America

Tra Arabia Saudita e Iran: il dilemma della Casa Bianca

4 Gennaio 2016

Il Bahrain ha appena annunciato di aver rotto le relazioni diplomatiche con l’Iran. Un atto che segue a stretto giro la decisione presa dall’Arabia Saudita di recidere ogni rapporto con Teheran, dopo lo screzio scoppiato qualche giorno fa: quando, in risposta all’esecuzione del leader sciita, Nemer-al-Nemer, da parte del regime di Riad, ha avuto luogo l’assalto dell’ambasciata saudita in Iran, nonché una durissima presa di posizione dell’ayatollah Khamenei. Storica alleata dei Saud, la decisione della monarchia del Bahrain evidenzia il progressivo consolidarsi di un blocco apertamente avverso alla Repubblica Islamica: e non è escluso che un simile comportamento possa presto estendersi anche ad altri stati.

Una divisione innanzitutto religiosa, che ripropone per l’ennesima volta il radicalizzarsi del lungo conflitto mediorientale tra sunniti e sciiti. Riesplosa in tutto il suo vigore a seguito della rivoluzione khomeinista nel 1979, la contrapposizione tra le due correnti ha sin da subito finito con l’assumere chiare connotazioni geopolitiche, pervenendo molto presto a una polarizzazione tra Arabia Saudita e Iran. Per quanto difatti l’universo sunnita risulti sul versante ideologico-religioso storicamente molto più frastagliato (e internamente caratterizzato da dissidi di natura non solo dottrinale ma anche politica), il regime di Riad ha da sempre giocato un ruolo primario in seno a questo fronte: ruolo, dovuto anche al fatto di ospitare sul proprio territorio le due città  più importanti dell’Islam (La Mecca e Medina).

Oltre alla questione religiosa, si riscontra poi quella economica e – nella fattispecie – petrolifera. Lo scontro tra Teheran e Riad si gioca da anni non soltanto per ottenere la guida dell’Islam ma anche (e forse soprattutto) per conquistare la leadership politico-economica nello scacchiere mediorientale. E non è allora forse un caso che i maggiori conflitti che attualmente interessano quella regione (dalla Siria allo Yemen) vedano l’ampio coinvolgimento (ovviamente su fronti contrapposti) delle due potenze: che, pur evitando di scontrarsi in maniera diretta, si fronteggiano sanguinosamente su territori terzi, entrambe oscillando ambiguamente sul piano internazionale tra l’Occidente e nuclei affiliati al terrorismo. Un Occidente che tuttavia non sembra a propria volta così lontano da atteggiamenti ambigui e che soprattutto con gli Stati Uniti non pare stia dando prova di eccessiva linearità strategica.

Come riporta oggi il Wall Street Journal, l’apertura del presidente Obama nei confronti dell’Iran (soprattutto attraverso il Nuclear Deal) ha deteriorato non poco i rapporti dell’America con l’Arabia Saudita, suo storico alleato. E adesso, nel caso (non certo improbabile) di una escalation, la Casa Bianca rischierebbe di ritrovarsi in un vicolo cieco, costruito con le sue stesse mani. Anche in conseguenza della rediviva sindrome del Vietnam che pervade gli Stati Uniti, la politica estera di Obama si è difatti generalmente contraddistinta per un progressivo disimpegno dalla regione mediorientale e la stessa apertura a Teheran è stata giudicata da molti analisti come frutto di una precisa strategia: mettere le varie potenze mediorientali le une contro le altre, assicurando all’America una posizione in definitiva più defilata e – laddove possibile – di non intervento.

Se pertanto l’obiettivo fosse veramente quello di mettere in competizione i vari attori mediorientali, è chiaro che sia stato pienamente raggiunto. Il caos esploso nell’attuale diatriba tra Riad e Teheran non sembra difatti accennare a diminuire. E comporterà alcune immediate conseguenze. Innanzitutto l’interruzione delle trattative di pace, tentate dall’ONU in Siria: uno sforzo che, non a caso, si basava su un traballante accordo concluso tra Iran e Arabia a fine 2015, su pressione del segretario di Stato americano, John Kerry. In secondo luogo, anche la guerra in Yemen non potrà che mostrare nuove recrudescenze, allontanandosi sempre più da una possibile pacificazione.

E la Casa Bianca adesso che cosa farà? Le ultime mosse di Obama risultano abbastanza ingarbugliate. Nonostante in questi mesi abbia scelto di mantenere costantemente il piede in due staffe (ondeggiando tra Teheran e Riad), una simile situazione sembrerebbe costringerlo a una scelta di campo netta: proprio quello che sta cercando di evitare, tentando in queste ore di gettare acqua sul fuoco, per cercare di smorzare la conflittualità tra i due storici rivali. Il portavoce del Dipartimento di Stato, John Kirby, ha difatti auspicato una soluzione diplomatica alla crisi: sebbene – al momento – sembra con ben scarsi risultati.

Ed eccoci al vicolo cieco. Se Obama si schierasse a favore dei sauditi, romperebbe de facto con l’Iran, sconfessando quel Nuclear Deal da lui costantemente presentato come grande successo della propria amministrazione. Se invece il presidente optasse per il fronte iraniano, getterebbe alle ortiche le relazioni con l’Arabia Saudita, suo storico partner soprattutto nel campo del rifornimento energetico. Inoltre, appoggiando la potenza sciita, l’America romperebbe con buona parte dell’universo sunnita, spingendone ampie fette verso una radicalizzazione non molto lontana dall’islamismo di Al Qaeda e dell’ISIS: un avvicinamento che potrebbe riguardare proprio paesi come Arabia e Bahrain. Paesi che – nonostante alcune indubbie ambiguità – sono stati sino ad oggi assai meno vicini al Califfato rispetto ad altre altre petro-monarchie, come Qatar e Kuwait.

Un dilemma apparentemente insolubile. E intanto, mentre Obama guarda dalla finestra e il Medio Oriente si incendia, qualcuno da Mosca non resta con le mani in mano.

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