America
Trump, Brexit, Le Pen non vincono a sorpresa
L’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America è la dimostrazione plastica che il Novecento è finito veramente e che questo sconvolgimento attraversa tutto l’occidente democratico.
Se il XX secolo politico è finito 25 anni fa con il crollo delle grandi ideologie, ormai la sua onda lunga si è esaurita anche nella società: i bacini di voto tradizionali che si sono infranti al tempo ora semplicemente non esistono più. Siamo oltre la società liquida, purtroppo molte analisi politiche si basano invece su strumenti superati, secondo me decotti.
Si potrebbe quasi dire, come spesso è accaduto in politica, che l’Italia sia stata una percorritrice in tal senso, avendo sperimentato sin dal 1994 il modello sociale che si sta ormai espandendo. A titolo di esempio, come si nota bene dai dati, i Repubblicani vincono tra le classi sociali più colpite dall’insieme di crisi e globalizzazione, come le classi (ex) operaie, quei (ex) blue-collars che la tradizione e la narrazione politica vorrebbero descrivere come rappresentanti dei bacini elettorali più di “sinistra” o comunque più propensi a votare democratico. Ma costoro sono coloro i quali più stanno sentendo l’allargamento delle diseguaglianze sociali, per i quali la ripresa non soffia in basso, ma in alto e che rimangono a guardare con frustrazione la loro vita che non migliora. La stessa cosa è successa molto spesso anche in Italia, col voto premiante a formazioni e movimenti che si proponevano o propongono come alternativa forte a uno status quo tendente al ribasso. E questo Trump lo ha capito benissimo.
L’unica alternativa possibile a questo scenario, e l’unica che ritengo possa esercitare abbastanza appeal per contrastare le falcate populiste in questo momento storico, politico ed economico, è riuscire a convogliare la frustrazione e le paure in speranza, magari – questo sarebbe l’optimus – seguita da fatti e politiche virtuose. E questo Obama lo aveva capito benissimo.
Ed è per questo invece che ritenere gli elettorati come grandi agglomerati non senzienti falsa terribilmente le analisi, stupendosi poi che la realtà sia invece dettata dagli individualismi personali. Pensare che le donne votino una donna solo perché dello stesso sesso oppure che i nuovi cittadini siano sempre propensi a votare per le forze tradizionalmente progressiste significa perdersi in clichés stereotipati e non ritenere le persone capaci di discernere attraverso i propri desiderata, anche di realizzazione e/o rivalsa sociale ed economica. Inoltre, se a contrapporsi al magnate per la corsa alla Casa Bianca vi è l’emblema di quello che, a torto o a ragione, viene percepito come l’establishment, in questo caso Hillary Clinton, allora la frittata è fatta.
La società ha ormai l’orticaria verso ciò che odora anche solo in lontananza di establishment, di quel mondo politico e finanziario che sente come la causa della frustrazione dei sogni e delle speranze di molti. Personalmente sono infatti dell’idea che per arrivare a fare in modo che un populista demagogo non vinca non si debba continuare a sbeffeggiare lui e il suo elettorato, anche e soprattutto perché se si sbeffeggia un elettore lo stesso ci penserà due o tre volte prima di cambiare idea e votare differentemente; l’unica via è contrapporre un’alternativa credibile in cui emergano il sogno e la narrazione, e che anzi questi siano in qualche modo anche una chiamata alle armi contro quel percepito quotidiano che inchioda a terra molti. Questo perché alla frustrazione, al desiderio di rivalsa, alla rabbia, alla chiusura non vi è alternativa alcuna se non riuscire a porre con forza, e magari con merito, l’idea che si possa mettere in atto un percorso verso una prospettiva di vita migliore.
Altrimenti non stupiamoci per favore più della Brexit, dei risultati della Le Pen, di Orbàn e di tutti coloro i quali ieri avrebbero in cuor loro, anche in Europa, votato Donald Trump.
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