha dato segnali di non voler dimettersi. Trump però ha già indicato che se Wray insiste a non lasciare volontariamente, lo licenzierà.

Christopher Wray, attuale direttore dell’Fbi, fu nominato da Trump nel 2017 per sostituire James Comey, ma ritenuto da Joe Biden nel 2021. Il mandato di Wray scade nel 2027 e non intende dimettersi. Trump ha però detto che se Wray non lascia volontariamente lo licenzierà per farlo sostituire da Patel.

Patel dovrebbe essere confermato dal Senato e non si sa al momento se ce la farebbe considerando la sua limitata esperienza e i suoi toni battaglieri. Patel ha anche dichiarato che da direttore dell’Fbi caccerebbe tutti i 7000 agenti da Washington e li manderebbe fuori ad arrestare i criminali che imperversano negli Usa. Patel non capisce che molto del lavoro fatto dai dipendenti all’ufficio dell’Fbi a Washington consiste di supporto amministrativo, informatico e scientifico agli agenti che a volte arrestano criminali.

Comunque andrà a finire la minaccia di Patel ai media è reale dalla nuova amministrazione Trump. Da candidato presidenziale Trump aveva denunciato il New York Times e Cbs per una somma di 10 miliardi di dollari. Adesso da presidente Trump avrebbe anche le leve del governo per “punire” i nemici e i media sarebbero uno dei bersagli in prima fila. Una delle agenzie che il 47esimo presidente potrebbe usare è la Federal Communications Commission che regola la comunicazione dei media. L’agenzia include cinque membri nominati da presidenti ma solo 3 di loro possono essere di un partito. Il direttore è scelto dal presidente.

Come ha indicato in campagna elettorale e anche dalle recenti nomine del suo Gabinetto Trump intende circondarsi da individui la cui prima qualità consiste di fedeltà al capo. Patel è uno dei casi più eclatanti. Un altro caso era quello di Matt Gaetz che Trump aveva nominato per ministro della Giustizia. Dopo otto giorni Gaetz ha rifiutato la nomina avendo capito che il Senato non lo avrebbe confermato.

I media sono preoccupati dalla nuova amministrazione Trump come ci conferma un comunicato del Committee to Protect Journalists (CPJ). All’indomani dell’elezione presidenziale del 2024 il CPJ ha rilasciato un comunicato mettendo in risalto il clima ostile per la libertà di stampa in una seconda amministrazione Trump. Il comunicato cita fra l’altro “la persecuzione e l’incarceramento.. e persino l’uccisione di giornalisti in tutte le parti del mondo…..” asserendo che non “dovrebbero divenire comuni anche negli Usa dove le minacce di violenza online sono divenute frequenti in tempi recenti”.

Il padrone di X (già Twitter) Elon Musk, l’uomo più ricco al mondo, ha contribuito notevolmente alla rielezione di Trump spendendo milioni di dollari ma anche pubblicizzando il candidato repubblicano con centinaia di post nella sua piattaforma. Farà la stessa cosa in qualche altro Paese?

Nelle sue tre campagne presidenziali Trump ha attaccato i media innumerevoli volte etichettandoli persino “nemici del popolo”, linguaggio tipico di un regime autoritario e non democratico. In uno dei suoi tanti comizi ha persino incitato i suoi sostenitori a malmenare i giornalisti presenti, aggiungendo che in caso di problemi legali gli pagherebbe le spese.

Il clima di ostilità verso i giornalisti è stato accolto da alcuni addetti con una certa conciliazione e tentativi di rapprochement. Vanno ricordati nella recente campagna elettorale gli endorsement a Kamala Harris dei consigli editoriali del Washington Post e Los Angeles Times, che all’ultimo minuto furono bloccati dai proprietari Jeff Bezos e Patrick Soon-Shiong. Inoltre, Joe Scarborough e Mika Brzezinski, conduttori di un notissimo programma alla Msnbc che per anni hanno criticato Trump, si sono recentemente recati a Mar-a-Lago, il resort del neo eletto presidente, per “riaprire” il dialogo di comunicazione.

Oltre alla nuova amministrazione Trump il pericolo ai media viene dalle piattaforme social. Spicca fra queste X (già Twitter), il cui padrone Elon Musk ha speso milioni di soldi e pubblicato migliaia di post per contribuire a fare eleggere Trump. L’uomo più ricco al mondo che ha promosso l’elezione del presidente del Paese più ricco e potente al mondo farà lo stesso in altri Paesi per contribuire a fare eleggere altri individui con aspirazioni autoritarie?

La sopravvivenza della democrazia richiede una robusta professione mediatica. Ce lo ha detto Joseph Pulitzer, noto giornalista, il cui prestigioso premio riconosce i migliori giornalisti annualmente, quando nel 1904 asserì cheDemocrazia e giornalismo libero moriranno o progrediranno insieme”. Al momento in America nessuno dei due sembra brillare. Solo il 31 percento degli americani ha fiducia nei media, cifra preoccupante. Si salvano però i media locali. Se da una parte sono anche loro in forte calo i loro utenti hanno fiducia nelle informazioni che ricevono.

 

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