America

Trump: l’epopea pop dell’antipolitica

26 Febbraio 2016

Dibattito spietato, quello tra i candidati repubblicani stanotte in Texas. Alla vigilia del Super Martedì, i contender si sono difatti azzannati violentemente, cercando di emergere in un convulso turbine di zuffe, frecciate, insulti e sviolinate per accattivarsi le simpatie del voto ispanico.

Ted Cruz e Marco Rubio hanno stretto una santa alleanza contro il miliardario Donald Trump, cercando di azzopparne un’ascesa che appare ormai sempre più inarrestabile. I due giovani senatori hanno fatto di tutto per metterlo in difficoltà e demolirlo. Durante un scontro durissimo sull’immigrazione, Rubio ha cercato di attaccare il magnate, rinfacciandogli fallimenti e incoerenze: in particolare, lo ha accusato di aver in passato assunto immigrati polacchi clandestini. Cruz, dal canto suo, è tornato all’attacco sulle questioni etiche e religiose, tacciando Trump di essere un abortista, fautore della onluns pro-choice Planned Parenthood. Entrambi hanno poi messo in discussione il conservatorismo del creso newyorchese, tacciandolo di essere un liberal travestito, oltre che uno storico finanziatore di eminenti politici democratici (da Nancy Pelosi a Hillary Clinton). Poi critiche sulla sanità, con il senatore texano che lo ha accusato di appoggiare una “medicina socialista”. Mentre in politica estera, sempre Cruz ha tacciato il miliardario di non essere sufficientemente filo-israeliano. Sulla stessa linea Rubio, che ci è andato giù duro contro i palestinesi, rivendicando la necessità di una politica americana forte in Medio Oriente e bersagliando le tendenze isolazionistiche del fulvo magnate.

Una pioggia di critiche coordinate, cui il businessman ha replicato energicamente, reagendo come un leone. Solo contro tutti, ha risposto punto su punto: “sono l’unico che ha creato lavoro su questo palcoscenico”, “io vinco con tutte le quote elettorali: gli ispanici mi amano”, “non lascerò morire la gente per strada”, ” sono un ottimo negoziatore”, “nessuno su questo palco ha fatto più di me per Israele”. Stoccate maligne poi ai rivali. A Rubio, cui ha rinfacciato l’immagine di candidato di cartapesta. A Cruz: cui ha dato dell’ipocrita, del perdente e addirittura dello spietato, per le sue posizioni sulla sanità. E – al netto delle consuete inconsistenze programmatiche – il magnate ha ciononostante mantenuto un’immagine, sì, scorretta e isterica, ma anche gagliarda e battagliera: alla John Wayne.

Perché alla fine questo è il fenomeno di Trump: un personaggio politicamente impalpabile ma comunicativamente straordinario. Il vero storyteller di questa campagna elettorale, che sta riuscendo ad incarnare una narrazione efficace, poco importa se veritiera o teatrale. E questa sera lo ha dimostrato per l’ennesima volta. L’eroe mitologico che ribalta spavaldamente le avversità soverchianti. Perché i suoi avversari, dopo mesi, non hanno ancora capito che le sante alleanze non fanno che rafforzare un personaggio che ha fatto del titanismo (megalomane e celodurista) il proprio grandioso cavallo di battaglia. Perché alla fine l’elettore non cerca la razionalità ma l’epopea. E, per quanto vacua e potenzialmente dannosa, Trump si è rivelato capace di dargliela.

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